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La formulazione sopra riportata sembra riecheggiare, in forma estremamente

Te orie e vi sioni de ll ’es perienza

11. La formulazione sopra riportata sembra riecheggiare, in forma estremamente

concisa (e, a dire il vero, anche un poco confusa), concetti che Charles Le Brun aveva espresso nella sua celebre Conférence sur l’expression (Amsterdam, De Lorme / Paris, Picart, 1698), traendoli dai princìpi della fisiologia cartesiana: «L’azione non è altro che il movimento di qualche parte, e il cambiamento non avviene che tramite il cambiamento dei muscoli, i muscoli non hanno movimento che dall’e- stremità dei nervi che passano attraverso, i nervi non agiscono se non tramite gli spiriti contenuti dalle cavità del cervello, e il cervello non riceve gli spiriti se non dal sangue, che passa continuamente attraverso il cuore, che li riscalda e li rarefà in modo tale che produce una certa aria sottile che si dirige sino al cervello e lo riempie. Il cervello così riempito rimanda questi spiriti alle altre parti tramite i nervi che sono come piccoli fili o tubi che portano questi spiriti nei muscoli, più o meno, a seconda di quanti ne abbiano bisogno per compiere l’azione a cui sono chiamati. Così quello che agisce di più, riceve più spiriti, e di conseguenza diviene più gonfio degli altri che ne sono privi, e che per questa privazione sembrano più lassi e più ritirati degli altri». (pp. 5-6) E ancora: «Altri dicono che è nel cuore, perché è in questa parte che si sentono le passioni; e per me, la mia opinione è che l’Anima riceva le impressioni delle passioni nel cervello, e che ne risenta gli effetti sul cuore. I movimenti esteriori che ho notato mi confermano molto in questa mia opinione» (p. 8).

Sensibilità e tecnica nell’esperienza attoriale

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dovrebbe fornire all’attore le impressioni da trasformare, non può mai giungere a un grado di verità tale da suscitare gli stes- si processi che si avvengono nella vita reale, dove le impres- sioni sono più intense e si trasformano in espressioni in via quasi immediata. In altre parole, benché si si ritenga che una riproduzione della real tà sia un obiettivo impossibile, si tiene comunque a rimarcare che, quando la conformazione perso- nale dell’organismo permette a un individuo, in un contesto di finzione, di foggiare il suo comportamento secondo azioni e reazioni apparentemente naturali, la rappresentazione ha attinto, almeno in misura sufficiente, il suo fine prefisso.

Ora, è abbastanza evidente che, nel Comédien, il feu è con- siderato requisito essenziale per interpretare situazioni ove il suo solo sostituto possibile è l’espressione veemente; come suggerisce Riccoboni, una tale veemenza doveva essere allo- ra una costante dell’interpretazione attoriale, spesso spinta oltre il tollerabile, specialmente quando si giudicava che le emozioni richiedessero un’espressione forte. Se entrambi gli autori, da posizioni così diverse, si prendono cura di mettere in evidenza questo fenomeno, ciascuno proponendo il pro- prio approccio alla questione, ciò è presumibilmente il segno che entrambi vi percepivano gli elementi di un mutamento in atto, nel gusto generale come nella pratica attoriale, al quale si doveva contribuire con qualche misura correttiva, richiamano i princìpi fondamentali dell’arte.

Quali fossero tale princìpi era tuttavia materia di dibattito, dal momento che non si poteva fare riferimento a una tradi- zione, a un corpus di precetti condivisi: Riccoboni intende sopperirvi sistematizzando la propria esperienza sulla scena, insieme alle acquisizioni tecniche di una lunga tradizione professionale di famiglia; la via scelta da Rémond de Sainte- Albine parte invece da un esame del panorama della scena corrente, e vi individua, a beneficio sia degli attori stessi che del pubblico, gli esempi di quello che ritiene coerente con i parametri del gusto tea trale.

Le varie differenze terminologiche tra i due trattati rive- lano gli elementi fondamentali delle rispettive argomenta- zioni: nel caso del Comédien, è sentiment la parola chiave che, negli attori, è «la facilità di far succedere nella loro anima le diverse passioni di cui l’uomo è suscettibile», per cui «quan- do non si provano le emozioni che si ha in progetto di ma- nifestare, non se ne presenta che un’immagine imperfetta,

Teorie e visioni dell’esperienza “teatrale” Edoardo Giovanni Carlotti 130

e l’arte non prende mai il posto del sentimento»;12 nell’Art

du Théâtre lo stesso termine non si riferisce alla condizione interiore dell’attore, ma all’espressione esteriore, a ciò che deve essere prima conosciuto e ben padroneggiato per essere rappresentato:

I movimenti che nascono nell’anima con più prontezza, senza l’aiuto della riflessione, e che dal primo momento ci determinano quasi malgrado tutto, sono i soli che dovrebbe- ro portare il nome di sentimenti. Ce ne sono due che sono dominanti, e che si possono considerare come la fonte di tutti gli altri, cioè l’amore e la collera.13

Riccoboni suddivide i sentimenti per qualità e intensità, per cui «la gioia, la tristezza, la paura, sono semplici impressioni. L’ambizione, l’avarizia sono passioni riflettute»; «la pietà è un sentimento che nasce dall’amore; l’odio e il disprezzo sono figli della collera»,14 e i due sentimenti dominanti si dispie-

gano per gradazioni che indicano le linee guida dell’espres- sione, quantunque in ogni caso debba essere valutata ogni sfumatura propria alla particolare situazione drammatica. I suggerimenti offerti – come non è difficile intuire – riguarda- no ciò che l’attore deve manifestare, tramite la voce e il gesto, nelle condizioni specifiche della performance; la questione relativa al sentimento veramente provato è invece, più che sottovalutata, descritta invece come frutto di un malinteso circa la sostanza stessa della rappresentazione, alimentato in una certa misura dagli attori stessi:

Quando un Attore rende con la forza necessaria i senti- menti del suo ruolo, lo Spettatore vede in lui l’immagine più perfetta della verità. Un uomo che fosse veramente in una situazione simile, non si esprimerebbe in maniera diversa, ed è fino a questo punto che bisogna spingere l’illusione per interpretare bene. Stupiti da un’imitazione del vero così per- fetta, alcuni l’hanno scambiata per la verità stessa, e hanno creduto l’Attore commosso dal sentimento che rappresenta- va. L’hanno colmato di elogi, che l’Attore meritava, ma che originavano da un’idea falsa, e il Comédien che aveva il suo