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7. DALLA CRIS

8.3 il paesaggio non più agrario visto attraverso Paesaggio Particolare di Mario Schifano

L'opera del 1963 a cui faccio riferimento appartiene alla collezione del Premio Termoli a cura di Achille Pace. Ha una dimensione notevole (150x120 cm) e presenta una tecnica mista su materiali di scarto, tipici elementi della sperimentazione artistica di quegli anni (carboncino e smalto su cartone). Questa opera può essere ascritta alla serie paesaggi anemici che hanno occupato per circa un anno la produzione dell'artista (1963-1964). Dopo accurate ricerche, posso dire che non ci sono altre opere che presentano la scritta paesaggio-particolare: ci sono alcuni dipinti molto simili per la scelta del supporto e del taglio ad angoli stondati, che contengono la dicitura particolare di paesaggio italiano o cielo particolare... . È noto che questa serie di dipinti sia stata realizzata senza presa diretta dal paesaggio: i paesaggi sono ricordati, immaginati, pensati. Inizialmente avevo ipotizzato che la dicitura paesaggio-particolare potesse indicare una reale ispirazione nata dal paesaggio costiero molisano visto dal treno: Achille Pace ha scartato questa ipotesi asserendo che Schifano aveva prodotto quell'opera in studio a Roma. Possiamo dare credito alla testimonianza di Pace: sono gli anni del Caffè Rosati, dove si riuniscono gli artisti della Scuola di piazza

del Popolo e avvengono conoscenze e intensi scambi di idee tra artisti.

Tornando all'opera, il taglio ad angoli stondati del paesaggio ritratto evoca la visione da un finestrino, auto o treno: il paesaggio visto attraverso il vetro perde di complessità, è semplificato non solo perché priva la percezione dei sensi diversi dalla vista, ma anche perché il movimento semplifica la visione stessa. Tutti, osservando queste piatte campiture, diremmo che questo dipinto è un paesaggio, ma il paesaggio non c'è più o non c'è ancora. È in transito. Ma cosa intende Schifano per paesaggi anemici? Potrebbe riferirsi ad un fatto puramente tecnico ovvero all'assenza di colori caldi, del rosso e dei suoi secondari, un carattere riscontrato nella maggior parte delle opere della serie. Ma sarebbe più interessante se fosse riferito all'assenza nel paesaggio di persone-personaggi. Per capire bene questa opera non si può non tenere conto dell'influenza dei maestri della pop art americana che Schifano aveva incontrato nel '62 in occasione della mostra The New Realists, alla Sidney Janis Gallery di New York e alla ricerca artistica successiva alla serie paesaggi anemici: le opere futurismo rivisitato in cui appaiono le sagome vuote dei futuristi con cappotti e bombette, fantasmi di un tempo passato e poi le opere che confluiranno nella mostra itinerante dal titolo Inventario con o senza anima (1966). La rivisitazione di immagini televisive nota come paesaggi tv è anticipata in paesaggi anemici dal taglio dell'immagine che è già quasi uno schermo.

Credo che nel gruppo di opere di cui paesaggio-particolare fa parte si possa nascondere un racconto dal punto di vista del paesaggio agrario del periodo storico del boom economico e dell'industrializzazione italiana per cui Schifano mostra un sentimento dicotomico in cui si mischiano

attrazione e repulsione. Questi paesaggi mostrano una campagna abbandonata. La composizione disegnata a carboncino include parole scritte: cielo sul cielo, terra sulla terra e in basso il titolo: paesaggio-

particolare. Nominare le cose serve a riconoscerle, ma può essere un atto apotropaico o di

appropriazione. In questo senso forse c'è già un tentativo di risemantizzazione di un paesaggio agrario in abbandono. Lo spazio tra il cielo e la terra è occupato da una zona bianca. Potrebbe essere foschia o nuvola, ma forse è il fantasma del paesaggio che aleggia sul paesaggio stesso. O forse rappresenta la mancanza degli umani, ma anche degli uccelli, degli alberi e di tutti gli esseri che esistono tra la superficie e la volta celeste. Mi pare che questo gruppo di opere guardi al paesaggio con lo stupore con cui si dà l'ultimo sguardo ad una casa svuotata, un attimo prima del trasloco, prima di chiudere la porta. Tra l'altro il colore del supporto (tipico degli scatoloni di cartone) e le scritte a normografo rimandano proprio agli imballaggi. Gli abitanti del paesaggio agrario hanno traslocato in uno stretto giro di anni in città lavorando come operai delle industrie supportate nella ripresa dal Piano Marshall. In quel periodo storico, che se confrontato alla storia umana è un attimo, si rivela il vertice di una bellezza paesaggistica che è preludio al decadimento che sta per avvenire: le sbavature, il colore che cola anticipano lo scioglimento di una relazione millenaria. L'opera suscita l'istinto di cercare sul retro la scritta fragile, o una freccia verso l'alto per non capovolgere, almeno un simbolo che inviti a trattare con cura. Ma il paesaggio negli anni Sessanta è nel pieno dello stravolgimento a cavallo tra la legge del '39 sulla protezione delle bellezze naturali e la modifica del '77 che istituirà il concetto di bellezza d'insieme. In questi anni avviene un vero e proprio trasloco di senso. Se da un lato si è cercato di moltiplicare i vincoli paesaggistici nel tentativo di tutelare il paesaggio, con l'ingenuità di pensare che si potesse salvare il valore estetico del paesaggio agrario italiano senza per questo dover salvare contemporaneamente i processi di lavoro- lavorazione ad esso connessi e costruenti, dall'altro avviene l'inarrestabile 'catastrofe cemento'. Ma la catastrofe più grande è che siamo rimasti impietriti, come dopo uno shock, come dopo aver visto Medusa. Non abbiamo capito come poter reagire e forse anche i vincoli, nati per contrastare, hanno rivelato un potere anestetizzante per l'agire: hanno tolto altri gradi di libertà ad un possibile movimento. Schifano matura in questo periodo l'interesse per il film, la fotografia: figure statiche e in movimento come When I remember Giacomo Balla (1965). Nei paesaggi TV inizia una fase diversa con una tecnica che riesce a riportare le immagini video sulla tela emulsionata. Isola un fotogramma dal ritmo diegetico delle sequenze a cui appartengono e interviene con tratti e campiture di colore alla nitro. A questo proposito Schifano afferma che «Il processo è lungo ed elaborato. Ma solo così riesco ad ottenere quegli effetti di realismo e di visionarietà che rincorro con l'immaginazione»99.

9 USO DELL'ARTE

9.1stato dell'arte sull'uso dell'arte contemporanea in pratiche di trasformazione del paesaggio.

È importante sottolineare che la ricerca in oggetto non intende indagare o sviluppare un uso 'strumentale' degli artisti o dell'arte contemporanea da parte degli organi amministrativi a cui compete il governo, la pianificazione e la progettazione del territorio.

Tuttavia è importante tracciare un quadro dell'uso dell'arte o meglio degli artisti nei processi di trasformazione territoriale. Attualmente sono, a mio avviso, riscontrabili quattro modi principali di impiegare l'artista nei processi di trasformazione del territorio: 1) nella produzione di un'opera d'arte pubblica in un'area degradata finanziata e/o supportata da organi amministrativi; 2) come mediatore,

liaison tra Amministrazione e popolazione; 3) per incentivare la presenza di artisti e creativi in un'area

degradata; 4) per dare voce ad un cluster di attori emergenti non già rappresentati nel processo. Queste quattro prassi possono avere i contorni sfumati e intrecciarsi tra loro. In breve le considerazioni che verranno mettono alla luce che nel primo caso si rischia di cadere nella credenza che un'opera-operazione artistica possa bastare a risolvere problematiche profonde; nel secondo caso troppo spesso l'artista è un inconsapevole imbonitore con il fine strategico, da parte dell'Amministrazione, di far percepire alla popolazione di aver partecipato ad un processo in cui, invece, molte decisioni sono state già prese. La terza utilizzazione serve per riqualificare un'area nell'immaginario pubblico per poi – molto spesso – intraprendere operazioni immobiliari che obbligano gli artisti, con un incremento degli affitti, a lasciare casa e spostarsi. È il caso ad esempio della città creativa. L'ultimo caso (4) è forse il più interessante, ma, al momento, marginale. Si riscontra «(...) in poche esperienze di strategic planning (in particolare le esperienze statunitensi degli inizi degli anni novanta) il problema dell'empowerment di attori emergenti o insorgenti della società civile è assunto come centrale: come dar voce a chi non ne ha (in particolare neri, donne, poveri ecc.), perché incapace o illegittimato nell'esprimerla, nella discussione pubblica o nelle procedure di concertazione per decisioni inerenti le trasformazioni urbano-territoriali. (...) In queste ipotesi (...) il visioning prevede una densificazione dei poteri del sociale sul territorio come strumento per determinare le condizioni della trasformazione. Gli obiettivi del visioning si modificano fortemente, nella definizione di scenario, in relazione al cambiamento del panel di attori rappresentati e del ruolo degli attori stessi, qualora vengano estesi i processi di governance alle rappresentanze di attori deboli e vengano introdotti processi di democrazia partecipativa» (Magnaghi, 2010, p. 179).