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F Riccoboni, L’Art du Théâtre cit., pp 91-93.

Te orie e vi sioni de ll ’es perienza

7. F Riccoboni, L’Art du Théâtre cit., pp 91-93.

Teorie e visioni dell’esperienza “teatrale” Edoardo Giovanni Carlotti 126

Sul versante opposto, Rémond de Sainte-Albine propone una concezione di feu assolutamente distante, e ad essa dedica uno dei primi capitoli del volume, che s’intitola appunto «può un Attore avere troppo feu?»:

Ci sono attori che, gridando ed agitandosi assai, si sfor- zano di sostituire con un calore fittizio il feu naturale di cui mancano. Ce ne sono molti a cui la debolezza della costitu- zione e degli organi non permette di utilizzare questa risor- sa. Questi ultimi, non potendo fare in modo di imporsi ai nostri sensi, si vantano d’imporsi al nostro esprit, e sostengo- no che il feu nell’arte della recitazione è più un difetto che una perfezione.

Gli uni sono falsari che ci danno ottone al posto dell’oro; gli altri, sciocchi che pretendono di persuaderci che i rigori dell’inverno sono bellezze della natura, perché essa copre di neve nella maggior parte dell’anno il paese che abitano.

Non dobbiamo affatto essere vittime né dell’artificio dei primi, né dei sofismi dei secondi. Non scambiamo le grida e le contorsioni di un comédien per calore, né il ghiaccio di un altro per saggezza, e, ben lungi dall’imitare certi cultori dell’arte del tea tro, che raccomandano con cura ai debut- tanti di cui interessa loro il successo di moderare il loro feu, riveliamo alle persone di tea tro che non possono averne troppo; che molte di esse hanno la sfortuna di dispiacere al pubblico perché la natura non ha accordato loro questa qua- lità, o perché la timidezza impedisce loro di farne uso; che al contrario alcuni degli attori che sono applauditi godrebbero di una reputazione ancor più diffusa e meno contestata, se fossero più animati da quella fiamma preziosa che in qual- che modo dà vita all’azione tea trale.8

Da un parte, feu indica una modalità di interpretazione at- toriale che, per quanto utile in determinati casi, deve co- munque essere limitata allo stretto necessario (poco sotto, Riccoboni la descrivere come un errore comune ai princi- pianti): dall’altra, lo stesso termine è utilizzato come defini- zione di una dote essenziale al buon attore, la cui mancanza comporta necessariamente il ricorso a mezzi che tentino di surrogarla, come un’esecuzione concitata e roboante, op- pure il degradarsi dell’espressione nella piattezza e rigidità formale.

8. P. Rémond de Sainte-Albine, L’attore, a cura di E.G. Carlotti, in «Acting Archi-

Sensibilità e tecnica nell’esperienza attoriale

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Sia per Riccoboni che per Rémond de Sainte-Albine, il test fondamentale dell’attore è l’effetto suscitato nel pubblico, ma dalle differenze terminologiche trapela qualcosa di più di una mera opposizione di vedute: non è solo il punto di vista dell’attore opposto a quello del critico, ma anche una discordanza di estetiche determinata da una radicale diver- genza di approccio alla questione.

Nel brano tratto dal Comédien, il feu è una sorta di giusto mezzo “naturale”, che si pone tra la freddezza e gli eccessi gestuali e vocali, a cui gli spettatori possono rispondere solo in modo positivo, e tale risposta è provocata dalla percezione della “verità” della rappresentazione, così che il feu è, in un certo senso, l’anima stessa dell’azione scenica, «la celerità e la vivacità con cui tutte le parti che costituiscono l’attore concorrono a dare un’aria di verità alla sua azione»; di con- seguenza,

è evidente che non si può portare troppo calore a tea tro, perché l’azione non può mai essere troppo vera, e di conse- guenza l’impressione non può essere mai troppo pronta né troppo viva, e l’espressione non rispondere troppo in fretta né troppo fedelmente all’espressione.9

Supponendo che l’ultima occorrenza di espressione non sia al- tro che un refuso mai corretto per impressione (supposizione condivisa dalla versione inglese del trattato),10 dal passo si

9. Ivi, p. 287.

10. «Questo fuoco, che noi celebriamo nell’attore, non è altro che una giusta

rapidità di pensiero, e una vivacità di disposizione, solo in concorrenza con la quale tutte le altre qualità che lo costituiscono come buon attore, sono in grado di offrire felicemente i segni della real tà alla sua performance. Quando questo principio è stabilito, à facile concludere che un attore non può mai avere troppo fuoco; dal momento che è impossibile che la rappresentazione del suo personag- gio possa aver mai troppo l’aspetto di real tà; conseguentemente, l’impressione sulla sua mente non può mai essere troppo pronta o troppo viva; né l’espressione di essa può rispondere troppo repentinamente, o troppo fedelmente all’impulso che ne riceve» (Anon. [J. Hill], The Actor: a Treatise on the Art of Playing, London, Griffiths, 1750, p. 36). L’interpretazione di questo passo è dubbia, in special modo per quanto concerne l’ultima frase che, ad esempio, D’Hannetaire elimina diret- tamente nel suo Abrégé du Comédien inserito e commentato nelle sue Observations

sur l’Art du Comédien (Paris, Duchesne/Costard, 1775 [1772], p. 80). In tempi più

recenti, Marc Fumaroli, citando dall’edizione del 1747, riporta: «di conseguenza l’espressione non può essere mai troppo pronta né troppo viva, e l’impressione non rispondere troppo in fretta né troppo fedelmente all’espressione» (Feu et glace: le Comédien de Rémond de Sainte-Albine (1747), antithèse du Paradoxe, in «Revue d’hi- stoire littéraire de la France», 5, 1993, p. 711; [corsivi aggiunti]), invertendo expres-

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deduce che la verità della rappresentazione è funzione diretta della rapidità con cui le impressioni interne dello stato emo- zionale da mostrare sulla scena si trasformano in espressione esterna, e che il “calore” funge da acceleratore del proces-

so.11 L’eccessiva vivacità e la precipitazione, che Riccoboni

ritiene inappropriate come opzioni stilistiche generali, non sembrano essere considerate come scelte volontarie, poiché Rémond de Sainte-Albine intende che il feu sia una disposizio- ne organica, alla quale l’attore può decidere di non ricorrere (comunque per «timidezza», se lo fa) ma che non può mai simulare senza rivelarsi implausibile o addirittura ridicolo. Nel Comédien, il feu – accompagnandosi (e non coinciden- do) con il sentimento, diventa sulla scena energia e vivacità, conseguenze entrambe della trasformazione immediata in espressione esterna delle impressioni suscitate dal “vivere la parte”, e trasmette tramite la rapidità e l’amplificazione «un air de vérité». Il “calore” è allora una caratteristica essenziale di un’interpretazione plausibile, poiché la sola azione sceni- ca, ovvero il contesto in cui l’interpretazione ha luogo, che

sion e impression. Roberto Tessari traduce (dall’«edizione moderna Ponthieu, Paris

1825») come segue: «Ciò premesso, sarà evidente che non può mai esservi troppo calore sulla scena, perché la rappresentazione non potrà mai essere criticata in quanto troppo “vera”, e perché, di conseguenza, […] non si potrà mai deprecare che l’espressione recitata risulti troppo prossima o troppo fedele all’espressione reale» (Teatro e spettacolo nel Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 153; l’omissione è del traduttore). La correzione più logica sembrerebbe tuttavia essere la sostitu- zione dell’expression conclusivo con impression.