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7. DALLA CRIS

9.9 dalla città dei creativi al territorio intrinsecamente creativo

e degli artisti nelle politiche territoriali sono scaturite dall'esame di quella che viene definita Urbanistica

creativa e dalla possibilità di trasporre a scala paesaggistica alcuni concetti pensati per la pianificazione

urbana. «Il richiamo alla creatività può essere utile per un aggiornamento degli obiettivi e degli strumenti disciplinari? È “creativa” la città che non solo si prepara al futuro, ma produce le idee del cambiamento; per farlo occorre che accolga le cellule staminali, i laboratori pensanti del futuro. Porre la città creativa al centro dei propri interessi è un modo dell'urbanistica per non limitarsi a cercare soluzioni ai problemi che si pongono ma in qualche modo di anticiparli, per creare le premesse dell'innovazione favorendo la formazione di “ambienti creativi”. (...) In un momento in cui, denunciata l'insufficienza degli strumenti di pianificazione tradizionali, se ne sperimentano nuovi, la dimensione della creatività può essere sia un filtro per cogliere particolari aspetti della realtà attuale, sia un riferimento per mettere a punto obbiettivi e programmi di intervento che permettano all'urbanistica di costruire risposte più efficaci» (Bobbio, 2008, p. 3-4). Di particolare rilievo per il dibattito sono stati sicuramente i congressi dell'ISoCaRP (International Society of City and Regional Planners) nel 2005 a Bilbao (Making Spaces for the Creative Economy) e nel 2007 ad Anversa che “affrontava le relazioni tra visioning e progetto”, ma anche il seminario La città creativa, Spazi per le nuove economie urbane, presso la facoltà di Architettura dell'Università di Genova.

I fondamentali studi di Jane Jacobs sulla vitalità delle città (Jacobs, 1961 e 1969) sono tuttora un valido punto di partenza per considerare la complessità che scaturisce dalle relazioni tra economie, società e ambiente urbano al fine non solo di mantenere, ma di accrescere la qualità della vita. Secondo alcuni studiosi (Jacobs, 1984; Sassen 1997) le città hanno un ruolo centrale nel produrre innovazione anche in campo sociale (Sassen, 2004) ad una scala globale. Talento, Tecnologia, Tolleranza sono le “3T”, le tre qualità sulla cui presenza si misura secondo Richard Florida la potenzialità creativa delle città (Florida, 2002, 2005). In questa luce «(...) l'economia e la società sono (...) permeate dalla forza della creatività e la città è un “habitat creativo” (...) capace o meno di favorire il dispiegamento e lo sviluppo della creatività delle persone» (Tinagli e Florida, 2005, p. 7). L'analisi delle 3T, secondo Florida, fornisce un “indice della creatività” per effettuare analisi comparative tra città. Gli studi di Florida tuttavia risultano poco convincenti e immediatamente affrontati dalla critica (Franz, 2005). Sebbene le critiche siano a mio avviso fondate, Florida aiuta a muovere lo sguardo in una direzione alternativa rispetto alle ormai classiche interpretazioni del cambiamento che hanno analizzato i milieu innovativi e che hanno individuato le ragioni del successo nella capacità dei micro contesti di agganciarsi ai processi globali attraverso la forza che scaturisce da rapporti comunitari, di parentela e di vicinato e che si legano alla tradizione. [Interpretazioni della Terza Italia svolte dal CRESME e da Camagni, Lanzani, ma

soprattutto Dematteis (1995)]. Interessante il valore che Florida da' alla tolleranza, una sorta di Stadtluft

macht frei (l'aria della città rende liberi), liberi di interagire con le differenze e trarre dal confronto culturale

un arricchimento in termini di creatività. Tra le applicazioni degli studi di Florida vi è la determinazione di condizioni per stimolare la formazione di popolazioni urbane creative. L'aspetto meno convincente e non utile a questa ricerca è che Florida tende a far coincidere la “città creativa” con la “città della classe dei creativi” a cui appartengono le categorie di persone considerate comunemente tali (ad es. artisti -di ogni tipologia- , architetti, designer), ma anche scienziati, intellettuali, ricercatori, professionisti. Il lato oscuro della medaglia è che spesso nella realtà la speculazione teorica fa presto a diventare speculazione economica. Un quartiere viene determinato dalle politiche urbane come cuore della città dei creativi per incrementare il suo valore economico in un'ottica di città guidata dai processi economici di real estate (immobiliare). Riporto l'esperienza di Nicholas Reibel, un artista conosciuto a Kassel per documenta 14 e con cui ho collaborato tramite l'Università a cui (settembre 2017) ho chiesto esplicitamente di scrivere circa la sua personale esperienza vissuta. «Ho vissuto nel Pearl District di Portland Oregon all'inizio degli anni 2000. In precedenza, questa zona era occupata dall'industria leggera e da cantieri ferroviari, con molti edifici in disuso. Tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, la comunità creativa ha beneficiato degli affitti bassi e degli spazi di dimensioni considerevoli, con la comparsa di pochi bar e caffè che li circondavano. Verso la fine degli anni '90 il quartiere si trovò immerso in un processo di gentrificazione, con condomini a più piani, condomini con un costo di affitto alto, costruiti attorno ai quartieri del parco (il direttore Gus Van Sant era il proprietario di uno di questi con appartamenti ad uso intensivo). Ciò che seguì furono i ristoranti di fascia alta e gli spazi commerciali boutique. Quando mi trasferii a Portland, l'ultimo bastione degli artisti di questo quartiere era l'Everett Street Lofts, un quartiere di spazi di vita / lavoro con affitto ridotto per artisti. Ho fatto domanda per vivere in questa comunità, ma mi è stato detto che c'era una lunga lista d'attesa senza possibilità di affitto entro il prossimo anno. Ho continuato per mesi a spingere in questa direzione per poter affittare uno spazio di vita / lavoro proprio lì. Dopo tre mesi, sono stato in grado di affittare un appartamento di 97 metri quadrati (1040 piedi quadrati), ma ho dovuto mentire sul mio reddito, perché non avevo abbastanza entrate economiche per ottenere un contratto di locazione. La mia ragazza e io siamo riusciti a dividere l'affitto dello spazio per il primo anno. Quando si è trasferita, ho vissuto lì per un altro anno, ma l'alto costo dell'affitto mi ha costretto a rimandare il pagamento di altre bollette e sfortunatamente mi ha lasciato senza soldi per l'assicurazione sanitaria. Dopo due anni, per motivi finanziari mi sono trasferito nella parte est della città condividendo una casa con amici. La nuova location aveva un ampio seminterrato privo di luce naturale, in cui ho spostato il mio studio. Dopo un anno in questa casa, mi sono trasferito a Gliwice, Polonia, dove il costo dell'affitto e uno spazio adibito a studio non erano più un problema».

Partendo dalle critiche al modello di città creativa di Florida e dei grandi eventi come occasione per riqualificare il paesaggio urbano rendendolo più creativo, la ricerca mi ha condotto a considerare il territorio nel suo insieme (non solo la città) anche alla luce del fatto che le nuove tecnologie permettono, con una connessione internet, la possibilità di centri creativi anche in luoghi poco densamente popolati. Il legame delle esperienze criticate con una speculazione a scapito dei creativi e artisti mi ha portato ad indagare cercando un modo per creare le condizioni affinché vi sia un incremento di creatività autogenerata nel e dal paesaggio. La spinta alla creatività endemica può anche venire dall'esterno, ma può crescere solo in un suo determinato luogo che conferisce alla produzione l'unicità necessaria affinché sia interessante nel panorama glocale. Questa ricerca arriva a considerare la creatività, che caratterizza la nostra specie, come la declinazione umana di una caratteristica eco- sistemica. Risulta interessante ipotizzare se e come sia possibile indirizzare la creatività verso forme che esulano dalla globalizzazione (un esempio è il pullulare dell'hobbistica, un fenomeno diffusosi negli ultimi decenni uniformemente a livello internazionale e che punta solo sul carattere del fatto-a-mano-da-me) e che si relazionino costantemente con le contingenze topiche e si fondino dunque sull'interazione tra individuo, società (pl.) e ambiente.