Te orie e vi sioni de ll ’es perienza
7. Ivi, p 45 8 Ibid.
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cercarla malgrado le idee tristi e moleste che l’accompa- gnano e la seguono. Un moto mal represso dalla ragione fa sì che molte persone inseguano gli oggetti più idonei a straziare il loro cuore.9
Il fascino esercitato dai tali spettacoli, in cui ogni accadimen- to è reale e non prodotto di artificio, è paragonato a quello di certe attività, come il gioco d’azzardo, dove l’agitazione emozionale provocata risulta tanto gratificante in se stessa da cancellare la consapevolezza dei rischi che implica per l’individuo. Tuttavia, mentre tali attività richiedono il coinvol- gimento in prima persona e non risultano essere ugualmen- te attraenti per tutti, gli spettacoli violenti sembrano invece esercitare il loro richiamo su inclinazioni comuni indistinta- mente a tutta l’umanità.
La tesi di Du Bos sulla funzione dei prodotti artistici è quindi esposta nei termini di un’interrogazione retorica:
Poiché le passioni reali che procurano all’anima le sen- sazioni più forti provocano conseguenze così spiacevoli, dal momento che i momenti felici che ci fanno gioire sono se- guìti da giornate così tristi, l’arte non potrebbe trovare il modo di separare le cattive conseguenze di molte passioni da quanto esse hanno di piacevole? L’arte non potrebbe creare, per così dire, esseri di una nuova natura? Non po- trebbe produrre degli oggetti che suscitassero in noi passioni artificiali in grado di tenerci occupati nel momento in cui le sentiamo e incapaci, in seguito, di essere causa di pene reali e di vere afflizioni?10
Evitando una discussione in termini di morale, ma ammetten- do che le passioni possono provocare evidenti e verificabili conseguenze sgradevoli sul piano materiale, Du Bos ipotizza che l’arte abbia la funzione di permettere l’esperienza delle passioni senza effetti collaterali. Accogliendo come base della sua argomentazione l’enunciato aristotelico sulla proprietà che le imitazioni hanno di suscitare sensazioni piacevoli an- che quando l’oggetto reale dell’imitazione provoca orrore o disgusto, le Réflexions estendono il parallelismo alle passioni suscitate dall’oggetto, e lo definiscono come copie del loro analogo nella vita reale; per questo motivo, le copie delle
9. Ivi, p. 46. 10. Ivi, p. 52.
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passioni, essendo prive dell’energia che hanno i loro modelli nella real tà, sono costituite da una «sostanza» diversa, sono meri «fantasmi» o ombre degli stati che rappresentano; in quanto tali, esse occupano la mente solo fugacemente, e in maniera innocua, essendo percepite secondo la loro natura di illusioni artificiali.
Di conseguenza, la peculiarità dell’arte, e il suo fine spe- cifico, secondo Du Bos, sta nel suo potere di trasmettere, attraverso la contraffazione dell’oggetto, la contraffazione della passione che l’oggetto susciterebbe nella vita reale. La risposta emozionale all’oggetto non proviene però dall’illu- sione della sua real tà, perché la consapevolezza del contesto in cui l’imitazione si presenta non è un ostacolo all’emozio- ne, ma pone le basi per un’esperienza diversa dell’emozione stessa. Al caso particolare del tea tro è dedicato un passo che comparirà nella seconda edizione del trattato:
Non potrebbe esserci illusione nella mente di un uomo di senno a meno che precedentemente i suoi sensi non ab- biano subito un’illusione. Ora, tutto quello che noi vediamo a tea tro concorre a emozionarci ma niente dà illusione ai nostri sensi perché tutto si presenta come un’imitazione. Nulla vi compare, per così dire, se non come copia. Non andiamo a tea tro con l’idea di vedere veramente Chimène e Rodrigue. Non siamo avvertiti come chi, dopo essersi lasciato convincere da un mago che vedrà un fantasma, entra nella caverna in cui questo deve apparire. Tale anticipazione ci predispone all’illusione, come però non succede a tea tro. Il cartellone ci ha promesso soltanto un’imitazione o delle copie di Chimène e Fedra. Arriviamo a tea tro, pronti per quello che vedremo; inoltre ci passeranno continuamente sotto gli occhi centinaia di cose che da un attimo all’altro ci faranno ricordare il luogo dove siamo e cosa siamo. Lo spet- tatore conserva dunque il suo buon senso malgrado la più viva emozione. Ci si appassiona senza sragionare. Tutt’al più può capitare che un giovane di natura sensibile sia talmente trasportato dalla novità di quel divertimento che l’emozione e la sorpresa gli facciano fare esclamazioni o gesti involontari tali da provare che egli non si cura effettivamente del con- tegno da tenere in pubblico. Ma presto si accorgerà del suo smarrimento momentaneo o meglio della sua distrazione. Infatti non ha creduto di aver visto, nell’esaltazione, Rodri- gue e Chimène. È soltanto rimasto colpito profondamente
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come se avesse realmente visto Rodrigue ai piedi dell’aman- te di cui ha ucciso il padre.11
Il contesto della rappresentazione contribuisce, da una par- te, a impedire che l’emozione influenzi negativamente la facoltà dello spettatore di discriminare tra imitazione e real- tà; dall’altra, che possano emergere impressioni sgradevoli o nocive, come nell’esperienza di situazioni analoghe nella vita reale: questa duplice proprietà è estesa anche alla pittura e alla scultura e, in generale, a tutti i prodotti di imitazione.
L’espressa menzione del Cid di Corneille e della Phèdre di Racine, di cui molti sconsigliavano la rappresentazione su basi morali (Riccoboni le include entrambe tra le pièce à réjeter), è significativa dell’attitudine di Du Bos in merito alla questione: a suo parere, la dinamica dell’esperienza permette allo spettatore maturo di sottrarsi ai rischi di un eccessivo coinvolgimento emozionale, e di esercitare le pro- prie facoltà di discernimento. L’accenno a possibili effetti indesiderati su spettatori ancora impreparati, d’altra parte, suggerisce comunque l’opportunità di riservare particolare attenzione, sia nell’arte drammatica che nelle arti visive, ai soggetti da trattare, per conformarsi al buon gusto e alle con- venienze, giacché non si nega che lo spettatore possa subire qualche influenza dalle rappresentazioni; a questo riguardo, il concetto aristotelico di catarsi è preso in considerazione e sviluppato in senso allopatico,12 viene biasimato l’eccesso di
passione amorosa nelle tragedie, e vengono proposti esempi e aneddoti per sostenere che le rappresentazioni artistiche possono essere di utilità per correggere i comportamenti. In ogni caso, le considerazioni sulle conseguenze sono margi- nali all’argomentazione principale: l’interesse si concentra più sull’effetto immediato, e tale effetto è identificato con la commozione dello spettatore, che secondo Du Bos è suscitata dalla presentazione di immagini della vita distillate nella loro espressione essenziale, priva di incertezze e ambiguità, ciò
11. Ivi, p. 129.
12. «La tragedia pretende che tutte le passioni che dipinge ci commuovano; ma
non sempre la nostra affezione deve essere la stessa di quella del personaggio tor- mentato da una passione né sempre dobbiamo sposare i suoi sentimenti. Il più delle volte scopo del poema tragico è di suscitare in noi sentimenti opposti a quelli vissuti dai suoi personaggi» (ivi, p. 135).
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che non avviene nell’esperienza ordinaria, dove le passioni non si manifestano mai in purezza.
L’atteggiamento di Du Bos verso la questione della morali- tà dell’arte, in special modo nel caso delle arti performative, rivelandosi più per accenni occasionali che attraverso una discussione dettagliata,13 è improntato all’indifferenza etica
e allo scetticismo, e si appoggia a considerazioni pragmatiche piuttosto che di principio, per giungere a conclusioni come «accontentiamoci di dire che la società che escludesse dal suo grembo tutti i cittadini la cui arte potrebbe essere nociva,
diverrebbe presto il regno della noia».14 D’altra parte, l’o-
biettivo del trattato consiste nel sottolineare che l’esperienza estetica è un fenomeno peculiare, e in quanto tale soggetto a forme di giudizio specifiche: il concetto di «sesto senso» – la sensibilità, che non risiede in un organo del corpo preci- so – è introdotto appositamente per indicare cosa consente di valutare un’opera d’arte, il cui fine primario è sempre il piacere e l’emozione.
La sensibilità ha la funzione di elaborare nell’immediato le impressioni sensoriali, raccolte da vista e udito, preceden- do nell’emissione di un giudizio la ragione, a cui è riservata una seconda fase dell’esperienza estetica, che riguarda la va- lutazione della qualità delle impressioni. Con un’espressione tratta da Platone, la sensibilità è definita come la facoltà di apprezzare ciò che viene percepito dai sensi «senza consulta- re la riga e il compasso»,15 per cui il suo ruolo centrale spinge
in secondo piano le regole e le norme, dal momento che il successo di un’opera d’arte non dipende dal fatto che siano osservate, ma dalla effettiva risposta degli spettatori in termi- ni di piacere e commozione. L’atteggiamento critico, sui cui parametri si basa la valutazione estetica, è acquisito tramite l’esperienza e la comparazione, non la verifica dell’applica- zione delle regole: gli ingredienti e le metodologie sono ir- rilevanti di fronte al risultato.
Pur sostenendo che il pubblico è il giudice più affidabile del valore di un’opera d’arte, Du Bos tuttavia precisa che il termine «si riferisce qui alle persone illuminate dalla let-