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L’invenzione del dramma in Grecia: i rischi del “gioco”

Te orie e vi sioni de ll ’es perienza

1. L’invenzione del dramma in Grecia: i rischi del “gioco”

In questa sezione non si intende discutere fonti e documenti sulla nascita del tea tro in Occidente, aggiungendo magari nuove ipotesi a un dibattito che, nel corso del tempo, ha evi- denziato l’impossibilità di una prosecuzione, una volta rico- nosciuta l’effettiva assenza di una definita linea genealogica che lega elementi performativi nei riti religiosi e rappresen- tazioni drammatiche. L’intento principale, qui, è segnalare le peculiarità della prima manifestazione del fenomeno che al presente è denominato «tea tro», così come sono descritte, più nel mito e nella leggenda che in termini storici, nella tradizione relativa alla sua comparsa nell’antica Grecia.

Nei primi decenni del secolo scorso, le ricerche indiriz- zate a una ricostruzione delle circostanze della nascita del tea tro furono integrate, in certi casi, dal ricorso ai correnti studi antropologici ed etnologici; in ogni caso, la fonte d’in- formazione principale era comunque la Poetica di Aristotele, con la sua indicazione dell’evoluzione del genere tragico dal ditirambo, in base a una certa serie di trasformazioni, presu- mibilmente assai sensibili ma imprecisate.

Su tale base, numerose ipotesi si sono succedute, accomu- nate dal riferimento a un legame tra i miti dionisiaci e i culti

Teorie e visioni dell’esperienza “teatrale” Edoardo Giovanni Carlotti 4

agrari, e si sono sviluppate in teorie sulla derivazione della tragedia dai riti connessi al “dramma della Natura”, alla sua morte e rinascita nel ciclo delle stagioni in una cultura pre- valentemente agricola. Altri studi hanno anche prospettato che il processo avesse invece avuto origine da culti funera- ri, dal momento che non mancavano documenti attestanti l’affinità tra certi elementi strutturali del dramma e i riti in

onore dei morti.1

Benché nessuna di queste interpretazioni potesse riven- dicare evidenze tali da garantirle la prevalenza sulle altre, in generale si concordava che l’evoluzione del genere dramma- tico andasse ricercata comunque nelle performance rituali, di cui sia l’azione che la maschera erano parte integrante. In real tà, già nel v secolo a.C., l’effettiva connessione tra la tragedia e i culti dionisiaci non era facilmente individuabile, sebbene il fatto stesso che i cittadini ateniesi menzionassero Dioniso, quando intendevano esprimere un giudizio su una rappresentazione, era un chiaro indizio di una stretta rela- zione tra il dio e il tea tro, come anche la concomitanza tra le rappresentazioni drammatiche e le festività dionisiache sembrava confermare. Tanto meno agevole da rinvenire era un eventuale legame con i riti funerari, per quanto la presen- za di eroi fondatori di città come protagonisti delle tragedie

fosse anch’esso un indizio rilevante in tale direzione.2

La sostanza del reciproco legame doveva presumibilmente

1. Per una discussione delle principali teorie, cfr. H. Jeanmaire, Dioniso. Religione e cultura in Grecia, Torino, Einaudi, 1972, pp. 321-331.

2. «La consapevolezza della parziale identità della sfera dionisiaca e di quella

eroica, che si basava sul mito del Dioniso sotterraneo, costituì la premessa della tragedia. Tale consapevolezza venne meno quando un giudizio degli Ateniesi, di- venuto proverbiale, non fu più compreso. Quando una tragedia non era di loro gradimento essi la respingevano dicendo: Oudèn pròs tòn Diónyson – “Non ha nulla a che fare con Dioniso!”. Se questo giudizio si fosse riferito esclusivamente all’ar- gomento, solo un numero assai esiguo di tragedie avrebbe avuto a che fare con Dioniso. Non era dunque un rifiuto contenutistico, bensì un giudizio sull’esterio- rità e superficialità di un dramma, sul suo distacco da quel dio nel cui sacro recinto il dramma stesso veniva rappresentato. La percezione del rapporto immanente, di cui è prova la possibilità di dare un giudizio così svincolato dal contenuto dell’o- pera, non poteva essere trasmessa a tutti coloro che si appropriavano della cultura ateniese. Plutarco appartiene al gruppo di coloro che non poterono più imparare a sperimentare una simile percezione. Già Frinico ed Eschilo, come apprendiamo leggendo Plutarco, avevano tramutato la tragedia in mýthoi e páthe¯, “storie” e “pas- sioni” – naturalmente non dionisiache. Anzi, sembra che già Camaleonte, un allie- vo di Aristotele, abbia imputato a Tespi lo sviamento in campi lontani da Dioniso. Secondo una tale concezione, gli unici lavori tea trali degni di Dioniso sarebbero

Origini nel mito, effetti sulla vita

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essere ricercata in affinità tra l’esperienza del tea tro e quella

del rito che non abbiamo possibilità di indagare.3

Nella cultura Occidentale, a differenza che in Oriente, non possiamo affidarci a un mito di fondazione del tea tro e delle arti performative, da cui possiamo raccogliere elementi intorno ai quali articolare un’idea anche vaga delle ragioni che sottendono il suo emergere; quanto ci è trasmesso dal- la tradizione sul leggendario inventore della tragedia – Te- spi – consiste in informazioni frammentarie. In ogni caso, lie- vi ma significativi elementi di connessione con miti e rituali si possono rinvenire, da una parte, in certi aspetti strutturali del genere tragico in cui l’orizzonte cultuale dionisiaco è impli- cato (Icaria, il villaggio da cui si diceva Tespi provenisse, era

del resto un importante centro della religione dionisiaca);4

dall’altra, nelle trasformazioni seguenti l’introduzione di un soggetto individuale – l’attore – all’interno di una struttura performativa che in precedenza era prerogativa esclusiva di un soggetto collettivo – il coro.

Karl Kerényi riporta e commenta un aneddoto dalla Vita di Solone di Plutarco – molto probabilmente privo di veridi- cità storica5 – in cui l’anziano legislatore è ritratto nell’occa-

sione della sua prima esperienza del tea tro, come spettatore di una rappresentazione del suo stesso creatore:

A quell’epoca Tespi cominciava già a introdurre delle innovazioni nella tragedia, e l’iniziativa incontrava il favo- re della folla per la sua novità, benché non si fosse ancora giunti a disputare delle gare tea trali. Solone, che per tempe- ramento era sempre desideroso di udire e di imparare, e in vecchiaia indulse più che mai ai passatempi, ai divertimenti,

rimasti i drammi satireschi» (K. Kerényi, Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, Milano, Adelphi, 1992, p. 302.)