Nella regolazione del Terzo Settore si inserisce la legge 7 dicembre 2000, n. 383 (“Disciplina delle associazioni di promozione sociale”). L'art. 2 della presente definisce quali associazioni di promozione sociale «le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati».
L'art. 1, rubricato “Finalità ed oggetto della legge”, disvela la ratio che orienta l’intera legislazione del Terzo settore, ovverosia il riconoscimento del «valore sociale
65 L'Agenzia per il terzo settore (ex Agenzia per le Onlus) è stata soppressa nel 2012 a seguito dell'entrata in vigore del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16 (art. 8 comma 23), convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44. In merito E. ROSSI, Fine – ingloriosa – dell’Agenzia per il Terzo settore?, in Costituzionalismo.it, 13 febbraio 2012 e L. GORI, L’Autorità (o l’Agenzia?) del Terzo settore: il grande assente del disegno di legge?, in Non profit, 3/2014, pp. 129 ss.
66 G. TIBERI, La dimensione costituzionale del terzo settore, in C. CITTADINO (cur.), Dove lo stato non arriva. Pubblica Amministrazione e terzo settore, Firenze 2008, 25 ss., p. 3
33 dell'associazionismo liberamente costituito e delle sue molteplici attività come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo» di cui si «promuove lo sviluppo in tutte le sue articolazioni territoriali, nella salvaguardia della sua autonomia; favorisce il suo apporto originale al conseguimento di finalità di carattere sociale, civile, culturale e di ricerca etica e spirituale».
La riforma del Titolo V (l. cost. n. 3/2001) esplicita un principio fondamentale già intessuto nella trama del testo costituzionale fin dalla sua originaria formulazione, il principio di sussidiarietà. Il quarto ed ultimo comma del rinnovato art. 118 cost. sancisce espressamente il principio di sussidiarietà orizzontale e quindi la coessenzialità delle formazioni sociali nel perseguimento del bene comune, non più rimesso al monopolio statale, bensì «vocazione nell’agire di ciascun cittadino e formazione sociale»68. Il principio di sussidiarietà orizzontale impegna il legislatore
a prefigurare politiche promozionali e di favor verso i corpi intermedi tese all‘incremento del dinamismo dell'iniziativa privata solidaristica diretta al conseguimento dell’utilità generale.
La sussidiarietà era stata dapprima indicata nella legge 15 marzo 1997, n. 59, la c.d. legge Bassanini I, quale criterio e principio cui informare il decentramento amministrativo. Rafforzato nella sua portata dalla legge costituzionale, il principio di sussidiarietà, quale regola nei rapporti tra iniziativa privata e pubblica amministrazione, diviene «baluardo contro le tendenze rivolte verso l’esclusività dell’intervento pubblico»69 e obbliga ciascuno dei diversi livelli di governo di
68 L. ANTONINI, A. PIN, Gli aspetti costituzionali, amministrativi e tributari del terzo settore, cit., p. 162
34 favorire, nell‘ambito delle rispettive attribuzioni, i privati nello “svolgimento di attività di interesse generale”70.
Il «paradigma bipolare»71 del nostro ordinamento giuridico è scardinato
definitivamente dalla riforma costituzionale, grazie alla quale il Terzo settore assume il ruolo di attore principale ma non esclusivo, con un graduale ampliamento degli spazi di regolazione degli interessi privati che, ancorché di rilevanza generale, sono ricondotti all’autonomia dei privati, intesi sia come singoli che come associati, legittimandosi l’intervento dello Stato quando «l’autoregolamentazione dei privati si dimostri in concreto inidonea a realizzare un’equilibrata tutela di tutti gli interessi in gioco»72.
Il legislatore, nel decreto legislativo n. 155 del 2006, rompe la dicotomia tra soggetti economici del libro V del Codice civile ed enti collettivi senza scopo di lucro del Libro I mediante l’istituzione dell’impresa sociale. Ancora una volta non si tratta di un nuovo tipo di ente, ma di una ennesima qualifica che «tutte le organizzazioni private [...] che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale» ai sensi dell’art. 1, primo comma del decreto legislativo n. 155 del 2006. Il legislatore consente di impiegare qualsiasi modello organizzativo privato, persino di tipo societario, sebbene l’ente non persegua scopo lucrativo. L’impresa sociale svolge la propria attività, nei settori tassativamente indicati da decreto, con metodo economico, ma con divieto di autodestinazione dei risultati di gestione, da impiegarsi nell’esercizio dell’attività statutaria o nell’incremento del patrimonio dell’ente. Il
70 art. 118, quarto comma, Cost.
71 S. CASSESE, L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., 3/2001, p. 602
72 M. NUZZO, Prefazione, in M. NUZZO, Il principio di sussidiarietà nel diritto privato, I voll., Giappichelli, Torino 2014, p. XVI
35 patrimonio è altresì gravato da vincolo di indisponibilità non solamente per tutta la durata dell’esercizio dell’impresa, ma anche dopo la sua cessazione in quanto il residuo deve essere devoluto ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni, fondazioni ed enti ecclesiastici, secondo quanto previsto da statuto. Le imprese sociali sono soggette a regole speciali quanto all’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale73.
La nozione di “impresa sociale” poggia sul dato teleologico - di orientamento finalistico dell’attività svolta - quale criterio discretivo del nuovo ente74. Se il decreto
non contiene disposizioni volte ad agevolare le imprese sociali che introduce nell’ordinamento, «un’intrinseca funzione promozionale, seppur minima, è assolt[a] dalla stessa istituzione della categoria»75. La facoltà di impiegare, in via esclusiva, una
qualifica (acquistata qualora si rispettino puntuali oneri di governance, di organizzazione e di gestione patrimoniale) nei rapporti con utenti, finanziatori, committenti, nonché, specialmente, nei rapporti con la pubblica amministrazione, di per sé agevola le organizzazioni che la adottano.
Se, come abbiamo detto, l’impresa sociale non è un nuovo tipo di ente, ma una qualifica che gli enti possono assumere al ricorrere di certe condizioni, la disciplina - codicistica o ritratta dalla legislazione speciale - propria dell’ente che esercita l’impresa sociale continuerà a trovare applicazione ove non espressamente derogata.
73 G. F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, cit. p. 85
74 G. P. BARBETTA, Il settore del non profit italiano: solidarietà, democrazia e crescita economica negli ultimi vent’anni, cit., p. 220
75 A. FICI, La nozione di impresa sociale e le finalità della disciplina, in A. FICI, Imprese cooperative e sociali. Evoluzione normativa, profili sistematici e questioni applicative, Giappichelli, Torino 2012, p. 79
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