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D Diderot, Éléments de physiologie, in OC, vol IX, p 368.

Te orie e vi sioni de ll ’es perienza

30. D Diderot, Éléments de physiologie, in OC, vol IX, p 368.

Teorie e visioni dell’esperienza “teatrale” Edoardo Giovanni Carlotti 144

nare, a mo’ di esempio, alla manifestazione del fenomeno nel caso dell’attore:

L’abitudine fissa l’ordine delle sensazioni e l’ordine delle azioni. Si comanda agli organi con l’abitudine.

Se con gli stessi atti reiterati avete acquisito la facilità di eseguirli, ne avrete l’abitudine. Così un primo atto dispone a un secondo, un secondo a un terzo, perché si vuole fare facilmente quello che si fa; ciò s’intende per la mente e per il corpo. […]

L’attore ha assunto l’abitudine di comandare ai suoi oc- chi, alle sue labbra, al suo volto; poiché è un’abitudine, non è dunque un sentimento improvviso della cosa che dice, è l’effetto di un lungo studio.32

In riferimento alla questione sviluppata nel Paradoxe, l’uso del termine abitudine avrebbe presumibilmente sollevato più obiezioni di quante ne sorsero al momento della sua pub- blicazione postuma nel 1830, giacché avrebbe potuto essere inteso come la base funzionale dell’automatismo dell’espres- sione attoriale, una conferma della sua inquietante natura meccanica. In real tà, la ricognizione dell’importanza che riveste l’aspetto fisiologico nel lavoro dell’attore può essere considerato un argomento aggiuntivo in favore della sua qua- lità creativa, poiché permette, in parallelo con le altre arti, di definire precisamente sia il materiale su cui si opera, sia il processo di elaborazione.

Piuttosto che ricorrere a concetti indeterminati come feu o sensibilité, che originano da tentativi di descrivere la causa di un effetto nei termini di doti innate, come se l’effetto fosse provocato dalla coincidenza di circostanze favorevoli, Dide- rot considera la performance attoriale come il risultato di un processo, sostenendo che la sua manifestazione sulla scena attinge il suo obiettivo, cioè viene percepita come naturale e commovente, soltanto se il processo stesso è consapevolmen- te e deliberatamente controllato in ogni sua fase.

Una simile forma di controllo non implica però che l’e- spressione sia fredda imitazione o contraffazione meccani- ca, ma è piuttosto l’unica garanzia che il processo, parten- reiterate in organi sensibili e vivi. Così prodotto tale movimento in un organo, segue tale sensazione e tale serie di altri movimenti in quest’organo o in altri e tale serie di sensazioni» (ivi, p. 370).

Sensibilità e tecnica nell’esperienza attoriale

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do dall’osservazione del comportamento e componendone gli aspetti significativi in un modello ideale, giunga alla sua conclusione regolando costantemente la pratica sul corpo, finché il modello non assume, per così dire, una vita auto- noma – disanimata, forse, ma non disincarnata: le serie di azioni provate e reiterate si consolidano in un carattere, il cui comportamento sulla scena si struttura su abitudini delibera- tamente acquisite tramite una sorta di autocondizionamento. L’attore incarna il personaggio non in termini di possessio- ne diffusa ed estemporanea, ma gradualmente nel tempo, muscolo dopo muscolo, nervo dopo nervo, finché differenti sequenze di azioni non si depositano nella memoria implicita come elementi costitutivi di una nuova personalità, dotata di una propria – quantunque non totale – autosufficienza.

L’intervento personale cosciente dell’attore è infatti es- senziale, poiché le serie di azioni affidate all’abitudine non possono estendersi a una performance completamente au- tomatica, ma ciascuna di esse richiede una supervisione co- stante, e deve essere corretta o ricombinata in relazione a eventuali e probabili modificazioni delle circostanze della rappresentazione. La condizione dell’attore durante la rap- presentazione è quindi uno stato della coscienza in cui più serie di moduli comportamentali, fissati attraverso l’eserci- zio, sono attivati e controllati – da un punto di vista in un certo senso esterno – in continuo riferimento al modello in- dividuato per la specifica occasione. Il soggetto e l’oggetto coincidono fisicamente, ma è come se agissero in base a due personalità distinte.

Alla luce degli Éléments de physiologie, il dialogo di Diderot sull’attore perde molta della sua coloritura di paradosso, e sorge spontanea la domanda su quale sarebbe stata la sua ricezione effettiva, se ciò che trapela dalle sue pagine fosse stato invece pienamente sviluppato in conformati con gli stu- di fisiologici del philosophe, o anche se le edizioni postume dei suoi scritti avessero sottolineato tale coincidenza di interessi nell’evoluzione del suo pensiero.

Comunque, mettendo da parte queste considerazioni, e prendendo in esame esclusivamente l’aspetto estetico e ar- tistico del Paradoxe, non si può fare a meno di osservare che tutta la sua argomentazione è sostenuta da una profonda riflessione sull’essenza stessa del tea tro, e sul suo carattere di arte regolata da convenzioni molto più elaborate di quelle

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che lo identificano semplicemente come una serie di eventi in evoluzione in uno spazio e tempo fittizi. A differenza dei suoi immediati predecessori, Diderot si premura di sottoli- neare in ogni occasione che la convenzione tea trale non è soltanto l’invenzione di uno spazio e di un tempo non reali, dove il comportamento delle presenze umane mostra (o do- vrebbe mostrare) tutti i segni della real tà, ma è piuttosto un contesto in cui tali presenze si trasformano in immagini che trascendono la condizione umana:

Le immagini delle passioni, a tea tro, non ne sono le vere immagini, ne sono soltanto ritratti eccessivi, grandi carica- ture sottoposte a regole convenzionali. […] Qual è dunque il vero talento? Quello di conoscere bene i sintomi esteriori dell’animo preso in prestito, di fare appello alle sensazioni di coloro che ci ascoltano, che ci vedono, e di ingannarli con l’imitazione di questi sintomi, con una imitazione che ingrandisce tutto nella loro mente e che diventa il loro metro di giudizio; perché è impossibile apprezzare in un altro modo quello che accade dentro di noi. E che cosa ci importa, alla fine, se essi sentono o non sentono, purché noi lo ignoriamo?

Colui che conosce meglio e rende più perfettamente questi segni esteriori, partendo dal modello ideale meglio concepito, è dunque l’attore più grande.33

La convenzione si applica alla rappresentazione della natura umana individuale, che non è mai pedissequamente copiata ma sempre outrée, magnificata nei suoi tratti caratteristici, benché gli spettatori non percepiscano questa differenza, dal momento che colgono questa magnificazione convenzionale come real tà. In questo modo, l’argomentazione del Paradoxe nega il fondo stesso della tesi di chi sosteneva che l’espressio- ne attoriale ha origine nella sensibilità, quando descrive la rappresentazione come una real tà trasformata: se la qualità di un’interpretazione si dovesse misurare secondo la sua ade- renza alla real tà, l’identità tra lo stato emozionale esperito e lo stato emozionale rappresentato, il principio stesso della convenzione tea trale sarebbe annullato, e con esso il suo sta- tuto di espressione artistica.

La ragione per cui un’elaborazione convenzionale è ne- cessaria alla rappresentazione delle passioni è fornita attra-