• Non ci sono risultati.

Il Paradoxe alla luce della fisiologia

Te orie e vi sioni de ll ’es perienza

3. Il Paradoxe alla luce della fisiologia

Nel Paradoxe sur le comédien, l’approccio di Diderot alla que- stione della sensibilità dell’attore non appariva certo in linea con l’intento di fornire la giustificazione al diritto dell’attore di avere piena cittadinanza nell’assemblea umana, cancel- lando il marchio che ne segnava da secoli la professione; tuttavia, il suo discorso non si fonda su considerazioni simili a quelle di Rousseau, ma prende le mosse dall’analisi dei motivi che ne hanno determinato l’emarginazione sociale:

Che cosa li spinge a calzare il socco o il coturno? La man- canza di educazione, la miseria e il libertinaggio. Il tea tro è un ripiego, mai una scelta. Nessuno è mai diventato attore per il piacere della virtù, per il desiderio di essere utile alla società e di servire il proprio paese o la propria famiglia, per qualcuno degli onesti motivi che potrebbero spingere uno spirito retto, un cuore generoso, un animo sensibile verso una professione così bella.26

Configurandosi come un’attività non inserita nel tessuto so- ciale, priva di un percorso che si dispiega per fasi successive dall’apprendistato all’esercizio riconosciuto, senza legitti- mazione della sua utilità per la collettività, la professione di attore è stata per tradizione il rifugio di chi non poteva ap- profittare di opportunità migliori; Diderot si premura però di sottolineare, all’inizio delle sue osservazioni, che la con- statazione della situazione non vuole essere una conferma dei pregiudizi contro la scena, ma l’indicazione della loro origine. In real tà, se – come le altre professioni – quella atto-

26. D. Diderot, Paradosso sull’attore, a cura di P. Rossi, Milano, Abscondita, 2002,

Teorie e visioni dell’esperienza “teatrale” Edoardo Giovanni Carlotti 140

riale fosse stata dotata di un suo sistema educativo, in grado di trasmettere, insieme a princìpi intellettuali e morali, la consapevolezza della funzione sociale del tea tro, chi l’avesse abbracciata ne avrebbe ottenuto eguali vantaggi, e la coscien- za del proprio ruolo come cittadino.

La suscettibilità degli attori ad assumere qualsiasi carat- tere venga loro affidato, per Diderot, ne rivela la mancan- za di un carattere individuale, la cui formazione è favorita dall’educazione e dall’integrazione nella società; in assenza di ciò, non può costituire motivo di sorpresa il fatto che chi appare sulla scena è solitamente privo della cognizione del valore sociale della propria attività, come dimostra – secondo il filosofo – l’invidia per il successo dei colleghi, connotato comune che non avrebbe ragione di manifestarsi se gli attori valutassero il proprio lavoro in termini di utilità pubblica, dal momento che tutta la società dovrebbe avere beneficio dalle rappresentazioni tea trali.

Tali osservazioni hanno naturalmente alla loro base i pro- getti per una riforma del tea tro che Diderot aveva esposto negli anni precedenti alla stesura del Paradoxe, dove – sebbe- ne venga espresso l’auspicio di poter ammirare, in un futuro prossimo, l’esibizione di attori che manifestino le qualità del perfetto citoyen insieme al loro talento professionale – l’argo- mentazione si limita all’analisi della condizione dell’attore nello stato delle cose corrente.

La nozione attorno alla quale si sviluppa il dialogo su cui è costruito il volume è quella di sensibilité, che viene definita come una disposizione fisica che in sé non implica connota- zioni positive o negative, ma che si rivela nell’individuo come inclinazione all’eccesso comportamentale:

Sarebbe uno strano abuso verbale chiamare sensibilità questa capacità di esprimere tutte le nature, anche quelle feroci. La sensibilità, secondo l’unica accezione in cui finora è stato usato questo termine, a me sembra quella disposizio- ne connessa alla debolezza degli organi, effetto della mobi- lità del diaframma, della vivacità dell’immaginazione, della delicatezza dei nervi, che induce a compatire, a fremere, ad ammirare, a temere, a turbarsi, a piangere, a svenire, a soccorrere, a fuggire, a gridare, a perdere la ragione, a esa- gerare, a disprezzare, a respingere, a non avere alcuna idea precisa del vero, del buono e del bello, ad essere ingiusto, ad essere pazzo. Moltiplicate gli animi sensibili e moltiplichere-

Sensibilità e tecnica nell’esperienza attoriale

141

te in uguale proporzione le buone e le cattive azioni di ogni genere, gli elogi e i rimproveri eccessivi.27

Più che una condizione caratteriale tipica dell’attore, la sen- sibilità è uno stato di smodata reazione agli stimoli ambien- tali, che dovrebbe magari essere valutato dal drammaturgo in relazione agli spettatori, al fine di evitare di sovraccaricarli di emozioni che non sono in grado di sostenere. Chi invece sale sulla scena, non dovrebbe esserne soggetto, in quanto la sensibilità non può che essere di ostacolo all’espressione:

Essere sensibile è una cosa, ma sentire è un’altra. La prima è una questione d’animo, la seconda d’intelligenza. Si può sentire intensamente e non sapere esprimere; ci si può esprimere, da soli, in società, all’angolo del focolare, leggendo, recitando per pochi ascoltatori, senza saper espri- mere nulla di valido a tea tro; a tea tro, con ciò che chiamia- mo sensibilità, animo, passione, si può recitare bene una o due tirate, ma si fallisce in tutto il resto; abbracciare l’intera estensione di un grande ruolo, combinarvi i chiaroscuri, i toni dolci e quelli lievi, apparire coerente sia nei momenti tranquilli che in quelli agitati, essere versatile nei dettagli, armonioso e unitario nell’insieme, e formarsi un sistema di declamazione saldo, capace addirittura di riscattare le biz- zarrie del poeta: tutto ciò è l’opera di una mente fredda, di un’intelligenza profonda, di un gusto squisito, di un’appli- cazione faticosa, di una lunga esperienza e di una tecnica di memoria poco comune. La regola qualis ab incoepto processerit

et sibi constet, che per il poeta è molto rigorosa, per l’attore lo

è addirittura nelle minuzie; chi esce della quinte senza aver chiaro il modo di recitare e senza conoscere bene la parte, sosterrà per tutta la vita il ruolo di un debuttante; e se, dotato di intrepidezza, di sicumera e di estro, e contando sulla sua agilità di mente e sull’abitudine del mestiere, quest’uomo vi si imporrà con il suo calore e con la sua ebbrezza, voi applaudirete la sua recitazione come un esperto di pittura sorride ad uno schizzo spregiudicato dove tutto è accennato e nulla è risolto.28

Limitando a poche frasi l’esposizione della sua idea di buo- na esecuzione attoriale – cui i suoi predecessori avevano de- dicato più ampie argomentazioni – Diderot ne individua la

27. Ivi, p. 47. 28. Ivi, pp. 73-74.

Teorie e visioni dell’esperienza “teatrale” Edoardo Giovanni Carlotti 142

causa efficiente nel sentir, che si compone di intelligenza, gusto e giudizio, le sole qualità che – sostenute da studio ed esercizio – possono permettere all’attore di rendere una par- te secondo la complessità e la varietà delle sfumature che necessita.

La sensibilità, l’anima (âme), la passione (letteralmente entrailles, cioè «viscere») – parole chiave degli emozionali- sti – diventano pressoché sinonimi per indicare un’esecu- zione attoriale che coglie il suoi obiettivo solo a momenti, poiché la «mobilità del diaframma», che è la base fisiologica dl fenomeno, impedisce che la parte sia interpretata secondo un disegno complessivo e determina la perdita di controllo sull’espressione. Al contrario, l’esecuzione ideale si basa sul controllo completo degli impulsi viscerali, a cui contribuisco- no sia l’elaborazione intellettuale della parte, sia l’esercizio e l’esperienza. La sensibilità, se non è assente in partenza, deve almeno essere tenuta a freno – e ciò può anche verifi- carsi come un condizionamento nel tempo, attraverso una pratica costante.

L’attenzione di Diderot al processo di creazione artistica, paragonato al metodo scientifico – come ha osservato Joseph

R. Roach29 – fornisce al Paradoxe lo spunto per estendere il

discorso oltre i limiti consueti delle opere consimili: l’osser- vazione, la riflessione e l’esperienza sono i tre stadi successivi di un procedimento che mira alla comprensione delle leggi di natura, nel quale si giunge al passaggio conclusivo tramite il costante riferimento ai dati raccolti nella prima fase e ai modelli elaborati nella seconda. Nel caso dell’attore, l’osser- vazione del comportamento umano porta alla concezione di un modello ideale, che è il “materiale” su cui si esercita l’atto creativo mediante il lavoro sul corpo; la memoria e la rifles- sione, rispettivamente, registrano i dati ed elaborano il model- lo, contribuendo alla formulazione di un’ipotesi da passare alla verifica sperimentale, cioè la valutazione dell’efficacia di un’immagine rappresentativa, foggiata sulla materia organica del corpo, che non è una copia né un prodotto di fantasia, benché abbia elementi di entrambi. Verificata l’efficacia, la pratica costante permette all’attore di incorporare azioni,

29. Cfr. J.R. Roach, The Player’s Passion: Studies in the Science of Acting, Newark, Univ.

Sensibilità e tecnica nell’esperienza attoriale

143

gesti e vocalità e di reiterarli a piacimento, senza necessità di focalizzare l’attenzione sui dettagli di meccanica motoria.

Negli anni della redazione de Paradoxe a partire dalla Observations sur Garrick, gli studi fisiologici di Diderot si era- no concretizzati prima nei dialoghi del Rêve de d’Alembert e, successivamente, sarebbero stati sottoposti a un tentativo di sistematizzazione negli incompiuti Éléments de physiologie. In quest’opera, nella sezione dedicata alla memoria – esaminata in parallelo all’immaginazione – il philosophe espone la sua ipotesi della plasticità cerebrale dopo aver descritto alcuni casi di memoria inconscia, che si erano manifestati come improvvisi riversamenti di dati inconsapevolmente raccolti, senza alcuna deliberata intenzione di registrarli, nel corso di occupazioni abituali (tra cui assistere a rappresentazioni). La tesi è la seguente:

Considerate la sostanza molle del cervello come una mas- sa di cera sensibile e viva, ma suscettibile di ogni sorta di forme, che non perde alcuna di quelle che ha ricevuto e ne riceve incessantemente di nuove che conserva.

Bene, ecco il libro, ma dov’è il lettore? Il lettore? è il libro stesso, perché questo libro è senziente, vivente e parlante, cioè comunicante o tramite suoni o tramite segni distintivi l’ordine delle sue sensazioni.

E come legge se stesso? Sentendo ciò che è e manifestan- dolo tramite suoni.30

La memoria ha sede nel cervello ed è il fondamento della coscienza, dal momento che ordina le sensazioni esterne e interne e permette l’azione, in conformità con il pensiero e la deliberazione; tuttavia, essa raccoglie i dati dell’esperienza non solo su base volontaria, proprio come il corpo umano non agisce solo in base ad azioni motorie volontarie, per cui anche i muscoli soggetti al controllo cosciente entrano in azione frequentemente senza la necessità dell’impulso della volontà. La reiterazione delle azioni si trasforma quindi in abitudine, e le azioni divenute abituali possono essere ese- guite senza fare ricorso al controllo cosciente, se non al loro avvio, poiché i loro processi motori sono stati registrati nella

memoria inconscia.31 La trattazione ha occasione di accen-