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“Colore di travertino” Opere di finitura e completamento

Nel documento Il Colonnato di piazza S. Pietro (pagine 129-134)

Nel giugno 1663 l’imbiancatore Antonio Martiniani riceve un pagamento in “acconto delle imbiancature di tevertino che d.o a fatto e fa per di fuori del portico”73. La nota non specifica in dettaglio il tipo di lavoro condotto; tuttavia, l’entità della cifra (100 scudi) è tale da far ipotizzare un lavoro di no- tevole impegno. Molto più dettagliata è la Misura, e Stima dell’8 gennaio 166474: un documento di grande importanza, che attesta l’imbiancatura di “colore di travertino a’ due mano con Colla e terra gialla” di tutte le 142 co- lonne ed i 44 pilastri del Portico settentrionale (inclusi gli “sfondi” compresi tra di essi), oltre che delle trabeazioni in travertino del I° e del IV° giro; il trat- tamento interessa anche le balaustrate sommitali del Portico.

Una volta ultimato il montaggio dei rocchi delle colonne e, più in generale, dei blocchi di pietra (pilastri, trabeazione, balaustrata) si è dunque proceduto alla stesura di una patina omogenea. La motivazione dell’intervento deriva con ogni probabilità dall’esigenza di uniformare il più possibile la superficie, occultando i giunti tra i blocchi, i tasselli inseriti successivamente e le stesse imperfezioni del materiale visto che, come si è visto, non poche critiche erano state rivolte alla qualità del travertino utilizzato per il Portico settentrionale. Appare dunque possibile che l’intervento sia stato motivato anche dalla non del tutto soddisfacente impressione ricevuta una volta completata l’opera. È facilmente ipotizzabile che la patina sia stata applicata per ragioni di omogeneità anche nel Portico meridionale, al di là della migliore qualità complessiva del travertino utilizzato per quest’ultimo.

Il “colore travertino” viene steso anche a finitura delle volte dei Portici (figg. 60, 67), con la sola eccezione della volta a botte centrale, verniciata “con due mane di bianco” (fig. 65): una scelta per alcuni versi singolare, confermata dal recente restauro, che sembra denotare l’intento berniniano di differenzia- zione cromatica.

L’11 luglio 1674, il Cartari annota “Si è principiato ad imbiancare il gran Colonnato della piazza Vaticana”75: se, come probabile, non si riferisce al Portico meridionale non ancora trattato, la nota potrebbe indicare una sorta di manutenzione ravvicinata in vista dell’Anno Santo del 1675 (in effetti nei mesi succesivi, come ricordato ancora dal Cartari, si provvede anche a spianare la piazza ed a spolverare l’interno della basilica).

Connessa per certi versi all’operazione precedente, anche l’opera di finitura dei Bracci comprende dettagli interessanti. La facciata del Braccio è scandita da paraste binate che sorreggono una trabeazione continua conclusa superiormente da una balaustrata con statue; tra le parate sono inseriti i finestroni che illuminano l’ambiente interno (fig. 34). Il materiale utilizzato è il travertino, con eccezione delle porzioni di parete comprese tra le paraste ed i finestroni, oltre che degli stretti settori murari racchiusi tra le paraste stesse: si tratta, rispettivamente, degli “11 vani” e dei “13 fondi” ricordati nella documentazione76, questi ultimi di nu- mero maggiore perché vengono correttamente considerati anche quelli compresi tra le paraste terminali (ovvero quelle contigue al prospetto della basilica e, nella direzione opposta, al Colonnato). Le “fascie” menzionate nel documento sono appunto le porzioni di facciata in intonaco attorno a ciascun finestrone: tre sopra e lungo i due lati (“fascia att.o la finestra per 3 fascie”), mentre una quarta è quella “sotto la soglia”; infine, l’ultima posta in alto, alla quota dei capitelli (“fascia che ricorre al pian della Tavola delli Capitelli”).

Nel documento vengono ricordati anche i “Collarini”, ovvero la modana- tura sagomata continua che collega orizzontalmente tutti i capitelli delle

paraste del “Braccio” non interrompendosi neanche tra le paraste, con sviluppo notevole (309 ¼ palmi, pari ad oltre 69 metri) a fronte di una ridottissima al- tezza (mezzo palmo, poco più di 11 centimetri).

Sebbene il documento segnalato si riferisca al “Corridore di Costantino” (ovvero al Braccio settentrionale), è del tutto ovvio che la finitura dovesse essere identica anche per l’altro Braccio. L’indicazione “nella parte di fuora” (che compare nell’intestazione del documento), designa semplicemente il pro- spetto verso la piazza, dal momento che nei fogli precedenti erano stati enu- merati i lavori condotti “nella parte di dentro”, cioè quelli relativi agli spazi interni del Braccio. Infine, la cifra pagata per l’intervento dell’imbiancatore (25 scudi) attesta una lavorazione senz’altro accurata (a titolo di paragone si pensi che, solo pochi anni dopo, l’applicazione della tinta a ”colore di Traver- tino” nel tamburo della grande cupola della chiesa dei Ss. Ambrogio e Carlo al Corso sarebbe costata solo 6 scudi)77.

L’importanza della documentazione reperita è duplice:

a) innanzitutto, permette di stabilire con certezza il tipo di finitura croma- tica scelto dal Bernini per le parti non in pietra (“Per hav.r dato il colore di Tr.no sop.a d.i stucchi e Colle”). La tinta che simula la finitura in travertino viene stesa, dunque, sia sulle “Colle” (cioè sugli intonaci, ovvero le “fascie” intorno ai finestroni ed i “fondi” tra le paraste) che sugli “Stucchi” (e quindi sui “Collarini” sagomati in stucco). Da qui l’incongruità, rispetto alle intenzioni originarie, della distinzione cromatica tra intonaci e parti in pietra, cancellata nel corso dell’ultimo restauro78.

b) criticamente, l’acquisizione archivistica legittima una nuova interpre- tazione del progetto compositivo originario. Appare infatti evidente come il Bernini avesse pensato alla relazione tra Colonnato, Braccio e facciata della chiesa in termini di uniformità cromatica e, quindi, di continuità: in altri ter- mini, l’omogenea finitura a travertino (reale o simulata, a seconda delle diverse parti) avrebbe dovuto determinare un’immagine unitaria.

Proprio alla luce di quanto emerso nel corso della ricerca condotta, il recente restauro si è correttamente orientato al recupero dell’immagine sei- centesca, eliminando l’incongrua tinta ocra frutto di interventi successivi de- rivanti da una concezione in sé non illogica – basata, cioè, sulla distinzione tra l’ordine architettonico ed il piano parete – ma del tutto estranea all’impo- stazione originaria.

Al 4 aprile 1662 data la Misura, e Stima relativa al grande stemma di Ales- sandro VII posto sopra l’ingresso di Palazzo (cioè quello verso la Scala Regia) del Portico settentrionale (fig. 37): condotta da Ambrogio Appiani, nipote di Andrea, l’opera di intagliatura del travertino viene valutata 120 scudi; l’atto conclude una vicenda piuttosto tormentata, che aveva visto, già dall’estate del 1659, l’allestimento da parte del Bernini di ben tre modelli79. Lo stemma viene assicurato grazie a due sprangoni di peso pari a 244 libbre (oltre kg 80)80. Il 6 dicembre dello stesso anno è la volta del rustico dello stemma posto sopra l’ingresso verso Borgo nuovo, fatto “cavare, et abozzare da M.ro Andrea Appiani” e stimato dal Bernini, Drei e de Rossi poco meno di 120 scudi81; solo il 29 febbraio 1664, tuttavia, verrà redatta la Misura, e Stima relativa al- l’opera compiuta, realizzata da “Antonio Pozzi, Intagliatore di Pietra”82.

La documentazione permette innanzitutto di ricostruire le fasi principali dell’iter di trasporto e montaggio dell’Arme (alto 19 ½ palmi e largo 10 ½), prelevato dalle “Botteghe à Santa Marta” (ovvero dal luogo di lavorazione degli scalpellini)83: più un dettaglio, sono caricati per essere trasportati nella piazza i due blocchi (corrispondenti l’uno al Regnio e Chiavi, l’altro alla Targa)

che, una volta assemblati, comporranno lo stemma. Il trasporto è un’operazione delicata, come provato dal costo rilevante (20 scudi); il montaggio avviene il giorno successivo, rendendo necessario pagare due uomini per la sorveglianza notturna (“à farci la guardia, acciò non fossi spezzata”: in termini moderni, si direbbe per evitare atti di vandalismo). Onerosa è anche l’operazione di solle- vamento e sistemazione dello stemma (74 scudi), sia per il peso (circa 16 car- rettate, oltre 16 tonnellate) che per la forma molto articolata, quindi facilmente suscettibile di rotture o scheggiature. Il tiro avviene grazie anche a quattro candele (grossi pali verticali, generalmente in abete o castagno), ciascuna com- posta da tre pezzi legati con cinque staffe di ferro per un’altezza totale di 40 palmi (poco meno di nove metri), irrigidite da altrettanti sbadacchi. I blocchi sono imbracati e tirati in alto e posizionati: non si tratta di un’operazione facile, dal momento che si ribadisce più di una volta che si è lavorato “con grave scomodo”, in particolare per “haver levata più volte d.a Arme, et remessa per provarla à suo luogho”. Diversi aggiustamenti si rendono dunque necessari per collocare correttamente lo stemma, che viene ancorato ad un muro di so- stegno alto 21 palmi (in pratica, quanto lo stemma), realizzato in mattoni e spesso 6 teste, tramite tre spranghe metalliche: due poste lateralmente (in cor- rispondenza delle “doi Ale, che fanno cartocci dalle bande di d.a Arme”, con ogni probabilità orizzontali (o diagonali), una terza disposta invece vertical- mente. Una porzione dei blocchi in travertino viene comunque incastrata di- rettamente nel muro (ecco perché dallo spessore di quest’ultimo risultano de-

falcate alcune misure); inserita parzialmente nel muro ed assicurata da spranghe

metalliche, l’Arme può dirsi definitivamente posizionata.

Modalità simili nel trasporto e nel montaggio sono ipotizzabili anche per gli stemmi del Portico meridionale: il primo luglio 1666 viene stimato quello posto sopra l’ingresso di mezzo, anch’esso eseguito da Ambrogio Appiani e valutato, per ciò che concerne il lavoro d’intaglio, 120 scudi84; un mese dopo (2 agosto 1666) è la volta dello stemma posto sopra l’ingresso di Borgo vecchio, ancora dell’Appiani85.

Note

1 A. PALLADIO1570, Libro primo, cap. VII.

La nota palladiana riecheggia peraltro quanto puntualizzato in precedenza dall’Alberti nel ter- zo Libro del De re aedificatoria: “Certo, nell’in- tero edificio, e in particolare nelle fondazioni, è necessario non dimenticare nulla in cui possa essere apprezzata la ponderazione e la diligenza del cauto e accorto costruttore, dal momento che se nelle altre parti si sbaglia qualcosa il dan- no è minore, si può correggere più facilmente e si ripara con maggior successo rispetto a quello inferto alle fondazioni, nelle quali nessun errore è scusabile” (L. B. ALBERTI2010, p. 88) ed an- ticipa l’analoga precisazione dello Scamozzi (1615) (“Sono di tanta importanza le fonda- mente à gli edifici, che farsi alcuna altra opera si può, né si dee anteporre ad esse; e perciò deo- no esser fatte molto sode, e forti, e sicure; acciò possino regger validamente tutta l’opera: perché esse sole vengono ad esser la base, & il piede, & il fermamento di tutto l’edificio”, cit. in N. MARCONI1994-1995, p. 59).

2Sulla vicenda dei campanili di S. Pietro,

vedi la sintesi in F. QUINTERIO1980, pp. 303- 307. Per una testimonianza seicentesca: C. FON-

TANA1694, Libro V, cap. IV.

3“Noi però dissuaderemo sempre in ogni

caso a non accrescere sopra quei Portici altra benché minima Fabrica, né in tutta la longhezza, né in parte, per causa della qualità del Terreno non fermo. Il quale fa già scoprire peli e crepa- ture per tutte quelle Volte, non ostante che siano di poco vano” (C. FONTANA1694, Libro IV, cap. IV).

4 ARFSP, Arm. 26, E, 313, f. 306r (App.

doc., 1657, 52).

5Per la lettera dell’Agostini: M. MERCAN- TINI 1987, p. 28, riportato in D. DEL PESCO

1988, p. 57; per la visita del Papa vedi l’Avviso, segnalato dal von Pastor (L. VONPASTOR1961, p. 526) e ricordato in D. DELPESCO1988, p. 67.

6ARFSP, Arm. 26, E, 314, ff. 176r-177r

(App. doc., 1658, 28).

7ARFSP, Arm. 1, A, 9, f. 245r (App. doc.,

1657, 56).

8Per un sintetico quadro del problema delle

fondazioni nell’architettura rinascimentale e ba- rocca, in particolare per ciò che concerne la trat- tatistica quattro-cinquecentesca: N. MARCONI

1994-1995.

9ARFSP, Arm. 26, E, 314, ff. 37r, 39r,

41r, 48r, 55r, 57r, 59r, 61r, 63r, 75r, 77r, 79r; ARFSP, Arm. 36, G, 93A, f. 241.

10ARFSP, Arm. 7, F, 467, f. 13r (App.

doc., 1660, 7).

11ARFSP, Arm. 7, F, 467, f. 103r (App.

doc., 1661, 25).

12ARFSP, Arm. 17, E, 29, f. 363r: “Si se-

guitano a cavare li fond.ti del portico dalla parte verso Cesi”.

13ARFSP, Arm. 16, A, 164, ff. 77-81 (App.

doc., 1661, 2).

14“Quali fondamenti fatti come sopra segli

pagheranno dalla R. fabrica giuli trentasette la canna, con che resti a peso dei detti mastri di pagare il convenuto con il Bucimazzi, cioè baioc- chi quarantasette, e mezzo la canna cuba per la cavatura, e quello restaranno d’accordo per la portatura di terra con il med.mo”.

15ARFSP, Arm. 42, E, 2, f. 161r-164v. I

conti si riferiscono ovviamente al Portico meri- dionale.

16ARFSP, Arm. 27, A, 332, f.n.n. (App.

doc., 1662, 7). Per la perizia di Giuseppe Paglia in seguito alla controversia con il Buccimazza (20 novembre 1665), che acclara profondità va- riabili tra 13 e 14 5/6 palmi: ARFSP, Arm. 1, A, 9, f. 293r (App. doc., 1665, 13).

17ARFSP, Arm. 1, A, 9, f. 275r (App. doc.,

1668, 3). La perizia è sottoscritta da Benedetto Drei e Mattia de Rossi. È possibile che proprio l’irregolarità del terreno di fondazione abbia contribuito a determinare una quota leggermen- te maggiore del Portico meridionale rispetto a quello settentrionale (vedi il profilo della piazza in F. BORSI1980, pp. 90, 91).

18Per le fondazioni del Braccio meridionale,

vedi la Misura della nova Platea per fondare il Braccio verso Campo Santo dalli 7 7bre 1666 per tutto li 17 Marzo 1667 (ARFSP, Arm. 1, A, 9, ff. 46r-51r: App. doc., 1667, 25).

19Per la supplica dell’Appiani (novembre

1657): ARFSP, Arm. 11, F, 43, f. 231r (App. doc., 1658, 31); per l’appalto con il Ghetti (2 maggio 1659): ARFSP, Arm. 7, F, 467, ff. 37r- 38r (App. doc., 1659, 4), per quello con l’Ap- piani (17 maggio 1659): ARFSP, Arm. 7, F, 467, ff. 555r-556v (App. doc., 1659, 6). Per la fornitura della trabeazione del primo giro ancora con l’Appiani (25 novembre 1659): ARFSP, Arm. 7, F, 467, f. 17 (App. doc., 1659, 35), mentre per quella relativa alla trabeazione del quarto giro con Bonifacio Perti (16 dicembre 1659): ARFSP, Arm. 7, F, 467, f. 27r (App. doc., 1659, 38). Per l’editto della Sacra Con- gregazione (ottobre 1659): ARFSP, Arm. 7, F, 467, ff. 634r-635v (App. doc., 1659, 28). Sulla questione vedi anche L. LANZETTA1996, dove si segnalano alcuni documenti, già facenti parte dell’archivio del Bernini ed attualmente con- servati presso la Bibliothèque Nationale di Pa- rigi, che in effetti riproducono il testo di atti conservati soprattutto presso l’Archivio della Reverenda Fabbrica di S. Pietro (ed in gran parte riportati nella presente Appendice docu- mentaria): dal momento che si riferisce al Por- tico meridionale, la documentazione rientra co- munque in un’altra fase della polemica sulla qualità del travertino utilizzato.

20 ARFSP, Arm. 16, A, 164, f. 100 (App.

doc., 1661, 9); ARFSP, Arm. 16, A, 164, f. 114 (App. doc., 1661, 13).

21 ARFSP, Arm. 42, E, 7, f. 344r (App.

doc., 1665, 14). Il pagamento ammonta a poco più di uno scudo.

22Vedi, ad esempio, il pagamento del 5 lu-

glio 1658 relativo alle “Arcarecce servite per il Castello delle Colonne de portici” (ARFSP, Arm. 26, E, 324, f. 192r).

23 ARFSP, Arm. 26, E, 317, ff. nn. (App.

doc., 1658, 13).

24Tra le diverse note di pagamento di que-

sto tipo, vedi ad esempio: ARFSP, Arm. 26, E, 324, f. 51r, che si riferisce alle prime colonne del Portico settentrionale. Gli scalpellini, il cui numero non viene precisato, sono pagati a gior- nata: l’importo complessivo giornaliero ammon- ta a 50 baiocchi.

25ARFSP, Arm. 7, F, 467, ff. 555r-556v

(altra copia in: ASR, 30 Not. Cap., Officio 38, notaio Pietro Felice Giustiniani, 37, f. 478, 17 maggio 1659) (App. doc., 1659, 6).

26 I fusti delle colonne del portico del

Pantheon sono alti m 11,79 (F. LUCCHINI1996, p. 33, nota 5), quelli del Colonnato 51 palmi, ovvero m 11,40 circa.

27“La connessione delle pietre è la seguente:

quando si colloca una nuova pietra sopra le altre, per farla aderire perfettamente si faccia in modo che essa giaccia con la sua linea di mezzo in cor- rispondenza del corso di malta tra le due pietre sottostanti. Questo tipo di connessione si deve usare il più possibile in ogni struttura…”: L. B. ALBERTI2010, p. 103. Trovo più aderente al termine latino “nexura” la parola “connessione”, piuttosto che “tessitura” indicata nella tradu- zione di Valeria Giontella. Per una ripresa set- tecentesca della tecnica a blocchi, vedi il grande arco trionfale in onore di Francesco Stefano di Lorena, realizzato a Firenze nel 1738 da Jean Nicolas Jadot.

28“Per haver fatto n° 66 spranghe, che si

deveno mettere alle Colonne de Portici di peso l.e 107 a b.i 45 la libra” (ARFSP, Arm. 17, E, 28, f. 236v: App. doc., 1658, 4); datato 25 gen- naio 1658, il pagamento è incluso nel Conto di Lavori di ferramenti diversi fatti per Servitio della r.da fabrica di S. Pietro da m.o Ascentio Latini ferraro. Per il successivo pagamento al Latini “per haver fatto n.o 67 Spranghe che servono per tenere assieme li pezzi delle Colonne” di peso complessivo pari a 96 libbre (primo aprile 1658): Arm. 17, E, 28, f. 237v (App. doc., 1658, 14 ), replicato il primo maggio seguente relativamente a “n.o dieci Spranghe che servono per le Colonne de Portici” di peso pari a 15 lib- bre (ibidem, f. 238v).

29“Item promettono di metter in opera in

sorte di conci, che andaranno nella fabrica del Portico per prezzo di giuli dodici la carrettata da misurarsi in opra all’uso di Roma: con patto però, che detto Capi mastri siano tenuti di far condurre sotto li tetti delli scalpellini tutti quei sassi, che bisognaranno per lavorarli e rivoltargli secondo il bisogno, e doppo lavorati, con ogni diligenza condurli sopra senza far schianti, e poi tirarli su, et aggiustati, e ritoccati, che saranno dalli scalpellini, mettergli in opra, e che siano bene in piano, et a piombo con sua calce di stucco sotto, e di fuori à soddisfatt.ne come so- pra”: ARFSP, Arm. 16, A, 164, ff. 77-81 (App. doc., 1661, 2). Il 4 giugno 1660, ad esempio, sono posti in opera nella stessa giornata 7 rocchi della 14° colonna del quarto giro del Portico settentrionale, per un’altezza complessiva di 25

palmi (poco più di cinque metri e mezzo) (ARF- SP, Arm. 17, E, 29, f. 198r: App. doc., 1660, 13) ed il giorno dopo altri 6 blocchi alti insieme circa 26 palmi (ARFSP, Arm. 17, E, 29, f. 199r: App. doc., 1660, 14).

30ARFSP, Arm. 42, E, 4, ff. 242r-245r

(App. doc., 1663, 10).

31Le note relative al posizionamento dei

rocchi delle colonne sono tratte dal diario di cantiere (4 settembre 1659-13 dicembre 1662): ARFSP, Arm. 17, E, 29, in particolare f. 13r (19 settembre 1659: App. doc., 1659, 23), gior- no in cui, nel Portico settentrionale, si sistema il plinto della quarta colonna del terzo giro (nella metà verso Borgo nuovo) e sei rocchi della prima colonna del medesimo giro, lavorando contem- poraneamente ai pilastri in corrispondenza del- l’avancorpo centrale; f. 27r (10 ottobre 1659: App. doc., 1659, 26).

32ARFSP, Arm. 42, E, 1, ff. 90r-99v (App.

doc., 1659, 21).

33ARFSP, Arm. 26, E, 324, f. 248r (App.

doc., 1659, 34).

34ARFSP, Arm. 1, A, 9, ff. 74r-107r (App.

doc., 1661, 8).

35Ibidem. 36Ibidem.

37R. GARGIANI2003, pp. 133-134, V. CAFÀ

2007, pp. 229-232.

38Libro IV, cap. V: “Et perche la maggior

parte de’ supercilii, o architravi che dir voglia- mo, che sono posti sopra ad alcune porte, overo botteghe, per la larghezza dell’apertura, se la pietra non è di buonissima grossezza non può resistere al peso, & per questo in processo di tempo si viene a rompere, si come in moltissimi luoghi si puo vedere; si potrà per gran distantia che si sia, pur che le spalle dalle bande siano forti, far tal cosa di pezzi, nel modo qui disotto in due modi disegnato, che indubitatamente tal opera sarà fortissima, & quanto il carico di- sopra sarà più grande l’opera anderà a maggior perpetuità”.

39Vedi Parte Quarta, in particolare Il Co-

lonnato e l’architettura romana del Cinquecento.

40ARFSP, Arm. 17, E, 29, f. 66r (primo

dicembre 1659: App. doc., 1659, 36).

41ARFSP, Arm. 17, E, 29, f. 363r (22 gen-

naio 1661: App. doc., 1661, 1).

42ARFSP, Arm. 1, A, 9, ff. 74r-107r (App.

doc., 1661, 8).

43R. GARGIANI2003, p. 167, fig. 386. 44Vedi, ad esempio, il Conto de ferram.ti

diversi, relativi al Portico settentrionale (10 giu- gno 1662): ARFSP, Arm. 27, A, 332, f.n.n. (App. doc., 1662, 16), in cui si ricordano, tra l’altro, “sedici spranghe da tirare per serv.o del- l’Architravi di peso ll.e cento quaranta otto” e “cinquanta spranghe lunghe p.mi 2 per serv.o delli serragli di peso ll.e cinque cento quaranta quattro”, od anche un’ulteriore nota di paga- mento della seconda metà del 1663, in cui si citano esplicitamente “tre spranghe da tirare per

serv.o dell’Architravi dell’porticho di peso ll.e sei cento ottantuno”, ovvero circa kg 77 ognuna: ARFSP, Arm. 42, E, 4, ff. 242r-245r (App. doc., 1663, 10). Per il Portico meridionale vedi invece, ad esempio, un ulteriore Conto de ferra- menti (gennaio 1664), dove si ricordano gli “sprangoni per serv.o delli Architravi del Portico verso il S.to Offitio”: ARFSP, Arm. 42, E, 5, ff. 131r-139r (App. doc., 1664, 2) o la più tarda nota di pagamento dell’estate del 1666 (“Per haver fatto doi spranghe per serv.o dell’Archi- trave del Porticho”: ARFSP, Arm. 42, E, 7, ff. 339r-340r: App. doc., 1666, 17).

45ARFSP, Arm. 27, A, 332, f.n.n.; da ri-

cordare anche il lungo Conto de Ferram.ti di- versi fatti alla R. Fabricha di S. Pietro (23 no- vembre 1661), in cui purtroppo non viene spe- cificata la destinazione dei singoli pezzi enu- merati: Arm. 42, E, 3, ff. 204r-208r (App. doc., 1661, 32).

46ARFSP, Arm. 42, E, 6, ff. 79r-85r (App.

doc., 1664, 5).

47ARFSP, Arm. 42, E, 7, f. 181 (App. doc.,

1666, 3).

48Vedi Parte Quarta.

49ARFSP, Arm. 16, A, 164, ff. 77-81 (App.

doc., 1661, 2); ibidem, ff. 87-90 (App. doc., 1661, 5).

50 ARFSP, Arm. 1, A, 9, ff. 74r-107r (App.

doc., 1661, 8); ibidem, ff. 52r-72v (App. doc., 1665, 1).

51C. FONTANA1694, Libro IV, f. 185. 52C. FONTANA1694, Libro IV, cap. IV, f.

188.

53ARFSP, Arm. 1, A, 9, ff. 52r-72v (App.

doc., 1665, 1).

54ARFSP, Arm. 1, A, 9, ff. 74r-107r (App.

doc., 1661, 8).

55BAV, Chig., a. I. 19, f. 50r; Chig., P. VII. 9. 56Sebbene improbabile, non è completa-

mente da escludere che tale elemento corrispon- da, più che ad un massiccio riempimento, al setto murario effettivamente costruito. Una so- luzione peraltro riportata anche in alcune tavole del Tempio Vaticano di Carlo Fontana.

57ARFSP, Arm. 1, A, 9.

58Più precisamente, i paradossi poggiano

sui “gattelli”, cioè mensole lignee incastrate nei muri stessi.

59ARFSP, Arm. 1, A, 9, ff. 74r-107r (App.

doc., 1661, 8).

60Libro Quarto.

61R. GARGIANI2003, p. 21 e fig. 40. 62Per il memoriale dello Spada: ASR, Spada

Veralli, 186, ff. 985-987 (App. doc., 1655, 2), trascritto integralmente in K. GÜTHLEIN1979, pp. 200-201.

63ARFSP, Arm. 27, A, 350, f.n.n. 64ARFSP, Arm. 1, A, 9, ff. 74r-107r (App.

doc., 1661, 8).

65BAV, Chig., a. I. 19, f, 50r (tecnica: gra-

fite; dimensioni foglio: mm 192 x 256). La po- sizione delle Converse è chiarita anche in altri

schizzi di cantiere segnalati dal Virgilio (L. VIR-

GILIO2012, p. 28).

66“Per la mettitura in opera di n. 20 boc-

chette lon. luna p.mi 10 murate in calce sottile

Nel documento Il Colonnato di piazza S. Pietro (pagine 129-134)