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Le città italiane come scrinia sanctorum. Pier Damiani interprete delle coscienze collettive

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 113-126)

III. I L SERMONARIO DI SAN P IER D AMIANI TRE RETORICA , AGIOGRAFIA E PUBBLICO

III.3. Le città italiane come scrinia sanctorum. Pier Damiani interprete delle coscienze collettive

Trattando di comunicazione orale, non è possibile tralasciare l’uditorio cui si rivolge Pier Damiani. Il fatto che i sermoni siano stati rielaborati col fine di essere riutilizzati negli anni a venire in occasione delle specifiche celebrazioni eucaristiche non oblitera totalmente il contesto originario in cui furono pronunciati o, quantomeno, non in tutti i casi. Alcune orazioni presentano un’impostazione incentrata totalmente sull’identificazione santo-città e regalano talune volte delle informazioni precise su aspetti politici delle stesse, talaltre, pur nell’ambiguità del luogo, fanno risaltare aspetti della religiosità popolare e della società che si coagula attorno al culto del proprio patrono.

Per chi non avesse ancora letto il sermonario damianeo, la prima ricerca ai fini del suo impegno riformistico sarebbe relativa all’attività romana dell’Avellanita ed effettivamente esistono dei sermoni pronunciati nell’Urbe. Il problema, piuttosto, risiede nel fatto che questi stessi sermoni non contengano espliciti appelli ai cittadini romani o apostrofi alla Città Santa, come invece accade di frequente in altri casi. I soggiorni romani devono essere stati frequenti soprattutto fino 1061, anno in cui finalmente papa

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Alessandro II acconsente alla richiesta del Damiani di ritorno all’eremo, rinunciando (o meglio, sperando di rinunciare) agli impegni imposti dalla porpora cardinalizia. Già Lucchesi si chiedeva dove egli risiedesse in tali occasioni e la risposta viene probabilmente proprio dal sermonario. I sermoni III, XX e XXVIII celebrano santi a cui in Roma erano intitolati famosi monasteri: SS. Alessio e Bonifacio e Anastasio alle Tre Fontane. In particolare, il legame più forte era con il monastero sull’Aventino di cui conosceva benissimo la storia e che rappresentava il centro monastico della riforma a Roma, ed è probabilmente quello il luogo in cui egli soggiornava durante i pellegrinaggi romani.27

Se per Roma, non abbiamo riferimenti espliciti alla città, ma al culto di alcuni santi ivi celebrati, discorso leggermente diverso può essere fatto riguardo alla città di Arezzo, questa era infatti una sorta di santuario della Toscana, in quanto ospitava i resti mortali di ben sette martiri: il vescovo Donato, l’eremita Ilariano, le vergini Flora e Lucilla, i fratelli Laurentino e Pergentino, oltre al celebre vescovo di Benevento Gennaro (cui dedica l’inno Lokrantz 51). L’interesse per questa città è esclusivamente religioso e non legato al movimento di riforma e alla lotta contro la simonia e il concubinato del clero. Il suo ruolo in questa città risultava essere quello di pellegrino e non di vescovo o cardinale, motivo per cui il nome di Arezzo è riscontrato più che altro nei sermoni. Egli si reca nella città come pellegrino per venerare le reliquie qui custodite28 e forse anche con il velato intento di portare il vescovado e il monastero delle SS. Flora e Lucilla dalla parte dei riformatori.29

Nel sermone XXXVIII per i santi Donato e Ilariano compare l’apostrofe alla città in chiusura:

27 Lucchesi G., Il sermonario di s. Pier Damiani come monumento storico agiografico e liturgico, in Scritti minori di Giovanni Lucchesi, op. cit., p. 153.

28 Ibidem.

29 Licciardello P., Agiografia aretina altomedievale. Testi agiografici e contesti socio-culturali ad Arezzo tra VI e XI secolo, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2005 (“Millennio medievale”, 56, Strumenti e studi, n.s., 9), p. 213-215.

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Laetare et tu felix Aritium, quod talem meruisti ex divina liberalitate patronum.

Laetare, inquam, et totis in Domino visceribus gratulare; quia, dum sacri corporis in tuo gremio confoves glebam, diadematis superni regis solemniter imprimendam contines margaritam. Thesaurum servas, cui non aurum digne conferri, non ulla quarumlibet opum summa valet aequari. Unde non jam Aritium ex more dicaris, quod ab ariditate terrae tibi constat nomen impositum, sed tu Auritium potius a pretiosissimo scilicet sacri cadaveris auro, quod in tuis visceribus probatur occultum. 30

L’accento è posto proprio sulla summenzionata peculiarità della città di Arezzo, nobilitata dalla presenza di reliquie di grande prestigio come quelle dei due santi qui celebrati. La stessa etimologia offre lo spunto per esaltare il ruolo di custode dei santi resti, come se la città fosse uno scrigno contenente oro, tenendo sempre presente che per i medievali non è mai casuale il fatto che in un luogo ci sia un’alta concentrazione di reliquie: sono gli stessi martiri a scegliere dove far risiedere i loro resti mortali per l’eternità.

Se Arezzo era la città che «irradiava la sua luce su tutto il corpo della Tuscia» a dire di Pier Damiani31, non da meno era la sua città natale, Ravenna. La maestosità della città romagnola si evince dai suoi monumenti di epoca paleocristiana e bizantina, basti qui ricordare il celeberrimo mausoleo fatto costruire da Galla Placidia o la chiesa dedicata a san Giovanni evangelista, anch’essa commissionata dall’imperatrice reggente. Proprio a quest’ultimo santo Pier Damiani dedica i sermoni LXIII e LXIV e l’elenco dei santi ravennati celebrati è il più lungo dell’intera produzione omiletica: il sermone LXV per Barbaziano, i sermoni IV e V per Severo, il VI per Eleucadio, i sermoni XXX, XXXI e XXXII per Apollinare32. Quest’ultimo doveva la sua formazione direttamente

30 Migne PL 144, coll. 705D-710C; CCCM 57, pp. 233-239, Facchini – Saraceno, vol. 2. Cit. da coll. 709D-710A

31 Lucchesi G., Il sermonario di s. Pier Damiani come monumento storico agiografico e liturgico, in Scritti minori di Giovanni Lucchesi, op. cit., p. 154.

32 Apollinare, protovescovo ravennate, è tra i santi a cui Pier Damiani dedica il maggior numero di testi eucologici, vi sono le formule per la celebrazione eucaristica 36-39, gli inni 40-42 (OPD 4, pp. 174-181) e i sermoni 30-32. Apollinare è colui che ha portato il cristianesimo nella città natale dell'Avellanita, non stupisce dunque la grande importanza attribuitagli dall'autore, viene addirittura coniato un nuovo epiteto per questo santo, cioè martyr apostolicus. Apollinare è un vescovo elevato come un apostolo e

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all’apostolo Pietro, suo allenatore nei certamina persecutionum, come viene definito nel sermone XXX e qui Pier Damiani riporta una serie di discorsi motivazionali del principe degli apostoli nel continuo paragone tra l’agone fisico e quello spirituale. Ravenna è una città pericolosissima per i cristiani nel I secolo, secondo Pier Damiani33, che nel descriverla come tale ne esalta la grandezza ormai millenaria definendola multarum urbium domina. Ma l’elogio più esplicito alla gloria della città si riscontra nel sermone successivo34 dove, attraverso il rapporto tra Pietro e Apollinare, viene delineata la figliolanza spirituale di Ravenna da Roma in un lungo incipit:

consacrato come un patriarca, riunisce in sé tre ruoli, che Pier Damiani esalta grazie all'epiteto coniato per l'occasione.

33 La convinzione che fosse stato lo stesso Pietro ad inviare Apollinare è la base di tutta l'orazione di Pier Damiani, egli però conosce solo elementi agiografici di tradizione medievale. Il testo di riferimento è quello di BHL 623, citato spesso alla lettera e attribuito a sant'Ambrogio; la linea apostolica diretta che va da Pietro ad Apollinare pone la sede ravennate come svincolata da possibili soggezioni in quanto, appunto, sede apostolica. La questione dell'autocefalia ravennate nasce nel VI secolo e si protrae fino al 666, anno in cui gli imperatori Eraclio e Costante emanano il diritto all'indipendenza tramite decreto. La passio BHL 623 era contenuta anche nel disperso codice avellanita. (Pier Damiani, Petri Damiani Sermones, a cura di U. Facchini - L. Saraceno, Città Nuova).

34 Sermo XXXI (Migne, PL 144, coll. 670A-673D; CCCM 57, pp. 179-183; Facchini - Saraceno, pp. 446-453). Intorno alla metà del sermone si assiste ad uno dei vertici retorici dell'intero sermonario damianeo, l'Avellanita attacca la folla scalpitante di fronte ad Apollinare, immagina l'intera scena del martirio del santo e si interpone tra questo e la turba. È un attacco diretto, come se di fronte a lui non ci fossero più i pii cittadini cristiani, riunitisi per assistere alla celebrazione del santo, ma una moltitudine di pagani assetati di sangue cristiano e di violenza. Nel mettere per iscritto questo sermone Pier Damiani ha reso tutta l'enfasi dell'oratoria, gli artifici retorici sono portati all'estremo, le domande incalzanti rivolte alla folla e le successive risposto danno la sensazione di chi è partecipe alle vicende narrate. Il suo scopo è mortificare i pagani immaginati davanti a sé, far capire che la forza del soldato di Cristo è data proprio dalle brutalità carnali a cui è sottoposto, in tal modo egli subisce la gloria del martirio e la sua anima, non solo non è danneggiata, ma anzi ne esce ricolma di Spirito Santo. Passando alla folla dei fedeli realmente di fronte a lui certamente un tale discorso avrà attirato l'attenzione sul predicatore facendo sentire maggiormente la forza del martire nella sua morte per Cristo e coinvolgendo emotivamente tutti gli astanti.

È questo che Pier Damiani avrà voluto ottenere con il suo energico discorso e risulta difficile pensare che non l'abbia effettivamente ottenuto.

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Gaudeat Antiochia, quae talem meruit gignere filium; exsultet Roma, quae talem potuit habere discipulum; praecipue vero jubilet urbs Ravenna, quae tantum meruit referre patronum. Quae enim erat daemonum antea delubrum, per hunc coelestium senatorum facta est capitolium. Ibi enim jam martyrum corpora requiescunt, ibi multorum sanctorum patrocinia reconduntur. Quae ergo prius male fecunda in filiis suis multas stipulas germinabat inferno, jam per Dei gratiam multos cives parturit coelo 35

Difficile immaginare un elogio più grande per una città, l’Avellanita giunge a scomodare non solo l’Urbe ma anche Costantinopoli e Antiochia (città d’origine di Apollinare). Ne viene restituita l’immagine di una Ravenna più vicina al trascendente che al terreno, Costantinopoli è la seconda Roma carnale, Ravenna lo è da un punto di vista spirituale. Dal suo patrono deriveranno schiere di santi che andranno a nobilitare ulteriormente il prestigio di questa città-tempio, la quale meritò di accogliere un tale santo tra le sue mura. Si tratta, dunque, di una vicendevole nobilitazione per cui Ravenna, già di per sé città importantissima, viene nobilitata dal santo che a sua volta la sceglie come sede del suo apostolato proprio in base alla sua straordinaria importanza nel mondo romano.

Il confronto tra Antiochia, Roma e Ravenna ritorna anche nel sermone LXV per la celebrazione di san Barbaziano36. Anche questo santo confessore era originario della città mediorientale e, come Apollinare, anch’egli beve dalla purissima fonte della dottrina di Pietro a Roma, per poi recarsi nella città romagnola «irrigato con l’acqua dei miracoli e della predicazione»37. Ma uno spunto interessante, sempre attinente al nucleo tematico dell’idea di città come scrinium, reliquiario prediletto dei martiri, lo regala il sermone

35 Sermo XXXI, coll. 671a-671b.

36 Il culto di questo santo rimase a lungo confinato alla sola Ravenna, ragion per cui è ragionevole pensare che il sermone sia stato pronunciato in quella città (probabilmente nell'inverno 1044-45 che l'Avellanita fu costretto a trascorrere a Classe). Appare, inoltre, un'apostrofe alla città e sembra rivolta a persone presenti durante l'orazione e che poco prima avevano udito la Vita BHL 972.36 Pier Damiani richiama un sermone già pronunciato su sant'Apollinare, definito anche qui martyr apostolicus, riferendosi probabilmente al XXXI.

37 Sermo LXV, Migne, PL 144, coll. 875A-881D; CCCM 57, pp. 388-396. Sono metafore damianee e, come visto, da lui predilette in merito all’ufficio della predicazione

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XVII/138 per la festa di san Vitale. Il paragone non avviene in tal caso tra due o più città che sono state interessate dalla vicenda biografica del santo, bensì tra Ravenna e Valeria, moglie del martire:

Nec leve tibi datum est divinae dilectionis indicium in eo quod beatus Vitalis etiam post felicem transitum suum in te voluit habere sepulcrum. Non est passus ex te suum corpus auferri, quia noluit te patrocinii sui protectione destitui. In qua re tibi utique magis quam uxori beatissimae praestitit, qui, dum tuae utilitati consuluit, sanctae voluntati ejus non acquievit. Scriptum namque est quia sancta Valeria, dum beati Vitalis vellet corpus auferre, a Christianis prohibita est et saepe in visionibus ab ipso admonita ne sanctum corpus a malo homine bene positum violaret.39

La donna voleva, infatti, portare con sé il corpo martirizzato del marito a Milano, dove troveranno la morte i figli dello stesso Vitale, cioè i martiri Gervaso e Protaso.

Tuttavia, sia i cittadini ravennati sia delle visioni, le impediscono in ogni modo di adempiere al suo scopo: Ravenna viene in questo modo scelta dal martire stesso, come di consueto. L’occasione risulta propizia per celebrarne i fasti e fare riferimento alla solida cintura difensiva di questa città santuario definita urbs clarissima, tantorum martyrum pretioso sanguine purpurata40; e più avanti:

Gaude igitur, nobilis urbs Ravenna, et totis in Domino visceribus delectare, quae, licet ardua sis muralis machinae celsitudine, multo tamen excelsior es beatorum martyrum dignitate, lapideis quidem propugnaculis inexpugnabiliter cineta, sed valde inexpugnabilius fortium Christi militum protectione vallata. 41

38 Probabilmente pronunciato a Ravenna. I mosaici di Sant'Apollinare Nuovo raffigurano tutti e cinque i santi celebrati nel sermone, questo e il successivo sono probabilmente tenuti nella basilica massimianea del monastero di San Vitale, perché vi si legge un'apostrofe rivolta, come in altri casi, alla città in cui si parla. (Pier Damiani, Petri Damiani Sermones, a cura di U. Facchini - L. Saraceno (vol. 1), Città Nuova, p. 265).

39 Migne, PL 144, coll. 583D-593B; CCCM 57, pp. 84-94; Facchini - Saraceno, pp. 266-283. Cit.

da coll.591 a -591b.

40 Ibidem.

41 Ibidem, coll. 590C – 590D.

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Ritorna l’idea di scrinium che già era stata vista per Arezzo, si tratta di un topos letterario utilizzato dal Damiani, la città è nulla se non un contenitore di antiche reliquie che, visto il loro estremo valore, devono trovare sulla terra un luogo che possa, per dignità, quantomeno avvicinarsi alla patria celeste42.

La Ravenna restituitaci dal sermonario è qualcosa di più simile a Roma di quanto si possa pensare, il paragone insistente con l’Urbe non manca neppure in quest’ultimo passo analizzato. Non vi è dunque neppure da chiedersi, secondo Pier Damiani, il perché una così folta schiera di santi abbia deciso di ricevere proprio in quel luogo la tanto agognata palma del martirio. Roma, Arezzo, Ravenna, città nobilissime perché enormi sepolcri, ma c’è un’altra città celebrata e, in questo caso, la situazione appare leggermente diversa. I santi celebrati nel sermonario sono tutti vissuti nei primi secoli della cristianità, si tratta perlopiù di personaggi perseguitati, torturati, martirizzati, proto-vescovi di importanti sedi diocesane; san Marco evangelista non fa eccezione, il problema è piuttosto il luogo in cui giace il suo corpo: Venezia. La città lagunare venne fondata soltanto durante le prime invasioni barbariche, attorno al V secolo, non possedeva dunque una salda tradizione di età romana che la nobilitasse come civitas nobilissima già sotto l’aquila imperiale e che ne abbia fatto di conseguenza un luogo di predicazione per i primi cristiani. A ciò si aggiunge il fatto che le reliquie di san Marco giunsero in riva all’Adriatico non certo grazie a un’opera di santità o a qualche miracolo particolare, bensì furono trafugate e anche in maniera piuttosto rocambolesca43. Venezia era però una città marinara in perenne ascesa, una piazza mercantile già attiva in gran parte del Mediterraneo, la sua forza navale le avrebbe permesso di lì a qualche decennio di imporsi come superpotenza militare; alla fine dello stesso secolo XI sarebbe stata consacrata la basilica di San Marco; era la porta d’Oriente, più bizantina che italica. Pier Damiani trovò

42 Sermo XVI/1: «Quae enim civitas, quamlibet excelsa turritis moenibus, hujus domunculae dignitatem excellere poterit, quae coeli digna vocabulo copiosam martyrum turbam felici in se habitatione continuit?». (col. 590 A)

43 La leggenda, raffigurata anche in un mosaico sulla facciata della maestosa basilica inaugurata nel 1094, vuole infatti che siano stati dei mercanti veneziani a trafugare le reliquie durante un viaggio commerciale ad Alessandria d’Egitto nel IX secolo e, per impedire ai musulmani di avvicinarsi al corpo scoprire il furto, lo riposero in una cassa contenente carne di maiale prima di partire alla volta della laguna veneta.

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il modo di nobilitarne anche l’aspetto spirituale grazie al già citato topos della scelta post mortem compiuta dai santi.

I tre sermoni dedicati all’evangelista Marco furono pronunciati uno di seguito all’altro ed è il testo stesso a suggerircelo con dei richiami iniziali nel XV e nel XVI44. Se il primo di questa triade non fa espliciti riferimenti alla città lagunare, ma si limita a esplicare la vicenda terrena di Marco e il suo rapporto con Pietro, diverso è il discorso per gli altri due, in cui Venezia viene vista come sede scelta dal santo:

Ut eadem potissimum terra, in qua sibi datum est evangelium scribere, sacras mereretur eius reliquias possidere. […] Porro, si diligenter omnium evangelistarum in quibus defuncti sunt loca percurrimus, neminem eorum in eo quem sortitus est perseverasse tumulo reperimus. […] Hic vero de quo nunc agitur sanctus evangelista Marcus de Alexandria transvectus est, Deo misericorditer disponente, Venetiam, ut qui tunc totum orientem velut aureus lucifer illustraverat, nunc per plagas occidui climatis praesentiae suae radiis enitescat.45

Così come si conclude questo sermone, si riapre il successivo. Il tema delle città è centrale e riparte con un lungo elogio di Alessandria d’Egitto fin dalle sue origini risalenti ad Alessandro Magno, personaggio tenuto in grande considerazione per tutto il Medioevo. La città egiziana era ritenuta sede apostolica proprio in virtù delle spoglie marciane ivi conservate. Ma, se un così grande privilegio fu accordato alla sede in cui l’evangelista fu martirizzato, allora dovrà essere maggiore il lustro della città che egli scelse dopo la sua morte per dimorarvi in eterno. Questo secondo Pier Damiani. Nessun cenno a come questo passaggio fosse avvenuto: «Venetia, quam ad hoc ut pretiosum corporis sui thesaurum tibi commendaret elegit»46. Un intero sermone in cui l’agiografia viene messa da parte a vantaggio di continui richiami e sillogismi per cui, attraverso le città di Roma e Alessandria, anche Venezia può elevarsi alle stesse altezze di queste. Il

44 «Non uno sermone contenti, adhuc alterum avidius esuritis» (sermo XV) e poi ancora nel succcessivo «quia beati Marci meritis clarisque virtutibus duo siam sermones absolvimus».

45 Migne, PL 144, coll. 580C-583A; CCCM 57, pp. 74-78; Facchini - Saraceno, pp. 250-255.

46 Migne, PL 144 coll. 583A-585D; CCCM 57, pp. 79-83; Facchini - Saraceno, pp. 256-261.

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tutto si conclude con una metafora marittima, certamente congeniale al luogo di predicazione.

Quelle di cui si è parlato sono tutte città di indubbia importanza già nel corso del primo millennio, ma non le uniche di cui Pier Damiani abbia parlato nelle sue orazioni.

Riporto qui due sermoni interessanti più che per l’elogio delle città descritte, per il dibattito storiografico scaturitone. Il dubbio creatosi in merito all’effettivo luogo in cui i sermoni furono pronunciati permette di addentrarsi nel tipo di approccio utilizzato dagli studiosi per venire a capo di dubbi ancora irrisolti e capire quanti spunti di riflessione il sermonario damianeo sia in grado di offrire. In sintesi, una parentesi metodologica.

Raccontando la vicenda agiografica di san Severo nel sermone V, Pier Damiani narra dettagliatamente due miracoli compiuti dal santo. Il primo riguarda il distaccamento dell’anima dal corpo durante la celebrazione della messa per recarsi al funerale del vescovo di Modena, Geminiano. L’episodio ha un preciso modello agiografico negli scritti di Gregorio di Tours47: sant'Ambrogio di Milano assiste nello stesso modo alla morte di san Martino. Al riguardo esistono difficoltà oggettive per la plausibilità della narrazione, visto che Geminiano morì diversi decenni dopo Severo, se è vero che Severo è presente al concilio di Sardica del 342-44, mentre il vescovo modenese, ancora nell’anno 390, sigla tramite il presbitero Aper la lettera sinodale diretta a papa Siricio. La notizia della presenza di Severo ai funerali di Geminiano fu forse originata dalla stretta vicinanza delle date obituali dei due santi: 31 gennaio per Geminiano e 1° febbraio per Severo.48

Il secondo miracolo riguarda la sepoltura del santo stesso: presso la basilica che ne ospita le spoglie si verificano guarigioni prodigiose dovute ad una fonte posta sotto l'altare in cui riposa Severo. La basilica di Classe fu costruita sotto il livello del mare, è quindi ragionevole pensare che il miracolo della fonte avvenisse lì. Tuttavia, di questo miracolo tace tutta la tradizione ravennate. Pochi anni dopo Pier Damiani, un anonimo monaco (non di Classe)49 scriveva una nuova Vita di san Severo, BHL 7684, ma

47 cfr. De virtutibus sancti Martini, I, 5 in PL 71, 918-919.

48 Pier Damiani, Petri Damiani Sermones, a cura di U. Facchini - L. Saraceno (vol. 1), Città Nuova, p. 136.

49 Lucchesi G., Note agiografiche sui primi vescovi di Ravenna, Faenza 1941, p. 99, n. 171.

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sull'acqua sgorgante dalla tomba nessuna parola.50 Va ricordato, inoltre, che già nel secolo XI le reliquie di Severo si trovavano presso la basilica di San Paolo a Erfurt, in diocesi di Magonza. Sappiamo che numerose leggende tedesche parlano di una sacra fonte dalla quale scaturiva acqua prodigiosa in quella cittadina. Sappiamo, inoltre, che Pier Damiani si recò nel 1069 a Magonza, in seguito al sorgere del caso di re Enrico, che progettava il divorzio dalla moglie Berta. Può darsi che, in occasione del viaggio, Pier Damiani abbia conosciuto le leggende di Erfurt riguardanti Severo e la fonte prodigiosa e le abbia così fuse assieme, riportandole poi nel sermone V.51 Queste constatazioni portano a fare nuove ipotesi sul perché furono scritti i sermoni IV e V; legare i sermoni ad Erfurt spiegherebbe meglio sia il fatto che nel secondo dei due non appaiano mai i nomi di Ravenna e Classe, sia la disposizione della tomba di Severo che in Pier Damiani è diversa da quella supposta dal racconto di Agnello e di Liutolfo. Secondo questi due scrittori i corpi di Severo, di Innocenza e di Vincenza erano tutti in un solo sarcofago posto sopra terra nel centro della navata centrale. San Pier Damiani invece testimonia che il corpo del solo Severo fosse posto sotto un altare: si tratta esattamente della disposizione del sepolcro di Erfurt.52

Viste le numerose incongruenze, si potrebbe supporre, quindi, che questi sermoni non furono pronunciati a Classe (perché l'Avellanita invita gli uditori a recarsi presso la chiesa del sepolcro del santo), restano le due ipotesi di Ravenna e Magonza. La certezza è che furono pronunciati nella città che ospita la sepoltura del santo, dal momento che il Damiani, come visto, nel suo sermonario si dilunga spesso in apostrofi indirizzate alle città e collegamenti tra le virtù di queste e quelli del santo ivi celebrato, gli esempi più evidenti di ciò sono quelli di san Marco (Venezia) e Apollinare (Ravenna). Qui, invece, sono assenti questi elementi e credo che ciò allontani l'effettiva pronuncia del sermone dalla zona di Ravenna, forse si potrebbe lasciare aperta l'ipotesi di una chiesa nei dintorni di Fonte Avellana, come proposto dal Lucchesi53, prima del 1069 con sole informazioni ravennati. Certamente, però, l'ipotesi più suggestiva rimane quella ricollegabile al viaggio in Germania, le date tengono viva la possibilità di una orazione dedicata a Severo nella

50 Lucchesi G., Il sermonario di s. Pier Damiani, op. cit., pp.145-147.

51 Ibid., p. 147.

52 Pier Damiani, Petri Damiani Sermones, a cura di U. Facchini - L. Saraceno (vol. 1), Città Nuova, Roma 2013, p. 138.

53 Lucchesi G., Il sermonario di s. Pier Damiani, p. 147.

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 113-126)

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