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7. DALLA CRIS

9.13 il caso Culburb

– Cultural Acupunture Treatment for Suburb guidato dal CCEA (Centre for Central European Architecture),

che aveva, tramite i social network catturato in modo particolare la mia curiosità; così ho partecipato al bando della Regione Molise del Progetto Leonardo che consentiva ai professionisti di lavorare per tre mesi all'estero al fine di confrontarsi con gli ambienti europei di scambio e produzione di idee innovative. Ero molto interessato alle potenzialità di pratiche territoriali virtuose legate al mondo dell'arte e all'idea che il pianificatore potesse assumere il ruolo del pirotecnico in un progetto di accensione di luci sul territorio. L'idea Culburb121 è nata a Praga nel 2011 da una collaborazione del CCEA (Centre for Central European Architecture) – capofila – con organizzazioni internazionali quali l'European Cultural

Foundation, alcuni Ministeri come il Ministry of Culture Czech Republic; Ministry of Culture of the Slovak Republic; Ministerwo Kultury i Dzidzictwa Narodowego, Ministrstvo Za Izobraževanje, Znanost, Kulturo In Šport; e

altri enti governativi e non governativi come Praha.ue; Miasto Stołeczne Warsawa; Mestna občina Ljubljana;

Grupa PKP; bęc zmiana; Austriackie Forum Kultury waw, Délegyháza Visegrad Fund, Namzeti Kulturális Alap, Gallery MC, MG+MSUM, OK arsus, Unam Posgrado Arquitectura; Kiber pipa; e finanziato dalla European Commission. Culburb ha avuto tratti decisamente sperimentali: sono state scelte sette località in sei città

del centro Europa: Rajka e Rusovce, due periferie di Bratislava; Délegyhàza nei pressi di Budapest; Zalog a Lubiana, Psàry vicino Praga, Sandleiten a Vienna e Ursus per Varsavia. Questi luoghi sono stati scenario di installazioni, performance e progetti socioculturali. Culburb è stato un tentativo significativo, uno stimolo per le periferie in oggetto, accostato da una sorta di lunga e paziente manutenzione del pensiero e della coscienza spaziale attraverso eventi culturali, convegni, incontri informali con gli abitanti nel tentativo di trovare i punti giusti in cui operare al fine di addensare, attrarre le vite degli abitanti e raccoglierne le idee. L’obiettivo finale è stato quello di agire in sei città europee portando nelle loro estremità, le periferie, estremi atti di cultura nel tentativo di riqualificarle attraverso interventi in alcuni punti nevralgici in cui si è supposto che si potesse catalizzare, attivare o riattivare un’energia benefica. Lo scopo generale è stato quello di innescare processi che potessero aumentare la qualità dei luoghi a favore degli abitanti. Una sorta di agopuntura ha portato il territorio verso un nuovo equilibrio e ha cercato una cura auto-generata dall’interno del corpo urbano. Mi sono accorto – faccio una piccola digressione – che questa idea era in linea con la poetica di Joseph Beuyes considerato da me un maestro. Egli utilizzava spesso il feltro o il grasso come materiali che, anche metaforicamente, riescono a non far dissipare il calore-energia del corpo; egli credeva fermamente nella potenzialità di trovare e di usare questa energia, tutta interna ed individuale, ma rivolta al bene collettivo. Il tempo, o meglio l’epoca, gioca un ruolo determinante sulle parole e dunque sul pensiero e sulla cultura: - non a caso - la parola “malattia” non significa più esattamente quello che significava un 121 http://www.culburb.eu

secolo fa o cinquanta anni fa. La “malattia” come metafora della periferia urbana è un topos antico nel linguaggio urbanistico, fin troppo abusato dagli addetti ai lavori per descrivere le problematiche che hanno afflitto e affliggono tutt’ora le parti estreme della città. Negli ultimi due secoli di storia urbana, le posizioni teoriche e pratiche sono state molteplici anche a seconda delle mode e di tendenze cultuali passeggere; molti i tentativi di “cura” che hanno però spesso cercato una soluzione, tanto per rimanere nelle stessa metafora, in una medicina unica somministrata al bisogno per alleviare i dolori e migliorare lo stato di salute di questi luoghi difficili. Si è cercato, semplificando, ad esempio di portare in questi spazi le dinamiche e le relazioni proprie del centro città. Molto spesso questi tentativi urbanistici sono stati fallimentari semplicemente per il fatto che la razionalità non è sufficiente per risolvere problematiche che non appartengono alla sola sfera del logos. Ad esempio progettare 'dall’alto' uno spazio aperto pubblico per farne una piazza, non significa che le persone la utilizzeranno come luogo di scambio reciproco o, sempre a titolo di esempio non basta collegare meglio una zona lontana dal centro con i servizi per migliorare la vita di chi abita in un'area di lontananza. Le periferie sono dunque difficilmente curabili in modo tradizionale. Possiamo ipotizzare che non hanno bisogno di assomigliare al centro, ma che possono trovare una loro identità particolare?

Servono idee brillanti e, a volte, basta una scintilla nata dall'attrito tra affinità e divergenze – usando un ossimoro – per ragioni irrazionali. Spesso è l’arte a mettere in contatto e far cortocircuitare quella tradizionale dicotomia tra logos e pathos che scompare proprio generando quella scintilla così necessaria alla crescita della civitas. Se c’è una cosa che accomuna le estremità urbane contemporanee è il carattere di 'periferia culturale'. Se la periferia in passato con semplicità si contrapponeva quasi sempre al centro (la parte di città dotata di identità sociale, estetica, economica, culturale) oggi la periferia è più sinonimo di anonimato e disorientamento. I luoghi periurbani mi sembrano essere sempre meno luoghi di conflitti economici e sociali, ma sempre più luoghi di non-sense, di srawl, di dispersione, dove il pensiero tende ad allentarsi. Mi pare anche che la parola periferia - al singolare - sia divenuta pian piano una parola desueta scalzata da periferie, al plurale, con la molteplicità di significato che ne deriva. In questa pluralità convivono e trovano appiglio problemi antichi e nuovi. Oggi esistono infatti, tutte le periferie che si sono generate fin ora: persiste la periferia storica, quella del social housing come quella delle speculazioni edilizie, la periferia industriale, la periferia dei condomini e quella delle villette a schiera e così via. Queste periferie, costruite in epoche culturali diverse dall'oggi, vivono nella città in un’unica unità di tempo, il presente. A queste periferie che restano si aggiungono periferie che crescono verso l'esterno, dilatando ulteriormente la città, ma si generano anche all’interno concentrando il costruito innalzando volumi o occupando spazi verdi, spazi aperti. Nascono anche nuove periferie, impreviste e fuori schema e per cui c’è necessità di ricerca e analisi per capire le dinamiche e i disagi lì presenti. Infine ci sono le periferie a tutto tondo che nel tempo sono capaci di cambiare il loro volto: quartieri

popolari divenuti posh e al contrario quartieri centrali di colpo svuotati, privati delle relazioni proprie di una città e divenuti, ad esempio, lo shopping mall a cielo aperto di una città. Ci sono anche fortunati esempi di riutilizzo di quartieri industriali trasformati in luoghi di residenze o in spazi per la cultura, ma che spesso restano mentalmente periferici.

A volte le periferie sono la parte molle della città, altre volte sono invece sono la parte dura, il bordo tagliente dove il disagio, il conflitto, prende la forma dolorosa della ferita. Lo sforzo più grande per chi si occupa di città è tenere un osservatorio aperto, fatto di domande che devono essere lasciate aperte affinché possano aiutare a riconoscere di volta in volta dove sono le periferie e che tentino di trovare, in periferia, un’idea di periferia.

La proposta Culburb si è dunque realizzata con il finanziamento, la promozione (un sito internet, call for

artists e manifestazioni pubbliche...) e la realizzazione di interventi che hanno agito su una superficie

minima, ma che si proponevano di raggiungere gli strati profondi della coscienza collettiva. Opere e operazioni spesso temporanee, ma in grado di restare nella memoria del territorio aumentando o aggiungendo ad esso carattere e diversità. Non tutti gli interventi hanno raggiunto l'obiettivo, ma, sebbene con qualche caso infelice, il progetto è da considerare nell'insieme un caso virtuoso.

La peculiarità del progetto Culburb è che è riuscito ad essere nello stesso tempo un progetto plurale e unitario. Alla luce di considerazioni e studi sul significato contemporaneo di periferia e all'uso fin troppo abbondante di metafore patologiche, Culburb ha proposto l’utilizzo di una sorta di medicina

alternativa pensando che questi luoghi potessero costituire un'opportunità per la produzione e lo

sviluppo di cultura. Il team di CCEA, composto da architetti urbanisti, ma anche da storici dell'arte, tecnici urbanisti, grafici e creativi, ha selezionato progetti non solo strettamente artistici, ma anche proposti da sociologi o intellettuali in genere con un carattere creativo e che sono apparsi potenzialmente utili nel tentativo di risolvere le diverse problematiche croniche delle sei città coinvolte. Sono stati proposti alle diverse comunità atti creativi e creatori condivisi che potessero portare vita e relazioni nei diversi contesti spaziali specifici. I risultati sono stati inattesi perché, a volte, luoghi che appaiono in superficie morti o moribondi si rivelano una fucina di vita sotterranea che nasce proprio dalla decomposizione e dalla putrefazione; dall'assenza di un ordine costrittivo e, questa condizione ambientale, con un piccolo aiuto, può far emergere delle potenzialità inespresse. La rilevanza di questa esperienza è che non ha cercato un medicamento univoco trovato una volta per tutte. Non c'è una farmacopea per curare ogni malanno, e perciò è necessario sviluppare una metodologia plurale e topica. E non esiste un solo stato di salute, pertanto è necessario usare tanti e diversi approcci che possono essere usati contemporaneamente e combinati per trovare in ogni momento una dosata composizione utile a formulare una preparazione ad hoc. Ogni luogo ha le sue peculiarità e perciò ha risorse differenti, ispira ad affrontare e risolvere i disagi nei modi più disparati.

Prendiamo in esame la capitale austriaca. Nel 2012 Wolfgang Schneider e Beatrix Zobl hanno operato a Vienna con il progetto CIA (Community in Arbeit) per esplorare il tema del lavoro comunitario, ma nella stessa città sono stati accolti anche Paul Woodruffe e Walter Klasz con il progetto Construction of the bach (istallando nella città uno spazio di riflessione e meditazione); e Carla della Beffa con il progetto Love

song exchange (per incontrare e far incontrare le persone e aiutarle a scambiare le proprie esperienze); e

poi Sylvia Winkler e Stephan Koeperl con il progetto The benchmark che hanno invitato gli abitanti a passare una notte su una panchina o Marcella Pascal e Alexander Felch con il progetto Occupy Sandleiten con lo scopo di portare alla luce e nello spazio urbano i movimenti segreti e notturni dei suoi abitanti. Guardare le città contemporanee 'dal lato periferia' rappresenta una chance per la città nella sua totalità per prendere coscienza di se stessa e riacquisire ciò che ha perso o che non ha mai avuto. È un modo per trovare un’uscita dal cul-de-sac (espressione francese che il nome del progetto mi ha evocato) creato da quelle modalità di insediamento scollate dal contesto specifico territoriale e ben criticate da Magnaghi (2010), ma anche da fenomeni come lo svuotamento del centro storico da quelle relazioni che lo hanno costruito e che lo rendevano un ordinato groviglio culturale.

Il tentativo è quindi agire sulla “distanza”, un concetto che oggi ha sempre meno a che fare con i millimetri e invece sempre più a che fare con i rapporti e le relazioni e quindi con un significato interno. La lontananza si concretizza tra casa e casa, tra uomo ed uomo, tra vicini. Una sorta di carenza di legame che si auto genera quotidianamente e in un modo facile e subdolo; si aggiungono così nuove ed impreviste estremità o luoghi estremi in cui le città si diluiscono, si assentano e perdono di centro vorticando intorno a vuoti fatti di silenzio e di mancanze relazionali. Il disagio urbano contemporaneo si delinea quindi come un’autistica sconnessione tra le parti sempre più disperse e sempre meno identificate. La lingua ceca ha assimilato alcune parole straniere trascrivendone i fonemi, per esempio “víkend” sta per fine settimana. Se “cul” fosse anche la cechizzazione di “cool”, fresco, potremmo concludere che la finalità di un progetto come Culburb è, cosciente della natura relativa e non definitiva delle risposte, di continuare a porsi domande e di cercare instancabilmente nuovi e freschi risultati.

9.14love song exchange di Carla della Beffa. È interessante per questa ricerca approfondire la