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La liturgia e la celebrazione della messa nella seconda metà del secolo XI

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 148-153)

IV. L A MISSIONE DI P IER D AMIANI NELLE G ALLIE . I NTERLOCUTORI ETEROGENEI E APPROCCI

IV.1 La liturgia e la celebrazione della messa nella seconda metà del secolo XI

Il problema della predicazione e quindi dell’ordo sacerdotale nella prima metà del secolo XI è rappresentato dall’attenzione alle cose terrene. Il rimando damianeo è chiaramente ai due vizi che affliggono il clero: la simonia e il nicolaismo. Entrambi legano in un vincolo diabolico i pastori, impedendone in tal modo l’ascesi spirituale. Ma, se volessimo considerare un aspetto meramente pratico, l’eccessivo impegno mondano fece sì che la stessa preparazione dei prelati facesse difetto, come già notava Enrico

117 Pier Damiani, Sermo LXXV, Migne, PL 144, coll. 924 A-D; CCCM 57, PP. 449-451. Si tratta dei cosiddetti sermoni sinodali, frammenti di prediche probabilmente pronunciate durante una sinodo.

Sappiamo che durante il viaggio nelle Gallie del 1063 tenne almeno due sinodi (Chalon e Torino) e uno nel 1069 a Francoforte. I frammenti ci sono restituiti dalle Collectanea nel codice Vat. lat. 4930 del secolo XI.

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Cattaneo nel considerare «le miserevoli condizioni della predicazione nei decenni antecedenti alla riforma gregoriana. Sembra che là dove fosse tenuta durante la messa festiva, la predica si riducesse alla lettura di un sermone degli antichi Padri a commento della lettura evangelica di quella festività»118. Le difficoltà nella produzione di sermoni era un problema evidente al Damiani già nel sermo LXI119 e ribadisce l’invito a studiare proprio nel sopracitato frammento del sermone sinodale. I fedeli dunque non intendevano l’azione sacra attraverso la lettura, ma tuttalpiù ne ricavavano principi morali cui attenersi.

Constatazioni di questo genere collimano certamente con la sottigliezza stilistica e retorica dei sermoni analizzati nel capitolo precedente, il problema è che Pier Damiani non rappresenta un caso paradigmatico di predicazione nella sua epoca, bensì una luminosa eccezione. Ciò ha permesso, assieme all’indubbia caratura del personaggio, che le sue prediche si conservassero in gran numero, rappresentando così il corpus di gran lunga più copioso di questo genere letterario per quel secolo.

Tali difficoltà di ricostruzione dell’ufficio della predicazione possono essere estese anche all’aspetto liturgico della riforma ecclesiastica. Chiedersi cosa prevedesse la liturgia nel secolo XI e in cosa fosse mutata con l’impegno dei riformatori è un interrogativo d’obbligo. Il quesito non è nuovo all’interno della storiografia di settore e il già citato Cattaneo ha provato a tracciare una sintesi di tale processo. Lo studioso che si aspetti una metodica ricostruzione della liturgia nel primo secolo del nuovo millennio rimarrà deluso. Le fonti aiutano anche in questo, tuttavia, il nodo fondamentale della trattazione non verte su come fosse svolto l’ufficio liturgico, bensì su come questo venisse utilizzato dai riformatori e, in particolare, da Gregorio VII, fungendo da straordinario strumento per combattere i due mali della simonia e del concubinato prima e per imporre il primato petrino in tutte le aree della Christianitas poi. Cattaneo ha utilizzato una definizione pregnante per sintetizzare tale fenomeno, definisce, infatti, il fattore liturgico

«un punto di convergenza di ogni regola disciplinare»120.

I due vizi che affliggevano il clero avevano le più importanti ripercussioni proprio sulla liturgia. Esemplare il caso di Milano in cui Arialdo proclamò quello che la

118 Cattaneo E., Il culto cristiano in Occidente. Note storiche, Roma 1984, p. 238.

119Migne, PL 144, coll. 846A-848A; CCCM 57, pp. 358-360.

120 Cattaneo, Il culto cristiano, p. 231.

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storiografia ha definito “sciopero liturgico”, consistente nell’invito ai fedeli a disertare le funzioni officiate da chierici simoniaci e concubinari. I milanesi si erano così ritrovati senza un numero sufficiente di prelati che potessero amministrare i sacramenti, questi ultimi considerati invalidati con effetto retroattivo, qualora fossero stati ricevuti dalle mani di chierici indegni.121 Il problema della liturgia viene quindi ad assumere un ruolo centrale nell’interpretazione del pensiero dei riformatori, giungendo dall’essere il problema principale al rappresentare l’ideale soluzione. Questa l’idea di Gregorio VII restituitaci dal suo epistolario122. Il romanus ordo, il rito vigente nel centro della Cristianità, andava esteso a ogni chiesa d’Occidente e ne sono testimonianza gli interlocutori del pontefice. La Spagna, in piena fase di reconquista, occupava sempre di più l’attenzione di Roma per via del rito mozarabico ivi vigente123; il duca dei Boemi già nel 1080 presentava la richiesta di poter leggere le letture della messa in lingua slavonica, ricevendo però un netto rifiuto da parte del papa, la cui rigidità in questo campo era stata posta alla base della stessa opera di riforma124.

A tal proposito, è di fondamentale importanza il tentativo da parte di Gregorio VII di rendere universale l’uso italico secondo cui, durante la celebrazione della messa, l’unico a essere nominato avrebbe dovuto essere il papa e non il vescovo. Un dettaglio importantissimo e sintomo di una centralizzazione romana che andava a minare soprattutto il ruolo centrale dei vescovi, oltre che quello dell’imperatore con l’imposizione che il bacio del piede fosse rivolto come omaggio solo al romano pontefice.

Questo e altri dettagli inerenti alla ritualità delle celebrazioni vengono sporadicamente accennati nello studio di Cattaneo per far risaltare i cambiamenti attuati in seno alla riforma. Viene ristabilito l’ordine antico per la recitazione del salterio mattutino, contro il nuovo che prevedeva tre lezioni e tre salmi al giorno; riabilitato risulta nuovamente il digiuno sabbatico; mentre più controversa è la politica in merito al ruolo dei fedeli nella

121 Spinelli G., Il sacerdozio ministeriale della predicazione della pataria milanese, in

«Benedectina», 22, (1975), pp. 91-110.

122 Il pensiero di Gregorio VII risulta chiaro da quanto egli scrisse ai Visigoti. Caspar E., Das Register Gregors VII, in MGH, Epistolae selectae, Berlino 1920, 1920, p. 594.

123 Ibidem, p. 93.

124 Ibidem, pp. 474ss.

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liturgia, in particolare quel regale sacerdotium tanto importante nella fase pregregoriana.125

Le maggiori informazioni si hanno riguardo al pontificato di Ildebrando grazie, come detto, al suo epistolario. La sua azione liturgica può essere sintetizzata in tre punti fondamentali: affermazione dell’autorità papale, ritorno all’antico, formazione e disciplina dei fedeli. Quest’ultimo aspetto era molto caro al Damiani, il quale non manca di sottolinearne importanza e modalità di esecuzione all’interno dei suoi scritti. Se un primo esempio è offerto dalla lettera al prefetto di Roma126, Cencio, un secondo lo si trova nel sermone LXXII In dedicatione ecclesiae127. Qui offre due spunti di riflessione sia in merito all’ultimo aspetto citato, sia per quanto riguarda il ruolo della liturgia e che essa riveste nel pensiero di Pier Damiani, quindi in quella fase pregregoriana cui ho accennato.

Come riporta Lucchesi, le affermazioni dell’Avellanita su questo tema sono così avanzate da apparire a tratti delle idee vicine a quelle che si svilupperanno quasi cinque secoli più tardi a opera di Lutero. 128 Già nella lettera a Cencio il ruolo svolto dai laici nell’adempimento di questo ruolo così delicato risulta controverso, lo stesso Damiani in quella sede prevedeva alcune concessioni in merito all’ufficio della predicazione salvo poi porre dei limiti procedendo di enunciato in enunciato. Risulta in tal modo complicato poter delineare secondo caratteri chiari e leggibili il profilo del perfetto laico che adempia al sacerdozio regale in maniera completa, coerente e soprattutto entro l’ortodossia imposta dalla delicata fase storica. È lo stesso Lucchesi a riscontrare almeno cinque interpretazioni:

1) Alcuni teologi affermano che si tratti di un sacerdozio esclusivamente morale e mistico, in cui i fedeli, parte integrande del corpus Christi ne siano partecipi sia nella misura della natura divina, sia in quella del sacerdozio. Si esclude quindi il senso liturgico dell’espressione.

125 Cattaneo, Il culto cristiano, pp. 236-240.

126 Reindel K., Briefe 68, in MGH, Ep., III, p. 290, datata 1059-1063

127 Migne, PL 144, coll. 908C-912B; CCCM 57, pp 421-430. I Deug-Su, Il sermone «In dedicatione ecclesiae» di Pier Damiani, in Un ponte fra le culture: studi medievistici di e per I Deug-Su, a cura di Leonardi C., Stella F., Stoppaci P., Firenze 2009, pp.602ss.

128 Lucchesi G., Il sermonario di s. Pier Damiani come monumento storico agiografico e liturgico,

"Studi gregoriani" 10 (1975), p. 7-68; ora anche in Scritti minori di Giovanni Lucchesi, Faenza, Società Torricelliana di scienze e lettere, 1983, p.116-155.

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2) Altri affermano che tale sacerdozio vada inteso in senso israelitico e quindi non sia possibile escluderne una matrice liturgica. I sacramenti secondo questa visione sono letti come atti di culto e i fedeli, ricevendoli, diventano sacerdoti di questa particolare liturgia.

3) In aggiunta a questo punto si è pensato anche di aggiungere un’interpretazione apostolica e missionaria, oltre che liturgica. L’essere cristiano impone automaticamente un obbligo di evangelizzazione, una missione che consista nel portare la parola di Dio anche nei luoghi più lontani come fecero già i primi cristiani. Infatti, tutti i primi cristiani dovettero svolgere un ruolo sacerdotale esportando il nuovo culto e lo stesso Pier Damiani ribadisce e approva tale compito svolto da Cencio nella festa dell’Epifania (quando aveva predicato al suo posto) in quanto battezzato.129

4) Una quarta interpretazione è molto più legata all’amministrazione della Chiesa in quanto istituzione. Al centro viene posto l’aspetto gerarchico per cui i vescovi debbano farsi interpreti delle istanze del Popolo di Dio, ma questa ipotesi contrasta con la scarsa importanza data dal Damiani all’aspetto gerarchico, prediligendo una gestione basata più sul potere de facto esercitato in vari contesti, come ha più volte dimostrato con le sue azioni nella guida dell’eremo avellanita o anche nell’importanza data al suddiacono Ildebrando (visto, non a torto, come addirittura superiore al pontefice Benedetto X).

5) Un’ultima lettura riunisce per certi aspetti le ultime due analizzate, un’interpretazione carismatica secondo cui sono rappresentanti tutti i fedeli quando lo spirito parla in essi ed è in questo modo che viene esercitato il sacerdozio regale.

129 Reindel K., Briefe 145, in MGH, Epistolae, IV e PL 144.

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IV.2. Il sermone LXXII In dedicatione ecclesiae. Il rituale della dedicazione

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 148-153)

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