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II. La riforma del Terzo settore

II.3. Il Codice del Terzo settore

Tra marzo 2017 ed agosto 2018 sono emanati, in attuazione della delega, sette decreti legislativi110. Il nomen di Codice attribuito al d.lgs. 117/2017, così come

modificato dal d.lgs. 115/2018 in chiave correttiva, è manifestazione della volontà legislativa di delineare un diritto del Terzo settore quale «autonomo (sotto)insieme normativo»111. Il legislatore enuclea i soggetti, organizzati nelle forme del Codice

civile, che possono assumere la nuova qualifica di «ente del Terzo settore», la cui definizione non è più ritratta in negativo, ma poggia su criteri positivi di promozione del benessere comune. Gli enti cui è attribuita tale veste, cui consegue protezione e garanzia dell’identità giuridica, sono legittimati quali protagonisti dell’economia civile, paradigma economico basato sull’equilibrio tra crescita economica e sviluppo equo e sostenibile. La riforma presenta dei limiti, come si evince a partire dall’articolo 4 (“Enti del Terzo settore”) ove il legislatore nuovamente adotta la soluzione normativa della frammentazione per tipo organizzativo risalente alla legislazione speciale dei decenni precedenti112, impiegandone nomina iuris e definizioni113, ancorché ciò

produca conseguenze nella sola fase di iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore. Altre categorie particolari di enti del Terzo settore sono invece

110 Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, reca il c.d. Codice del Terzo settore (con modifiche apportate dal decreto legislativo 3 agosto 2018); sul servizio civile universale il decreto legislativo 6 marzo 2017, n. 40, modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2018; l’istituto del cinque per mille è disciplinato con decreto legislativo 3 luglio 2017, n.111 e l’impresa sociale dal decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112 corretto dal decreto legislativo del 20 luglio 2018, n. 95.

111 A. FICI, Profili e principi generali della riforma del Terzo settore, in A. FICI, E. ROSSI, G. SEPIO, P. VENTURI, Dalla parte del terzo settore. La riforma letta dai suoi protagonisti, Editori Laterza, Bari 2019, p. 22

112 Art. 4: «sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore». 113 Si fa riferimento in particolare alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale.

50 tipizzate ex novo ma nel solco di prassi consolidate non formalizzate114. Il Codice non

contiene invece né la disciplina dell’impresa sociale, contenuta nel d.lgs. n. 112 del 201, né la normativa sulla cooperazione sociale e delle società di mutuo soccorso115.

La rivendicazione di autonomia scientifica della materia non si accompagna ad una totale indipendenza del Codice, che frequentemente presenta rinvii a fonti extra- codicistiche. L’art. 3, rubricato “Norme applicabili”, evoca un duplice rapporto di specialità. In primo luogo si chiarisce che la disposizioni codicistiche si applicano, ove non derogate e nei limiti della compatibilità, agli enti del Terzo settore aventi una disciplina particolare. È il caso delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale la cui disciplina speciale è abrogata ai sensi dell’art. 102 e al contempo amalgamata nel Codice affinché siano preservate le peculiarità delle differenti forme organizzative. Il secondo comma dell’art. 3 afferma che per quanto non stabilito dal codice e nei limiti della compatibilità, si applicano le norme del Codice civile e le disposizioni di attuazione. La norma colloca dunque il diritto del Terzo settore «nel più generale insieme del diritto degli enti giuridici di cui al Codice civile» e, al contempo, configura un «rapporto interno di ulteriore specialità»116, ossia il Codice del Terzo settore, lex specialis rispetto al Codice civile,

diviene lex generalis rispetto alla disciplina particolare dettata per specifici enti.

Nel Codice sono presenti rinvii a sub-legislative. A titolo di esempio, il comma 2 dell’art. 5 CTS (“Attività di interesse generale”) attribuisce al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali il potere di aggiornare l’elenco delle attività di interesse generale svolte dagli ETS così sostanzialmente incidendo sui criteri di qualificazione degli

114 È il caso delle reti associative e degli enti filantropici.

115 La disciplina sulla cooperazione sociale è dettata dalla legge n. 381 del 1991, quella delle società di mutuo soccorso è collocata nella legge 15 aprile 1886, n. 3818.

116 E. QUADRI, Il diritto del Terzo settore tra diritto speciale e diritto generale, in Nuova giur. civ. comm., 5/2018, p. 709

51 ETS. Se da una parte ciò può apprezzarsi per la maggiore celerità dell’intervento amministrativo rispetto all’iter parlamentare, tuttavia sono state evidenziate perplessità anche dal Consiglio di Stato sul pericolo di un’ingerenza eccessiva del potere amministrativo nell’autonomia privata, soprattutto nelle ipotesi in cui lo strumento amministrativo finisca de facto, nonostante l’inidoneità, per assumere il valore di legge117. Il Codice del Terzo settore infatti, quale fonte legislativa, «contiene

indicazioni importanti ma non esaustive a proposito di elementi essenziali della definizione di ente del Terzo settore ed ha bisogno di un completamento nelle fonti subordinate, nella disponibilità del Governo (e, talora, sottratte al controllo parlamentare). In realtà ciò dovrebbe avvenire o nelle forme previste dalla legge delega […] o […] mediante l’intervento fisiologico e meditato della legge parlamentare»118.

La legge delega indicava, quale principio direttivo, la semplificazione della normativa vigente garantendone la coerenza giuridica, logica e sistematica (art. 2, comma 1, lett. d). Tale obiettivo può dirsi non adeguatamente raggiunto in quanto non vi è stato l’allineamento della normativa fiscale e tributaria per gli enti del terzo settore, ma un mero riordino. La disciplina fiscale degli ETS è contenuta all’art. 79 del Codice - eccezion fatta per le imprese sociali la cui legislazione fiscale è prevista nel d.lgs. n. 112/2017 – ed è diversamente articolata per gli enti commerciali e gli enti non commerciali. La differenziazione è peraltro imperniata sulla commercialità oggettiva delle singole attività di interesse generale e onera gli amministratori ad analisi attente quanto a ricavi annualmente percepiti e classificazione delle attività

117 Tale problematicità è segnalata sia in P. CONSORTI, L. GORI, E. ROSSI, Diritto del Terzo settore, cit., p. 88 che in L. GORI, Il sistema delle fonti del diritto nel terzo settore, cit., p. 22 118 L. GORI, Il sistema delle fonti del diritto nel terzo settore, cit. 26

52 svolte dall’ente119 comportando notevoli conseguenze sul piano economico ove non

siano rispettati i requisiti per l’accesso al regime fiscale agevolativo degli enti del Terzo settore non commerciali (art. 79, comma 5).

Differenziazioni attengono anche alle agevolazioni sulle imposte indirette, sulle misure fiscali di sostegno e sulle liberalità. Seppur siano stati apprezzabilmente riorganizzati tali profili normativi, «un progetto di riforma volto a fornire una disciplina organica del Terzo Settore, a riconoscere le caratteristiche, le specificità, il ruolo che gli enti ad esso riconducibili assumono nel moderno contesto economico e sociale, doveva ben contemplare l’introduzione di un regime fiscale strutturale, di settore capace di valorizzare (e favorire), in una logica di sussidiarietà orizzontale, il fatto che la capacità economica di tali enti viene tipicamente asservita alla funzione sociale»120.

Opinabile la scelta di non istituire una Authority o di individuare un soggetto cui attribuire il complesso delle funzioni di controllo sugli enti del Terzo settore in sostituzione della soppressa Agenzia per il Terzo settore, ma di preferire un articolato sistema di controllo facente capo a più soggetti, governativi e non, in assenza di forme di coordinamento121.

La legge n. 106/2016 prescriveva al Governo la riforma del Titolo II, Libro I del Codice civile, ma tale revisione non ha avuto luogo ed i decreti di attuazione hanno avuto la limitata rilevanza di aggiungere un articolo (art. 42-bis) al Codice in

119 L’art. 79, comma 3 del Codice del Terzo settore indica le attività che in ragione della loro particolare meritevolezza sono considerate ex lege non commerciali.

120 G. BOLETTO, La riforma del Terzo settore e la necessità di introdurre un regime tributario strutturale, di settore, valido per tutti gli ETS, paper presentato in occasione del XII Colloquio Scientifico sull’impresa sociale, 25-25 maggio 2018, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università̀ degli Studi di Trento, p. 5

121 Per approfondire, E. ROSSI, Il rompicapo dei controlli sugli enti del Terzo settore, in Non profit, 3/2017, pp. 271 ss.

53 attuazione dell’art. 3, lett. e) della l. n. 106/2016. Ne consegue «un risultato normativo radicalmente diverso e, per certi versi, irragionevole»122. Se il Codice del Terzo

settore reca una normativa puntuale e dettagliata che appesantisce struttura e funzionamento degli ETS, la disciplina civilistica è quantitativamente poco significativa e concede ampi margini di flessibilità in favore di quegli enti collettivi del I libro che, confacenti ai requisiti prescritti, decidano di non iscriversi al RUNTS. La frapposizione tra ETS e gli «enti ipo-regolati»123, tanto più eclatante e vistosa se

confrontata alla identificazione di principi e criteri direttivi generali (art. 2, l. n. 106/2016) che avrebbero dovuto orientare il legislatore delegato e valevoli per il

plenum degli enti collettivi del Libro I del Codice civile, presenta profili di

irragionevolezza ed è stata definita costituzionalmente problematica. Parte della dottrina ritiene invece che il distinguishment sia «comprensibile e condivisibile»124 nella

misura in cui assumere la qualifica normativa di “ente del Terzo settore” comporti essere «concettualmente qualcosa di più e di diverso dall’ente non lucrativo». Se la premessa è che siamo di fronte a due materie differenti, è allora ammissibile che il legislatore non si sia occupato, a causa del volume di lavoro richiesto e dell’esiguità del tempo a disposizione, di entrambe. Gli ETS non sono però avulsi dal contesto del diritto privato degli enti giuridici, «di cui costituiscono un sub-sistema normativo»125, e disparità di trattamento sono ammissibili ove rispondenti a canoni

di ragionevolezza.

122 L. GORI, Il sistema delle fonti del diritto nel terzo settore, cit., p. 18 123 L. GORI, Il sistema delle fonti del diritto nel terzo settore, cit., p. 19 124 A. FICI, Profili e principi generali della riforma del Terzo settore, cit., p. 26

125 A. FICI, Gli enti del Terzo settore, forma complessa dal volontariato alle coop. sociali, in Guida dir., 46/2017, p. 21.

54 Il maggior pregio della riforma è stato il riconoscimento della «soggettività» e del «ruolo del Ts nel nostro ordinamento giuridico»126. ETS è una qualifica acquisita

dagli enti conformi alle prescrizioni di cui all’art. 4 CTS in relazione a forma organizzativa, finalità perseguite, modalità di svolgimento delle attività e metodo impiegato e che adempiono agli obblighi legislativi e soggiacciono a controlli al fine di instaurare rapporti con la pubblica amministrazione, accedere a forme di rappresentanza presso le istituzioni e godere di agevolazioni e vantaggi. Tuttavia Le numerose condizioni, anche contabili, cui l’iscrizione (facoltativa) al RUNTS è subordinata ed in generale il più modesto e flessibile regime di diritto comune rendono concreto il pericolo «di impostare un TS a due velocità»127, un Ts

istituzionalizzato ed un Ts slegato da legami con la pubblica amministrazione, ovvero di una «fuga del Codice» degli enti che scelgano di non iscriversi al Registro in base ad un trade-off tra oneri e benefici.

A tal proposito, la governance degli ETS è modellata da regole, imperative o dispositive, volte a «rendere la loro struttura organizzativa il più possibile coerente con le finalità perseguite e capace di favorirne il perseguimento»128. Il Codice erige

un ordinamento interno degli ETS articolato in una pluralità di organi e garantisce, con norme inderogabili, la trasparenza mediante «un’organizzazione complessa, rigorosamente disciplinata»129. «La trasparenza è infatti fondamentale ai fini della

verifica della legalità e della correttezza della condotta dell’ETS, che è destinatario non solo della fiducia del pubblico, ma anche di rilevante sostegno da parte dello

126 E. ROSSI, Profili evolutivi della legislazione del Terzo settore, in A. FICI, E. ROSSI, G. SEPIO, P. VENTURI, Dalla parte del terzo settore. La riforma letta dai suoi protagonisti, Editori Laterza, Bari 2019, p. 93

127 P. CONSORTI, L. GORI, E. ROSSI, Diritto del Terzo settore, cit., pp. 205-206

128 A. FICI, Fonti della disciplina, nozione e governance degli enti del Terzo settore, in FICI (cur.), La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, Editoriale scientifica, Napoli 2018, p. 115

55 Stato e di altri enti pubblici, sotto forma di agevolazioni fiscali o d’altra natura »130.

La trasparenza è catalizzatore di fiducia di utenti, volontari e donatari e, assistita da una rete di controlli, è tema centrale della riforma del Terzo settore. Ne è propedeuticità il regolare svolgimento di attività di rendicontazione contabile, la cui sintesi è rappresentata dal bilancio. La rendicontazione permette la valutazione diagnostica della bontà dell’operato degli organi di governo, con valorizzazione dell’accountability, ed è «insostituibile strumento di comunicazione»131 costituendo

primaria fonte informativa per gli stakeholders sui risultati raggiunti nel periodo di riferimento132.

Le disposizioni aventi ad oggetto bilancio e scritture contabili (artt. 13-15) «sono poste a tutela e a garanzia degli elementi identitari del sistema»133 così come il

sistema di controlli (artt. 90-97), esterni ed interni, sono strumento di preservazione della reputazione del sistema degli ETS.

La riforma presenta un espresso riconoscimento legislativo della conciliabilità tra lucro oggettivo e non lucratività soggettiva. Il riconoscimento della compatibilità del metodo economico con le finalità dell’ente ideale ha permesso la valorizzazione della imprenditorialità degli ETS. «Il rispetto del profilo causale di detti enti, infatti, si differenzia rispetto a quello societario non tanto per l’attività esercitata quanto per il c.d. non distribuition constraint, il cui rispetto consente che l’attività economica sia sempre, in modo diretto o attraverso il reinvestimento dei suoi ricavi nell’ente stesso,

130 A. FICI, Fonti della disciplina, nozione e governance degli enti del Terzo settore, cit., pp. 118-119 131 L. BAGNOLI, La rendicontazione economica e sociale negli enti del Terzo settore, in A. FICI (cur.), La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, Editoriale scientifica, Napoli 2018, p. 193

132 La normativa prevede obblighi differenziati per ETS commerciali o non commerciali e diversamente graduati in base alla dimensione dell’ente.

56 strumentale rispetto allo scopo statutario, in senso lato, ideale»134. In particolare

l’organizzazione “corporativa”135, la tenuta della contabilità ordinaria secondo

quanto previsto dal TUIR e gli oneri pubblicitari, fra cui l’iscrizione nel Registro delle imprese, che ricadono sugli ETS commerciali sono aspetti che palesano notevoli profili di comunanza con le società per azioni, che da queste si differenziano poiché l’art. 2247 c.c. enuncia quale elemento costitutivo del contratto di società lo scopo di divisione degli utili. L’impresa sociale, qualifica che può essere acquisita da «tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti nelle forme di cui al libro V del codice civile, che, in conformità alle disposizioni del presente decreto, esercitano in via stabile e principale un’attività di impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività» (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112, art. 1), è lo «strumento imprenditoriale del Terzo settore»136.