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Ch Batteux, Les quatre Poétiques cit., p 238.

Te orie e vi sioni de ll ’es perienza

23. Ch Batteux, Les quatre Poétiques cit., p 238.

Riforma della scena ed e(ste)tiche della rappresentazione 111

testimone, in base al trattamento cui sono state sottoposte nell’elaborazione poetica; a lungo termine, l’esposizione ri- petuta alla manifestazione di passioni fittizie contribuisce, grazie all’“immunizzazione” che ne deriva, a una sorta di edu- cazione all’esercizio di ciò che è più opportuno per sé e per gli altri, che è individuato come il fine morale della tragedia.

Nel 1746, nel suo trattato più noto e controverso, Les Beaux-Arts réduits à un même principe, Batteux aveva sfiorato lo stesso argomento nei capitoli dedicati alla tragedia e alla commedia, che – come le altre arti – venivano definite imita- zioni della «belle Nature», con il sottinteso che ogni giudizio su di esse interessasse principalmente il gusto, «sentimento che ci dice se la bella Natura è bene o male imitata»,24 esclu-

dendo la dimensione morale.

Nei Principes de la littérature, riedizione del Cours de Belles- Lettres (pubblicato tra il 1747 e il 1748 come opera didattica), che segue di tre anni le «quattro Poetiche», Batteux sembra avere ulteriormente modificato la sua posizione, anche se cita direttamente il suo recente commento ad Aristotele. In un capitolo dal titolo inequivocabile – «Que la Tragédie n’a point essentiellement et par elle-même une fin morale» – il richiamo alla tradizione antitea trale è esplicito:

Sarebbe agevole dimostrare con gli autori più seri che la Tragedia, lungi dall’essere utile ai costumi, non può che nuocere ad essi. Hanno tutti senza eccezione fatto consistere la saggezza nella costanza o nella regolarità dell’anima; e l’oggetto della tragedia è turbare questa regolarità, pertur-

batio animi.25

Dopo aver ricordato la condanna platonica della poesia nella Repubblica, Batteux procede quindi a una rilettura del pensie- ro di Aristotele, che, secondo la sua interpretazione,

non ha detto in alcun luogo che la Tragedia fosse per l’istruzione, e ha ripetuto tre volte nella sua Poetica che era solo per il piacere. Ha detto nei suoi libri della Politica che la Pittura può essere funesta per i costumi, e la Musica ancor di più. La Pittura è su una tela, la Musica su uno strumento

24. Id., Les Beaux-Arts réduits à un même principe, nouvelle édition, Paris, Durand,

1747, p. 61.

25. Id., Principes de Littérature, 5ème édition, Genêve, Slatkine Reprints, 1967 [ripro-

Teorie e visioni dell’esperienza “teatrale” Edoardo Giovanni Carlotti 112

inanimato, la Poesia tragica è invece resa da voci umane, e da personaggi vivi, che impiegano apertamente tutti i mezzi di seduzione, che fanno sentire il grido delle viscere, che hanno tutti i movimenti, tutti i gesti delle passioni naturali.

La Tragedia è dunque, secondo Aristotele, più pericolosa della Musica e della Pittura; è dunque, come esse, il soffio delle passioni, flabellum perturbationum. Ora ci si chiede se è utile secondo la buona morale accendere così le passioni, per divertimento, e solo per il piacere di accenderle.26

È in particolare il riferimento alla Politica che distorce il senso dell’originale (Aristotele parla, in real tà, di dipinti e melo- die “etiche” che possono essere utilizzate a fini educativi) e spinge l’argomentazione verso conclusioni che echeggiano la dottrina di Bossuet. Sebbene la negazione del fine morale della tragedia possa essere giustificato dall’obiettivo didattico

dell’opera – come l’autore precisa27 – è comunque significa-

tivo che questa affermazione compaia in un testo ove, appena poche pagine sopra, un intero capitolo era stato dedicato alla “paura e pietà tragiche” e alla loro purificazione, in termini essenzialmente conformi a quelli utilizzati nell’edizione della Poetica. Non abbiamo ulteriori elementi per decidere se que- sto «avvertimento en passant» nasca da una revisione comples- siva della materia; tuttavia, sembra probabile che, dopo aver esposto la sua erudita lettura della tragedia e delle sue pas- sioni, Batteux abbia scelto di schierarsi nei ranghi antitea trali per motivi sostanzialmente pratici, evitando di assumersi il compito problematico di dimostrare che la rappresentazione drammatica delle passioni può essere un innocuo elemento di sicura utilità nell’educazione della gioventù.

La posizione di Batteux, anche se considerata al netto di questo ripudio delle proprie affermazioni precedenti, raf- frontata con quella di Du Bos, si segnala per una tendenza a privilegiare la ragione sulla sensibilità nell’apprezzamento

delle opere artistiche:28 il sentimento del gusto è «sempre

preceduto almeno da un lampo di luce, grazie a cui noi sco-

26. Ivi, p. 240.

27. «Scrivo per i giovani e ho creduto che non solo mi fosse permesso, ma che

fosse mio dovere dare loro questo avvertimento en passant, al fine di metterli in guardia» (ibid.).

28. Cfr. F. Bollino, Du Bos e l’estetica francese del Settecento, in Jean Baptiste Du Bos e l’e- stetica dello spettatore, a cura di L. Russo, «Aesthetica Preprint Supplementa», 2008,

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priamo le qualità dell’oggetto»,29 anche se il lampo è così

rapido da lasciare nella mente solo una flebile traccia, e non è un prodotto immediato della sensibilità.

Per questa ragione, probabilmente, egli si sente in dove- re di ammonire la gioventù rispetto ai rischi in cui possono incorrere caratteri in cui il gusto non si è ancora del tutto formato, con l’esposizione a impressioni intense, come quel- le rappresentate dal corpo vivo dell’attore; il “lampo”, in tal caso, non avrebbe occasione di prodursi, con il pericolo che, senza la guida della ragione, impressioni nocive possano in- fluenzare il processo stesso di formazione del gusto.

Ed è forse questo il motivo per cui i Principes di Batteux trattano ampiamente non solo della tragedia e della com- media, ma toccano anche questioni riguardanti la loro rap- presentazione, come la declamazione, intesa come interpre- tazione verbale e gestuale, seppure – ancora – l’uso come metodo educativo – all’epoca abbastanza comune nei collegi, specialmente in quelli retti dai gesuiti – è in generale sconsi- gliato, e ammesso soltanto in assenza di soluzioni alternative. Queste correzioni di posizione, che non toccano l’impianto generale del pensiero estetico di Batteux, ma sembrano sot- tolinearvi alcune eccezioni, hanno il sapore di una captatio benevolentiae rivolta agli avversari della scena e degli attori, che ancora costituivano la maggioranza tra i letterati e le ge- rarchie ecclesiastiche; allo stesso tempo, tuttavia, implicano una contraddizione evidente, se le riportiamo sul piano del dibattito sulla funzione sociale delle rappresentazioni tea- trali: se infatti il tea tro stava affermando la propria dignità sociale per la sua proprietà educativa, non c’era motivo per- ché se ne dovesse sconsigliare l’uso nelle fasi critiche della formazione dell’individuo.

Nell’epoca dell’Illuminismo, mentre da una parte si indi- vidua nel tea tro un mezzo per educare il cittadino al ruolo da svolgere nel consesso sociale, dall’altra la qualità dell’espe- rienza dello spettatore resta ancora un punto controverso, e quasi paradossale, della questione: l’educazione alla ragione come guida al benessere collettivo doveva passare, infatti, attraverso la dimensione irrazionale delle passioni.