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Q.S.F Tertullianus, De spectaculis, a cura di E Castorina, Firenze, La Nuova

Te orie e vi sioni de ll ’es perienza

3. Q.S.F Tertullianus, De spectaculis, a cura di E Castorina, Firenze, La Nuova

Italia, 1961, p. 409.

Teorie e visioni dell’esperienza “teatrale” Edoardo Giovanni Carlotti 62

dov’è la passione, ivi è anche una rivalità [aemulatio], che dà senso alla passione. Ma, a sua volta, dove c’è rivalità ci sono anche il furore, la bile, l’ira, il dolore e tutti gli altri senti- menti che, insieme con questi, non si conciliano con le leggi morali. Se anche, infatti, qualcuno assiste agli spettacoli con moderazione e saggezza, conformemente alla sua posizione sociale o alla sua età o anche al suo carattere, tuttavia non è perfettamente sereno nell’animo e senza una recondita passione nello spirito.5

Come in una sorta di reazione a catena, innescata dal piace- re, lo spirito di ogni spettatore, anche del più temperato, è sottoposto a una sorta di corruzione che, appena poche righe sopra, era stata paragonata alla contaminazione diffusa, tra- mite cibi e bevande, negli organi di chi partecipa ai banchetti in onore degli dèi e dei morti:

Se dunque liberiamo la gola e il ventre da ogni lordura, a maggior ragione gli organi nostri più eletti, gli occhi e le orecchie, teniamo lontani dalle attrattive idolatre, siano consacrate ad idoli, siano consacrate a defunti; esse non pas- sano attraverso gli intestini, ma sono «digerite» attraverso lo spirito e l’anima, la cui lindura importa a Dio più di quella degli intestini.6

Ma la contaminazione che ha origine dagli spettacoli è di natura meno transitoria di quella materiale, che tocca sol- tanto gli organi interni tramite i sensi più umili e in via tem- poranea; ciò che entra attraverso i sensi nobili della vista e dell’udito si sedimenta nell’anima e nella mente, senza che vi sia modo di evacuarlo come escremento. In altre paro- le, le passioni che vengono rappresentate sulla scena non hanno alcuna speranza di essere sottoposte a purificazione o eliminazione, ma continuano ad accumularsi nell’intimo dell’individuo, dove nutrono inclinazioni immorali: l’unica alternativa è evitare di farne esperienza.

Circa due secoli dopo, pur esentando dalla condanna la lettura di testi drammatici per motivi di studio, Girolamo esprimeva opinioni analoghe, e si concentrava sul pericolo costituito dal piacere tratto dai sensi:

5. Ivi, p. 413. 6. Ivi, p. 412.

Imitazione e contagio delle passioni nella polemica antitea trale 63

Attraverso i cinque sensi, come attraverso finestre, i vizi hanno accesso all’anima. Non si può essere presi nella città arroccata della mente, se non ha fatto irruzione dalle sue porte un esercito ostile. Da essi l’anima è gravata di turba- menti [emotivi]: ed è catturata dalla vista, dall’udito, dall’o- dorato, dal gusto, dal tatto. Se qualcuno si diletta dei giochi circensi; delle lotte degli atleti; della agilità degli istrioni; delle forme femminili; dello splendore delle gemme, delle vesti, dei metalli, e di tutte le altre cose del genere, attraverso le finestre degli occhi la libertà dell’anima è catturata, e si compie la profezia: La morte è entrata dalle vostre finestre. A sua volta l’udito è allettato dal suono variato degli strumenti e dalle inflessioni delle voci, e con i versi dei poeti e le strofe e le arguzie delle commedie e dei mimi, qualsiasi cosa entri attraverso gli orecchi indebolisce la virilità della mente. Poi la soavità dell’odore, e i diversi incensi e l’amomo, e il cifo, l’enante, il muschio, e la pellicina d’ermellino, nessuno nega che si addica ai dissoluti e ai donnaioli. Inoltre l’avidità di cibo, che è madre dell’avarizia, e che tiene l’anima come avvinta in ceppi a terra, chi lo ignora? Per un breve piacere della gola, si attraversano terre e mari; e affinché il vino mie- lato e il cibo prezioso ci passi attraverso la bocca, sudiamo la fatica di una vita intera. E il contatto di corpi altrui, e il desiderio più ardente delle donne, è prossimo alla pazzia.7

Dalla sua posizione, ciò che è percepito a distanza tramite i sensi nobili non ha un effetto più lieve di ciò che implica contatto o vicinanza: la visione e l’audizione, su cui si soffer- ma in particolare, sono la punta di lancia di un esercito che fa ingresso nella cittadella della mente per debilitarne le fa- coltà e lasciare libero ingresso ai vizi. Le risposte emozionali, incentivate dalle sensazioni di piacere, appartengono adesso alla dimensione morale: se non sono sinonimi, sono almeno la causa efficiente dei vizi, come già aveva indicato Tertullia- no, ricostruendone il processo di trasformazione attraverso lo studium (sopra tradotto con “passione”, ma, più propria- mente, “desiderio”) e l’aemulatio (“invidia”, “rivalità”).

Le arti performative, come le arti visive, non sono in que- stione come imitazioni, ma come media che propongono modelli per l’imitazione, che non necessariamente devono essere seguiti pedissequamente, dato che l’essere umano ha

7. S. Eusebii Hyeronimi Adversus Iovinianum in Patrologiae Cursus Completus. Series Latina, a cura di J. P. Migne, vol. XXIII, Parisiis, 1883, coll. 310-311.

Teorie e visioni dell’esperienza “teatrale” Edoardo Giovanni Carlotti 64

in sé sufficienti risorse per soddisfare i propri desideri: non è l’esempio in sé a diffondere il contagio, ma il piacere che deriva dalla sua percezione. L’influenza corruttrice della per- cezione visiva e uditiva degli spettacoli non è minore di quella che interessa i sensi meno nobili, in un’evidente parificazio- ne tra l’esperienza della finzione e l’esperienza della real tà. Salviano, nel v secolo, sottolinea a questo proposito che l’influenza corruttrice esercitata dalle rappresentazioni è an- zi più irresistibile di quella che proviene dall’assistere ad atti immorali nella vita reale, poiché in tal caso c’è la possibilità di dissociarsi da chi li compie, mentre il piacere e il consenso uniscono spettatori e attori nella medesima colpa:

[S]olo i crimini dei tea tri non possono neanche denun- ciati in modo onesto. Nel dimostrare l’infamia di queste immoralità càpita infatti all’accusatore un fatto strano, che nonostante sia fuor di dubbio onesto il presunto accusatore, tuttavia non può farlo o parlarne in tutta integrità. E tutti gli altri mali corrompono chi lo compie, non chi li vede o li ascolta. Se si ascolta un blasfemo, ad esempio, non si è corrotti dal sacrilegio, perché si dissente dal sacrilegio con la mente. E se si è testimoni di un furto, non si è disonorati da quell’azione, nella misura in cui la si aborre per princi- pio. Solo le indecenze delle rappresentazioni sono tali da rendere colpevoli al contempo coloro che agiscono e coloro che assistono. Infatti se dinanzi a queste cose le applaudono e le guardano con piacere, le compiono con la loro vista ed il loro consenso.8

Nulla potrebbe essere più lontano dalla nozione di catarsi di queste considerazioni sull’esperienza dell’arte performa- tiva: l’effetto non è infatti l’alleviamento o la purificazione di alcunché, piuttosto la condivisione dell’azione tra chi la compie (quantunque in una modalità fittizia) e chi la per- cepisce in quanto testimone volontario. Anche se teniamo conto della distanza, non solo cronologica, tra i Padri della Chiesa e il culminare del tea tro in Grecia, i motivi della loro sentenza senza appello non possono essere certo ascritti alla decadenza delle arti performative nelle ultime fasi dell’Im- pero Romano. In generale, la condanna prende le mosse dalla convinzione che tutto ciò che fa appello ai sensi sia