• Non ci sono risultati.

I rapporti tra Pier Damiani e la Pataria. L’Actus Mediolani e l’epistolario damianeo tra

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 86-97)

II. L A PREDICAZIONE DI SAN P IER D AMIANI TRA IMPEGNO POLITICO E RIELABORAZIONE

II.4. I rapporti tra Pier Damiani e la Pataria. L’Actus Mediolani e l’epistolario damianeo tra

85

L’atteggiamento dell’Avellanita nei confronti di Cencio è apparentemente ambiguo. Scomponendo, ricomponendo e rileggendo il testo si nota, invece, che l’idea del sacerdozio regale dei fedeli, a mio avviso234, venga qui utilizzata come artificio retorico per invitare il destinatario a rispettare il suo ambito, svolgere i compiti relativi al suo ordo e intendere la pubblica declamazione come esortazione e non predicazione al popolo, l’accento è posto sulla dimensione morale dell’attività di Cencio. Ritorno qui all’importanza dei luoghi. Il problema posto in essere dal Damiani non prende il là da una volontaria e reiterata attività predicatoria del prefetto, c’è, invece, un momento ben preciso e soprattutto un luogo. Quest’ultimo è la basilica di San Pietro. Non conosciamo i dettagli relativi a questo episodio, sappiamo però che quel giorno Cencio ha preso la parola in chiesa e durante la solennità dell’Epifania. Pier Damiani ne apprezza le parole nel primo capoverso, salvo poi impiegare il resto della lettera per condannare questo scivolamento di Cencio di Giovanni Tignoso fatto nell’ordo, nel luogo e nel momento sbagliati.

II.4. I rapporti tra Pier Damiani e la Pataria. L’Actus Mediolani e l’epistolario

86

tota civitas clangoribus intonatur. Intentabant michi, ut ita loquar, omnia mortem, et ut ab amicis meis michi sepe suggestum est, nonnulli meum sanguinem siciebant.236

Siamo a Milano nel pieno delle lotte cittadine scatenate dalla predicazione patarinica di Arialdo e Landolfo «Cotta»237. Le lotte tra fazioni imperversano ormai da tre anni e la Sede apostolica avverte la necessità di inviare una seconda legazione, dopo la prima esplorativa di Ildebrando e Anselmo da Baggio avvenuta prima del 1057238. Il compito è affidato nuovamente al milanese Anselmo stavolta, però, coadiuvato dal Damiani che indirizza la lettera in questione a Ildebrando. Il tono è quasi giustificatorio, già in apertura viene specificato il tema fondante del discorso damianeo: la centralità della

236 Reindel K., Briefe 65; Op. 5, Actus Mediolani, de privilegio Romanae Ecclesiae, Migne, PL 145, coll. 89°-98D.

237 Le principali fonti cronachistiche per la Pataria milanese sono Landolfo, Historia Mediolanensis a. 374-1085, (MGH, SS, t. VIII, pp. 32-100); Arnolfo, Gesta archiepiscoporum Mediolanensium, (MGH, SS, t. VIII, pp. 1-31), II; Andrea Strumensis, Vita Arialdi diaconi (PL, CXLIII, 1437-1486); Bonizone di Sutri, Liber ad amicum, (MGH, Libelli de lite, t. I, pp. 568-520).

238 Cito Golinelli P., La pataria. Lotte religiose e sociali nella Milano dell’XI secolo, Milano-Novara 1984, p. 14. «Il clero milanese, dopo aver riunito un sinodo della provincia ecclesiastica, decide di ricorrere al papa, Stefano IX, succeduto nel maggio a Vittore II e intronizzato solennemente il 3 agosto di quell’anno. Quando vengono a sapere di questa missione, i Patarini accorrono anch’essi a Roma (Andrea di Strumi, cap. VII), per difendere le loro posizioni e – secondo Bonizone di Sutri – per chiedere l’elezione di un nuovo arcivescovo. Il pontefice approva l’operato di Arialdo, ma dà l’ordine di riunire un sinodo provinciale sotto la presidenza dei suoi inviati. La fonte di questo è Arnolfo, che fa poi immediatamente seguire il racconto del sinodo di Fontaneto. Gli storici sono stati unanimi nell’interpretare il sinodo voluto dal pontefice con quello di Fontaneto in cui dall’arcivescovo Guido vennero scomunicati Arialdo e Landolfo Cotta, ed hanno formulato la seguente sequenza degli avvenimenti: ingiunzione pontificia del sinodo – sinodo di Fontaneto – scomunica di Arialdo – viaggio di Arialdo a Roma – missione romana a Milano di Ildebrando ed Anselmo da Baggio. Personalmente credo sia difficile far stare tutti questi avvenimenti nell’arco di tempo che va dalla fine di agosto alla metà di dicembre (grosso modo) del 1057.

Le due missioni milanesi a Roma si devono infatti collocare al tempo dell’assenza di Guido da Milano; gli incontri col papa avranno pur richiesto qualche giorno, e siamo già a settembre; il tempo che i legati rientrino in Milano, informino l’arcivescovo e che questi convochi i vescovi suffraganei e settembre se n’è andato. Il sinodo di Fontaneto sarebbe dunque avvenuto nell’autunno; ha tuttavia anch’esso una durata (anche perché si attendono i Patarini a discolparsi); avremmo quindi il viaggio - andata e ritorno- di Arialdo a Roma tra ottobre e novembre (il secondo viaggio a Roma in pochi mesi) ed immediatamente l’invio della missione romana, che alla fine di dicembre è in Germania».

87

Chiesa romana, madre di tutte le altre Chiese.239 Sarebbe superfluo inserirsi nel discorso ecclesiologico dei riformatori, mi interessa, invece, sottolineare in questa sede il discorso diretto riportato dal Damiani. Ho parlato di un’impostazione giustificatoria dello scritto, e il fatto che la predica, avvenuta probabilmente nella cattedrale invernale di Santa Maria, venga citata come fosse riportata da un tachigrafo non fa che avvallare questa lettura. Del resto, «hoc tu suptiliter, ut et alia multa perpendens, frequenter a me karitate, quae superat omnia, postulasti, ut Romanorum pontificum decreta vel gesta percurrens quicquid apostolicae sedis auctoritati spetialiter competere videretur, hinc inde curiosus excerperem, atque in parvi voluminis unionem nova compilationis arte conflarem» dice il Damiani all’arcidiacono. Questo passo ha dato il via a numerose ipotesi riguardanti un’opera sconosciuta dell’Avellanita, in realtà già nella frase seguente egli nega di aver dato seguito alla richiesta di Ildebrando, rendendosi poi conto di quanto la stessa fosse fondata alla luce della situazione nella città di Milano. Non sappiamo se il desiderio dell’arcidiacono fosse mutuato dalla sua precedente esperienza come legato pontificio. È, tuttavia, verosimile pensare, visto l’inserimento di questo aneddoto nel prologo di questo scritto che Ildebrando, avendo già conosciuto di persona la situazione milanese e il grande orgoglio dei fedeli appartenenti alla Chiesa ambrosiana, abbia fornito precise istruzioni al nostro per ricomporre la lotta tra fazioni imperversante in quella città.

Tornando alla predica ivi contenuta, vien da sé pensare che lo scrupolo di riportarla talis qualis a come fu pronunciata rappresenti una dimostrazione del rispetto di queste direttive provenienti dall’influente arcidiacono. L’artificiosità del sermonario si scontra con la teorica naturalezza di questo passo, teorica perché, repetita iuvant, anche le lettere sono frutto di una rielaborazione scrittoria. Ciononostante, non muta l’importanza dell’analisi di questo inciso, infatti, Pier Damiani aveva appena compiuto un errore simbolicamente gravissimo alla luce della temperie in corso:

239 Sulla centralizzazione papale segnalo Hartmann W., Verso il centralismo papale (Leone IX, Niccolò II, Gregorio VII, Urbano II) in Il secolo XI: una svolta?, a cura di Violante C e Fried J., Bologna 1993 (Annali dell’istituto storico Italo-germanico, Quaderno 35), pp. 99-130. Per l’evoluzione in senso monarchico del Papato Pennington K., Pope and Bishops. The papal Monarchy in the Twelfth and Thirteenth centuries, University of Pennsylvania 1984 (The Middle Ages); Morris C., The Papal Monarchy: the Western Church from 1050 to 1250, Oxford 1989 (Oxford History of Christian church).

88

Augebat autem hujus ignis incendium hoc permaxime, quia congregatis quasi ad synodum totius Ambrosianae parochiae clericis, ego in medio residens, sive potius praesidens, reverendissimum Mediolanensem archiepiscopum ad sinistram; prudentia quoque, ac sanctitate conspicuum Anselmum Lucensem episcopum posuisse mihi accusabar ad dexteram240

Se già serpeggiava il sospetto di una prevaricazione da parte di Roma sui diritti della Chiesa ambrosiana, allora non bisogna interpretare il gesto di Pier Damiani come particolarmente astuto.241 Proprio in questi decenni la questione riguardante chi dovesse sedere alla destra del papa durante i sinodi si era fatta particolarmente spinosa e veniva a coinvolgere proprio i Milanesi e il metropolita ravennate. In questo caso, tuttavia, non si tratta apparentemente di una precisa mossa in senso simbolico-ecclesiologico da parte dell’Avellanita ed è egli stesso a giustificare l’errore, sottolineando la manifestazione di umiltà da parte di Guido da Velate, il quale comunica di essere disposto ad occupare anche uno sgabello qualora il legato apostolico l’avesse ordinato. Il lettore più malizioso avrebbe interpretato tale assunto come una mossa astuta dell’arcivescovo milanese, finalizzata ad accendere gli animi e l’orgoglio cittadino. Anche i contemporanei ne avrebbero ricavato una simile lettura e Pier Damiani precisa la sua sensazione per cui il gesto, a suo modo di vedere, andasse letto come atto di riverenza verso la Sede apostolica.

Raramente, però, potremmo tacciare il Damiani di improvvisazione. Già nel 1045, al momento della morte di Ariberto da Intimiano, tra i quattro candidati che i milites milanesi propongono all’imperatore Enrico III per la carica di arcivescovo figura Anselmo da Baggio. La scelta, come noto, ricadrà però su colui (estraneo al gruppo dei quattro) che Arnolfo definisce idiotam et rure venientem242, Guido da Velate. Già le fonti coeve non mancano di sottolineare il sostegno dato dal futuro Alessandro II in più occasioni ai Patarini, se ne deduce che la scelta del seggio sia stata tutt’altro che lontana dall’equilibrio di forze che il Damiani cercava di trasmettere. Privilegiare il legato pontificio, facendolo sedere nel mezzo tra lui e Guido, avrebbe certamente trasmesso un forte segnale: la Chiesa romana appoggiava la causa patarinica. Al contrario, lasciare i

240 Reindel K., Briefe 65.

242 Arnolfo, Gesta archiepiscoporum Mediolanensium, (MGH, SS, t. VIII, pp. 1-31), II.

89

due legati apostolici ai lati dell’arcivescovo avrebbe significato legittimare il clero milanese e le due eresie, simoniaca e nicolaitica, che in quel momento si cercava di estirpare. Nella realtà dei fatti, invece, il “patarino” Anselmo e il simoniaco Guido, simboli più o meno evidenti delle due fazioni cittadine, si trovarono in una posizione subalterna rispetto al vero uomo super partes e, di conseguenza, rappresentante autentico delle istanze riformistiche, Pier Damiani. La scelta oculata da parte di papa Niccolò II di inviare un riformatore moderato come l’Avellanita, restio a soluzioni troppo drastiche, indica la volontà da parte del pontefice di porsi come un interlocutore valido e non di imporre una nuova ecclesiologia che trasformasse il primato d’onore della Chiesa romana in primato giurisdizionale.243

Il punto da sottolineare in questo momento, però, non sta nell’intenzionalità o meno del gesto, ma nei suoi risvolti effettivi sui Milanesi. Quando si parla di Milano durante le lotte patariniche le descrizioni sono quanto mai eloquenti. Non conosciamo personaggi in gran numero, escludendo ovviamente i promotori delle rivolte e i loro antagonisti, ma abbiamo una turba, una folla, un populus inquieto, anzi spesso irrequieto.

Turbulenta seditio, murmur in populo, clamor tumultuantium, fremens populus, questi sono i termini utilizzati dal Damiani in riferimento ai cittadini di Milano prima che prendesse la parola dal pulpito, alcuni di loro siciebant meum sanguinem, dice il Damiani.

La parola è l’unico modo con cui può sedare la loro sete di sangue. Il discorso è paradigmatico e offre molti elementi utili per entrare nelle pieghe dell’arte oratoria del tempo, oltre che nella psicologia di quelle masse che prepotentemente iniziavano ad affacciarsi sulla scena244.

243 D’Acunto N., Chiesa romana e chiese della Lombardia: prove ed esperimenti di centralizzazione nei secoli XI e XII, in Römisches Zentrum und kirchliche Peripherie: das universale Papsttum als Bezugspunkt der Kirchen von den Reformpäpsten bis zu Innozenz III, a cura di Johrendt J. e Müller H., Berlino 2008, pp. 207-233.

244 Reindel K., Briefe 65. Riporto il sermo per intero.

«Noverit charitas vestra, dilectissimi, non me pro Romanae Ecclesiae huc honore venisse, sed vestram gloriam quaerere, vobis salutem et gratiam, quae in Christo est, cum ejus auxilio, si permittitis, providere. Quo enim pacto honore indiget parvuli hominis, quae laudes atque praeconia ex ipsius ore sortita est Salvatoris? Quae autem provincia per omnia regna terrarum ab ejus ditione extranea reperitur, cujus arbitrio ipsum quoque coelum et ligatur et solvitur? Omnes autem sive patriarchivi cujuslibet apicem, sive metropoleon primatus, aut episcopatuum cathedras, vel Ecclesiarum cujuscunque ordinis dignitatem, sive

90

Alla fine del sermone pronunciato all’interno della cattedrale milanese, Pier Damiani mette l’accento sulla reazione del populus. che tornò ad essere omnino benevolus e promise di appoggiare tutte le decisioni che il legato apostolico avrebbe preso. Il discorso riportato nella lettera è un chiaro e ripetuto elogio della Chiesa di Roma intesa come genitrice di quella milanese, la quale è a sua volta legata alla prima da un vincolo

rex, sive imperator, sive cujuslibet conditionis homo purus instituit, et prout voluntas, aut facultas erat, specialium sibi praerogativarum jura praefixit: Romanam autem Ecclesiam solus ipse fundavit, super petram fidei mox nascentis erexit, qui beato vitae aeternae Clavigero terreni simul et coelestis imperii jura commisit. Non ergo quaelibet terrena sententia, sed illud verbum, quo constructum est coelum, et terra: per quod denique omnia condita sunt elementa, Romanam fundavit Ecclesiam. Illius certe privilegio fungitur, illius auctoritate fulcitur. Unde non dubium, quia quisquis cuilibet Ecclesiae jus suum detrahit, injustitiam facit: qui autem Romanae Ecclesiae privilegium ab ipso summo omnium Ecclesiarum capite traditum auferre conatur, hic procul dubio in haeresim labitur: et cum ille notetur injustus; hic est dicendus haereticus. Fidem quippe violat, qui adversus illam agit, quae mater est fidei; et illi contumax invenitur, qui eam cunctis Ecclesiis praetulisse cognoscitur.

Ut autem, omissis aliis, ad id, quod nunc agitur, veniamus, non debet ignorare sancta vestra devotio, quia beati apostolorum principes Petrus et Paulus, sicut per suum sanguinem Romanam Ecclesiam consecrarunt; ita mox inter ipsa nascentis fidei rudimenta hanc Mediolanensem Ecclesiam per suos discipulos lucrati sunt Christo: Nazarius quippe martyr insignis, sicut Scripturae testantur, Petri auctoritate, baptisma a Lino ejus successore suscepit: qui postmodum cum B. Celso in hac sancta urbe martyrio coronatus est. Sancti vero martyres Protasius atque Gervasius beatum Paulum apostolum magistrum ac praeceptorem habuisse noscuntur; sicut B. Ambrosio et ipse testatur: Isti sunt, inquit, qui monita mea secuti respuentes praedia, et divitias secuti sunt Domini nostri vestigia. Sicut ergo Salvator noster binos ante faciem suam discipulos misit; ita quodammodo uterque sanctus apostolus ex magisterio suo in hanc urbem praedicatores sanctae fidei geminos destinavit.

Cum ergo vestrae salutis auctores ex Romanae Ecclesiae prodierint disciplina, consequens est, juxta aequitatis ordinem, ut Ecclesia Romana mater Ambrosiana sit filia. Ut autem hic ordo inter utramque, Ambrosianam videlicet et apostolicam sedem non noviter oriri, sed antiquitus tenuisse non dubitetur, B.

Ambrosius cum hanc Nicolaitarum sordem ad multorum foetere perniciem in hac urbe doleret, eamque per se solus coercere non posset, sedis Apostolicae mox quaesivit auxilium; cui videlicet is, qui tunc praeerat, papa Siricius tres personas, presbyterum, diaconum, et subdiaconum, ad correctionem ulciscendi hujus sceleris destinavit. Cum his itaque beatissimus pontifex, quos corrigere non potuit, velut scatentem vermibus sentinam ex urbis hujus sagena projecit. Unde et ipse S. Ambrosius in omnibus sequi se magistram sanctam Romanam profitetur Ecclesiam. Scrutamini itaque Scripturas vestras, et per quod vultis diligenter inquirite; et si non potestis apud vosmetipsos invenire quod loquimur, mendacii arguite: si autem potestis, nolite veritati resistere, nolite matrem vestram crudeliter impugnare, sed ex cujus uberibus lac suxistis apostolicae fidei, ejus semper gaudete solidis doctrinae coelestis dapibus recreari.»

91

di figliolanza, dunque di obbedienza. L’Avellanita lascia intendere all’amico Ildebrando che questa disposizione non fu difficile da esporre e da far accettare ai Milanesi, ma ciò può avvenire solo grazie alla conoscenza dei canoni, più volte richiamati durante il discorso.

I destinatari dell’orazione sono gli astanti presenti all’interno della cattedrale e, probabilmente, il resto della popolazione accalcatasi sul sagrato e negli spazi antistanti.

Qui, però, preme sottolineare la diversa estrazione non solo sociale, ma soprattutto culturale di questo populus e, inoltre, la differenza tra gli ordines che il Damiani conosceva bene, non mancando di rimarcarne le separazioni qualora ve ne fosse occasione. Per quanto la Milano del secolo XI fosse una delle città europee più in forte crescita245, non serve qui spiegare che non tutti i cittadini avrebbero potuto accedere alla conoscenza dei canoni. Il Damiani nella prima parte della lettera usa il riferimento generico di populus o addirittura tumultuantes in modo da rimarcare la presenza di una massa informe, violenta e facilmente manipolabile da coloro che avversavano la Chiesa romana:

[…] post diem alterum factione clericorum repente in populo murmur exoritur, non debere Ambrosianam Ecclesiam Romanis legibus subjacere, nullumque judicandi, vel disponendi jus Romano pontifici in illa sede competere. Nimis indignum, inquiunt, ut quae sub progenitoribus nostris semper exstitit libera, ad nostrae confusionis opprobrium nunc alteri, quod absit, Ecclesiae sit subjecta.246

I chierici milanesi247 conoscono bene il potere della parola sui loro concittadini, sono le masse a muovere la storia di Milano in questo secolo248, ma non hanno considerato l’acutezza del loro avversario. Pier Damiani osserva intimorito, sente di dover mettere in

245 Violante C., La società milanese nell'età precomunale, Laterza, Bari 1981.

246 Reindel K., Briefe 65.

247 «Confondendo il piano giurisdizionale con quello disciplinare, il clero avversato dai patarini sperava di far leva sulle rivendicazioni autonomistiche della Chiesa milanese per conservare anche la particolare normativa e gli usus ambrosiani in materia di matrimonio del clero, in virtù dei quali erano considerati leciti comportamenti che agli occhi dei patarini e del Papato equivalevano a una esplicita adesione all’eresia nicolaitica». D’Acunto N., Chiesa romana e chiese della Lombardia, op. cit., p. 212.

248 Tratterò questi argomenti dettagliatamente più avanti.

92

gioco tutta la sua ars oratoria e lo fa sfruttando alcuni elementi che proprio i seguaci di Guido da Velate gli avevano permesso di notare: il popolo milanese è parte attiva delle vicende ecclesiastiche, è facilmente manipolabile, ha una spiccata sensibilità per il culto del patrono Ambrogio, è istruito (o piuttosto finge di esserlo) riguardo la delicata ecclesiologia ambrosiana.

Il periodo posto in chiusura è la sintesi sia della metafora genitoriale, sia della stessa impostazione di tutta la tesi propugnata dal Damiani. Non lascia possibilità di appello alla controparte. Se effettivamente il loro punto di riferimento è Ambrogio allora egli lo sfrutta abilmente come fonte249; ne consegue che tutta l’argomentazione damianea viene esposta come se fosse una ripresa delle parole dell’amato vescovo. Il nocciolo della questione può essere individuato nella paura del “nuovo”, le novità non sono ben viste soprattutto in un contesto ecclesiologico e l’Avellanita ha di ciò piena consapevolezza, oltre che essere un assertore convinto di questa idea tipicamente medievale250. Quindi i legati apostolici giungono in Lombardia solo per ristabilire l’ordine delle cose e condannare le stesse eresie che quasi sette secoli prima aveva già combattuto il patrono Ambrogio con l’ausilio della Chiesa romana.

Vien da sé a questo punto notare come i chierici che in precedenza avevano fomentato la folla non possano controbattere. Pier Damiani ha portato il dibattito sul un piano a lui congeniale, quello della canonistica, ma ciò non è stato fatto per sfruttare l’ignoranza della controparte, al contrario, la consapevolezza di trovarsi di fronte a un clero colto e meritevole di lode in tal senso gli ha permesso di renderlo partecipe delle proprie ragioni al fine di trovare una soluzione ideale e, sostanzialmente, inchiodarlo con le stesse argomentazioni addotte in apertura contro l’Avellanita. I chierici istigatori alla violenza contro la Sede apostolica sono ora dalla stessa parte del Damiani e, di conseguenza, lo sono i Milanesi.

249 Petri Damiani, Epistulae (XLI-LXVII). Pier Damiani, Lettere (41-67), a cura di Guido Innocenzo Gargano e Nicolangelo D'Acunto, traduzioni di Adelelmo Dindelli, Lorenzo Saraceno, Costanzo Somigli, revisione generale di Lorenzo Saraceno, Città Nuova, Roma 2002 (Opere di Pier Damiani 1/3), pp. 336-337 note.

250 A titolo d’esempio mi autocito, Manco A., La libertas nelle Epistolae di san Pier Damiani (1007-1072), op. cit. In questo breve contributo affronto i tentativi, ultimi e disperati, del Damiani di tornare all’equilibrio tra Papato e Impero vigente ai tempi di Enrico III.

93

Un’ultima menzione sul contesto merita il pulpito della cattedrale e la gestualità che deriva dall’ascensione ad esso accingendosi a predicare. L’Avellanita racconta quest’atto per ben due volte: prima del sermo e, infine, per declamare la promissio fatta firmare al clero milanese. Il gesto di predicare dal pulpito della cattedrale non è certo qualcosa di straordinario in sé, tuttavia lo diventa se letto all’interno della narrazione dell’Actus Mediolani. La prima volta il popolo è in rivolta e quest’azione di ascendere al pulpito assume i tratti della temerarietà, ma si tratta di un qualcosa di funzionale e necessario per placare il tumulto e la sete di sangue del popolo;251 la seconda, invece, ha un intento celebrativo. Infatti, con minuzia di particolari, Pier Damiani racconta la stesura dell’atto su cui avrebbero poi giurato gli ecclesiastici milanesi, ma il tutto avviene in privato. Solo a giuramento avvenuto, un chierico della Chiesa maggiore sale sul pulpito con il legato apostolico e compie il giuramento davanti a tutta la città, che a sua volta si unisce all’impegno giurato di combattere la simonia e il nicolaismo.252

251 Secondo D’Acunto N., Chiesa romana e chiese della Lombardia: «Pier Damiani, per quanto animato dal desiderio di trovare una cornice narrativa adeguata entro la quale collocare la propria fortissima illustrazione del primato petrino, tuttavia non riesce a nascondere le contraddizioni e i contrasti che il suo intervento aveva scatenato». In effetti, la cura dei dettagli nel segnalare le difficoltà incontrate dal Damiani lascia pensare questo. Tuttavia, trovo che la lunga contestualizzazione vada letta all’interno dell’economia complessiva della lettera. Il fatto di essere attaccato verbalmente e quasi fisicamente è funzionale per esaltare ancora di più la propria opera di legato apostolico. Perché segnalare tale episodio con una tale cura?

Pier Damiani vuole ergersi a paladino delle istanze papali a tal punto da oscurare nel suo racconto il ruolo di Anselmo da Baggio. Non va dimenticato che la lettera non è un’opera storiografica, l’obiettivo non è raccontare l’avvenimento così come avvenuto, ma l’esaltazione, più che del primato romano, del ruolo fondamentale svolto dall’autore all’interno della riforma ecclesiastica. Mi lascio andare ad una suggestione finale. Andrebbe secondo me capito quando e come questa lettera fu rielaborata in vista dell’inserimento nei codici ufficiali elle sue opere, perché se, come penso, ciò avvenne durante il pontificato di Alessandro II, allora sarebbe interessante leggere in filigrana una vis polemica del Damiani in merito all’ascesa al soglio pontificio di Anselmo da Baggio al posto dello stesso cardinale ostiense.

252 Reindel K., Briefe 65: «Mox majorem ecclesiam simul ingressi, pulpitum ascendimus. Tunc coram copioso populo civitatis, et clero, clericum suum, tactis sacrosanctis Evangeliis, jurare feci, quod ipse archiepiscopus donec adviveret, in quantum posset (excepta suorum bonorum datione, si nollet) istas duas, Nicolaitarum videlicet ac Simoniacorum haereses, omni studio totisque viribus sincere ac fideliter exstirpare contenderet: ita ut neque presbytero, neque diacono, neque subdiacono, feminam cum gradu simul habere permitteret: a conferendis etiam ecclesiasticis sacramentis venalitatis omne commercium funditus prohiberet. Idipsum jusjurandum contra Simoniacos et Nicolaitas permaxima pars populi non

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 86-97)

Documenti correlati