• Non ci sono risultati.

II. La riforma del Terzo settore

II.1. Le premesse

«Nonostante la grande produzione legislativa che ha caratterizzato l’ultimo ventennio, che ha aumentato il grado di confusione e la competizione tra norme particolari, credo si possa ancora dire che la normativa italiana sul Terzo settore appare complessivamente insoddisfacente» era quanto sosteneva Gian Paolo Barbetta nel 201080. I nodi da districare nell’impianto normativo sul Terzo settore

(Ts), erano numerosi. In dottrina era attesa una riforma audace e coerente, atta ad impiantare nell’ordinamento una definizione di ente del Terzo settore (ETS), corredata da una disciplina di promozione e valorizzazione dell’impresa sociale e degli enti ispirati nella propria attività da spirito solidaristico, in primo luogo con interventi di incentivazione sul piano fiscale e finanziario. Seguiva l’augurio di potersi giovare di inedite forme di collaborazione con la pubblica amministrazione, tanto nella produzione e offerta di beni e servizi sociali quanto nel coinvolgimento degli enti del Terzo settore nella definizione degli obiettivi della politica nazionale mediante l’esercizio di una funzione di advocacy. Era sollecitata la predisposizione di strumenti di monitoraggio, valutazione, controllo e verifica dell’attività degli enti del Terzo settore. La riforma si sarebbe dovuta concretare in un riassetto normativo ricondotto all’interno di un unico corpus oppure da dislocarsi in più interventi legislativi.

Nel 2004 il Consiglio di Stato, in un parere sul Codice dei diritti di proprietà industriale81, aveva fornito indicazioni sugli elementi caratterizzanti la

(ri)codificazione di nuova generazione. Essa «si accompagna al raggiungimento di

80 G. P. BARBETTA, Il settore non profit italiano: solidarietà, democrazie e crescita economica negli ultimi vent’anni, cit., p. 239

39 equilibri provvisori, ma di particolare significato perché orientati a raccogliere le numerose leggi di speciali di settore, in modo tale da conferire alla raccolta una portata sistematica, orientandola ad idee regolative capaci di garantire l’unità e la coerenza complessiva della disciplina» e possiede due requisiti essenziali: «la riforma dei contenuti della disciplina legislativa della materia, ispirandosi necessariamente anche a criteri di semplificazione “sostanziale” (alleggerimento di oneri burocratici) e di “deregolazione”» nonché «la creazione di una raccolta organica, a livello primario [...] di tutte le norme relative a una determinata materia». I codice di settore racchiudono il risultato di un’opera di riordino di una materia circoscritta, assicurandone la sistematicità interna, con regolazione dei rapporti giuridici che essa implica o coinvolge (adottando un approccio multidisciplinare e non pretendendo di esaurire l’intera gamma dei rapporti civili). La specializzazione dei codici di settore esige un’attività di manutenzione continuativa ché l’esito regolatorio non diventi in tempi brevi – anzitutto per l’incapacità di evolversi in base alle trasformazioni dei mercati – desueto, «differenza significativa rispetto alla solidità temporale dei Codice civili generali»82. È una contingenza di cui il legislatore si dimostra consapevole nella

misura in cui, nella legge delega n. 106 del 2016, predispone un meccanismo di adeguamento e correzione (art. 1, comma 7).

Si susseguono iniziative, proposte infruttuose e commissioni, tra cui ricordiamo quella presieduta da Rescigno nel 1998, Vietti nel 2005, Pinza nel 2006. L’Agenzia per le Onlus nel 2009 trasmette al Governo un documento contenente la formulazione di indirizzi e suggerimenti per una revisione organica della materia. L’Agenzia, nella Relazione Annuale sull’attività svolta dall’Agenzia per le Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale (1° gennaio 2009 - 31 dicembre

82 A. MAZZULLO, Il nuovo codice del terzo settore. Profili civilistici e tributari (d.lgs. 3 luglio 2017, n.117), Giappichelli, Torino 2017, p. 17

40 2009)83, illustra la struttura dell’atto, ciascun capitolo del quale compendia profili

normativi necessitanti un intervento di riassetto. Il 13 maggio 2014 il Governo Renzi rende noto un documento dal titolo “Linee guida per una Riforma del Terzo Settore”84,

promuovendo, sui contenuti di questo, una consultazione pubblica a partire dal 13 maggio fino al 13 giugno del 201485 affinché siano acquisite «le opinioni di chi con altruismo opera tutti i giorni nel terzo settore, così come di tutti gli stakeholders e i cittadini sostenitori o utenti finali degli enti del no-profit».

Secondo le linee guida governative l'edificazione di un Welfare partecipato si sarebbe dovuta realizzare mediante «la costruzione di reti solidali» in cui a Stato, Regioni, Comuni, associazioni e organizzazioni del terzo settore sarebbe stato richiesto di collaborare in maniera metodica e costante. Affinché alla vocatio del soggetto pubblico nel processo di costruzione del Welfare mix non facesse seguito l’assenza e l’indifferenza degli enti operanti nel Terzo settore, obiettivo conclamato della ventura riforma è l’introduzione di un sistema di incentivi e strumenti di sostegno verso «tutti i comportamenti donativi o comunque prosociali dei cittadini e delle imprese». La riforma doveva cementificare i claudicanti basamenti su cui si era sorretto fino a quel momento il rapporto tra Stato e Terzo settore affinché si potesse attingere alle risorse che quest’ultimo è in grado di produrre e/o offrire, allo «straordinario potenziale di crescita e occupazione insito nell’economia sociale», alla «capacità [del Terzo settore] di essere motore di partecipazione e di autorganizzazione dei cittadini, coinvolgere persone, costruire legami sociali, mettere in rete risorse e competenze, sperimentare soluzioni innovative». L’apparato prospettato, volto all’attrazione delle potenzialità e delle capacità dei privati nel

83http://sitiarcheologici.lavoro.gov.it/AreaSociale/AgenziaTerzoSettore/Documents/relazione_annuale_ 2009.pdf

84 consultabili su www.governo.it

41 sistema pubblico di risposta ai bisogni sociali, è confermato nella successiva legge delega e diviene «non irragionevole il timore che nel disegno del legislatore l’intervento del terzo settore nel welfare dovesse essere sostitutivo piuttosto che sussidiario, mentre invece il terzo settore non può essere – o meglio, non dovrebbe essere- la risposta al taglio della spesa pubblica sociale»86. Nel documento

governativo, tuttavia, si dichiarava espressamente che l’azione pubblica si sarebbe affiancata ai soggetti operanti nel Terzo settore mediante il ricorso ad un modello reticolare, anziché sostitutivo, di risposta alle domande di protezione sociale perché «pubblica amministrazione e terzo settore devono essere due gambe su cui fondare una nuova welfare society».

Gli obiettivi delle Linee Guida sono declinati in cinque indirizzi87, articolati in

ventinove azioni, quali la riforma del Libro I, Titolo II del Codice civile, l’aggiornamento della legge sul volontariato, la revisione della legge sulle associazioni di promozione sociale, l’istituzione di una Authority del terzo settore (dopo la soppressione dell’Agenzia per il Terzo settore), il coordinamento legislativo in materia di Terzo settore da realizzarsi con la redazione di un testo unico.