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7. DALLA CRIS

9.2 l'uso dell'opera-operazione artistica per la riqualificazione di aree degradate

fortunati che appartengono al primo gruppo di uso dell'arte, utilizzando una parola coniata in un contesto diverso100 da Roland Barthes, l'opera d'arte può fungere in alcuni luoghi come un punctum: per 100 In La camera chiara rif. bibl.

Barthes il punctum è un dettaglio, un indizio a volte piccolissimo che riesce a smuovere il pensiero dando senso o aggiungendo significato alla visione di insieme, stimolando l'osservatore nella produzione di idee e di espressioni. In certe fotografie-ritratti del reale accade di trovare la potenza immaginifica in un dettaglio, in un elemento secondario che magari appare solo dopo un certo tempo di osservazione o in una posa inconsueta. È così che, più o meno silenziosamente, l'opera d'arte lavora all'interno del soggetto: si accendono quelle luci che ci fanno vedere la realtà in un modo diverso da come la vedevamo prima. Vedremo quattro casi studio Culburb, documenta, Regionalpark-Rehinmain e Kalenarte che appartengono a questa categoria di uso dell'arte, e lo fanno, a mio avviso in modo virtuoso. Ma vanno fatte delle precisazioni preliminari e va spiegata la problematicità della questione. Sebbene l'arte abbia avuto (e continua ad avere) un carattere apotropaico, non si deve cedere alla superstizione. Non si può credere che un'opera d'arte, da sola, possa salvare un paesaggio o innalzarne la qualità. Ad esempio credo che i tentativi delle amministrazioni nel ridurre lo squallore delle periferie urbane tramite il colore dei murales o opere d'arte derivanti dal graffitismo di origine nordamericana siano davvero naïf. Sebbene l'arte – è vero – può migliorare un luogo, sono a mio avviso fallaci i tentativi, di rimediare con un'opera d'arte ad un deficit estetico-sociale strutturale. Questo procedimento avviene spesso nelle periferie in cui un'Amministrazione tenta, per esempio con opere di street-art (murales/graffiti), di rendere più piacevoli dei muri muti e ciechi. La mia posizione a riguardo è di scetticismo e nasce da alcune semplici osservazioni. Blu, uno degli artisti murali più noti (segnalato sul Guardian da Tristan Manco nel 2011 come uno dei dieci migliori street-artist attivo dal 1999 soprattutto a Bologna) dal 2001 ha sostituito la bomboletta spray, tradizionale per il writing101, con colori a tempera stesi con rulli. Questo gli ha

permesso la realizzazione di opere di dimensioni notevoli come The Gaza street nel 2008 a Praga per il festival Names che ho potuto apprezzare direttamente durante la mia permanenza in Repubblica Ceca. In quest'opera carri armati e bulldozer si alternavano in una marcia infinita su un nastro di Möbius. Quest'opera è stata sostituita, durante la mia permanenza a Praga, da un'altra pittura muraria (a dire il vero meno raffinata) e questa operazione di sovrapposizione ha comunicato all'osservatore, a me, che quel muro è giustamente un muro attivo, in continuo mutamento. Blu dal 2016, come riportato da Michele Smargiassi in un articolo su La Repubblica (12 marzo 2016) sta cancellando, con più mani di bianco, i propri lavori. Questa scelta ipotizzo che sia nata dalla costatazione di una tendenza a musealizzare e conservare ogni suo artefatto rendendolo un feticcio e 'vendibile' da un mercato dell'arte contemporanea tutto nuovo legato al marketing territoriale. Il mercato classico dell'arte ha espresso la mancanza di una salubre pietas in un recente fatto di cronaca. A New York un'opera straordinaria di Basquiat è stata acquisita per centodieci milioni e mezzo di dollari (Arturo Cocchi, 19 maggio 2017, La 101

Trad. lett. Scrittura. Usato dagli street-artists (artisti di strada) per indicare scritte molto ornate e spesso illeggibili e i tag, le firme con il nome d'arte che molti appongono sui muri per segnare il proprio passaggio.

Repubblica)102 durante un'asta che ha messo in luce l'accanimento di due pretendenti nel possederla. Dal punto di vista strettamente artistico, i graffiti/murales contemporanei sono espressione di una cultura ormai globale, ma proveniente, molto prima di Bansky (Bristol), dal così detto graffitismo nordamericano per il cui sviluppo è di rilevanza internazionale nonché storicizzata l'opera pionieristica di Basquiat. L'artista non ha avuto una vita facile e l'uso improprio del mercato dell'arte è da considerare una concausa del suo prematuro decesso. Senza pietismi, visto il limitato numero delle opere prodotte, in un mondo più fair (giusto) quantomeno le sue opere più importanti dovrebbero essere tutte in musei pubblici e non in collezioni private. L'atto artistico di Blu, l'auto-cancellazione è da considerare una forma di auto-ostracismo, di protesta, generata in Blu, molto probabilmente per contrappasso, in risposta ad una bizzarra proposta dell'Amministrazione Pubblica di Bologna e di Fabio Alberto Roversi Monaco. Questi ultimi avevano programmato una mostra dal titolo Steet Art-Bansky&Co nel Palazzo Pepoli, dedicata alla street-art, con l'idea di prelevare alcune opere dai muri che le ospitavano per portarle in un vero e proprio museo. Con molta probabilità l'artista ha percepito il rischio che alcune sue opere potessero avere prima o poi una sorte simile perdendo definitivamente il potere di esprimere e mostrare in modo chiaro e clandestino un disagio prima invisibile. La poetica di Blu evidenzia problemi sociali a scala locale e globale e, esplicitamente, è permeata da un'idea di sensibilizzazione della superficie usata: è un processo instabile e in movimento. Questa asserzione è, a mio avviso, provata da un importante indizio: le animazioni digitali e pittoriche che dal 2001 rappresentano buona parte della sua attività in cui la cancellazione è già presente, ma è propedeutica al frame successivo. Va ricordato che la street-art nasce nei sobborghi nordamericani e non è legittimo privarla del suo ruolo di anatema verso il sistema. Includendola infatti nel sistema criticato e usando fondi pubblici per produrla, viene annientata, in ogni espressione di questo genere, la funzione essenziale che dovrebbe esercitare. Questo tipo di arte se perde di irriverenza e di spontaneità, perde la sua stessa essenza. Le opere prodotte in autonomia dagli artisti nascono per essere temporanee. Non sono, a mio personale avviso, né da tutelare, né da restaurare. Tantomeno da musealizzare. Sono invece da documentare e da osservare bene perché sono la manifestazione di un disagio. Questo tipo di arte, se privata dello spirito rivoltoso che la muove, e se dunque viene programmata e pianificata istituzionalmente, perde di ogni significato. È e dovrebbe rimanere un'espressione spontanea – al limite della legalità – che denunci una mancanza. Qui finisce il suo ruolo espressivo e sociale. Il graffito o murales è volontariamente effimero, destinato a deperire con il tempo. Questa è un'evidenza: la superficie su cui l'artista agisce non viene preparata. È dunque scorretto a mio avviso considerare questi artefatti come una sorta di affreschi della contemporaneità; mentre sarebbe opportuno considerarli come indizio espressivo autonomo della volontà civica, sebbene parta spesso 102 http://www.repubblica.it/cultura/2017/05/19/news/un_quadro_di_basquiat_venduto_all_asta_per_110_milioni_di_dollari-

da un solo individuo sensibile, di 'attivare' uno spazio, un muro, che metaforicamente cela o interpreta la probabile insoddisfazione estetica da parte degli abitanti più o meno temporanei di quel luogo. È un allarme, il segnale della necessità e dell'urgenza di verificare con una serie di rilievi lo stato sociale ed estetico di quella determinata area e di progettare e programmare azioni volte a migliorare non solo la qualità estetica, ma anche dello stile di vita delle persone che la abitano. Non vorrei essere frainteso. Apprezzo la raffinatezza di alcune operazioni artistiche su supporto murale, ma, se programmate dalle amministrazioni, il carattere sociale si trasforma in populistico con il rischio di creare una retorica pericolosa dell'autocompiacimento per il degrado. Problematiche complesse non sono risolvibili sulla superficie di un muro, ma vanno risolte con l'ascolto e il coinvolgimento della comunità nei progetti di territorio. Personalmente credo che il sostegno da parte delle Amministrtazioni alla street-art presenta delle esternalità negative riducendo questo tipo di arte ad una funzione meramente esornativa ed epidermica. Una sorta di make-up del tessuto urbano che lascia il tempo che trova. Per tale motivo, queste operazioni non vanno confuse con l'empowerment di attori insorgenti della società civile, anzi, neutralizzano ogni tentativo di dissenso.

È proprio nell'effetto pop-up dell'artefatto, in quella esplosione improvvisa di colore e di vita e poi nel suo degradare insieme al tessuto urbano e sociale che la ospita, la vera essenza estetica di questa arte. Lo street-artist è generalmente un artista impegnato e ha il compito sociale di attivare il muro, che da cieco e muto diventa parlante e vedente. Sa bene che probabilmente un altro artista murale coprirà la sua opera con una tutta nuova ribadendo un deficit insoluto. Forse il muro tornerà ad essere bianco se un'Amministrazione intelligente avrà provveduto a comprendere le ragioni di quella espressione di protesta. Un edificio inutilizzato e riqualificabile potrà ad esempio cambiare destinazione d'uso e diventare un polo di aggregazione sociale e/o culturale; o sarà demolito progettando uno spazio pubblico aperto, magari verde, un parco, e/o realizzando una serie di azioni di pianificazione partecipata che in qualche modo bilancino in modo profondo lo scompenso sociale percepito in quell'area.