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Il Colonnato e l’architettura romana del Cinquecento

Nel documento Il Colonnato di piazza S. Pietro (pagine 165-168)

Quello tra Giovan Lorenzo Bernini e Baldassare Peruzzi è un accostamento tutt’altro che consueto: il problematico sperimentalismo dell’artista senese appare in effetti lontano dall’approccio berninano che, pur non rifiutando a priori soluzioni anche decisamente innovative, rimane comunque ancorato a quelle “regole” considerate alla base di ogni buona architettura. Nello specifico caso del Colonnato, il confronto deve essere dunque inteso non a livello ge- nerale, quanto proiettato sullo specifico piano della riflessione sul sistema strutturale a colonne trabeate di sostegno a strutture voltate.

Il passaggio dallo schema scandito da arcate su piedritti inquadrate dal- l’ordine alla soluzione a colonne singole trabeate disposte su più file concen- triche sviluppatosi, come si è visto, attraverso fasi successive nel corso del 1657, deve aver costituito per il Bernini molto più del semplice abbandono di un modello compositivo: questa scelta segna infatti la sofferta rinuncia alla collaudata declinazione sintattica romana per recuperare una disposizione che, pur vantando prestigiosi riferimenti antichi (in primis, i portici di templi greci o romani come il Pantheon od anche le stoai greche), aveva conosciuto rare riprese nella Roma cinque-seicentesca. Con, in più, una variazione fon- damentale: diversamente dalla maggior parte degli exempla classici, la struttura colonnare berniniana era destinata a reggere un sistema voltato, non un’inte- laiatura a travi. Tutto questo determina un’ulteriore riduzione del ventaglio dei possibili richiami: dettaglio non da poco per un architetto che, poco più di una decina di anni prima, aveva vissuto il dramma personale della demoli- zione di una propria opera architettonica nel complesso vaticano proprio per motivazioni strutturali.

A Roma, e non solo, il sistema compositivo a colonne trabeate singole sor- reggenti volte poteva considerarsi tutt’altro che frequente (e generalmente presente in edifici di dimensioni contenute), anche perché appariva chiaro agli architetti del tempo come la rinuncia all’affidabile sodo murario in favore di elementi puntuali mal si adattasse all’esigenza primaria di contenere le spinte laterali esercitate dalle volte stesse. Tra i pochi esempi elaborati dalla cultura rinascimentale, il palazzo dei Massimo sulla via Papalis: più che il

Fig. 130a - Roma. Palazzo Massimo alle Colonne. Cortile, portico, prospetto meridionale. Dettaglio della trabeazione. Al centro, è visibile l’architrave di tre pezzi (foto dell’A.)

Fig. 130b - Roma. Palazzo Massimo alle Colonne. Cortile, portico, prospetto settentrionale. Dettaglio della trabeazione. Rispetto al precedente, il settore centrale dell’architrave pre- senta dimensioni maggiori (foto dell’A.)

Fig. 131 - Colonnato. Portico meridionale, trabeazione. Dettaglio dell’architrave (foto dell’A.)

celebre prospetto, la parte dell’edificio che sembra avere interessato il Bernini è, per riprendere le parole del Vasari, il “bello spartimento del cortile”. Se le colonne del portico della facciata del palazzo presentano infatti il fusto mo- nolitico e, soprattutto, sono componenti di un sistema strutturale concluso da un soffitto a cassettoni, diverso appare il discorso per ciò che concerne il doppio portico del cortile: dove infatti il Peruzzi utilizza colonne composte da rocchi poste a sostenere la volta a botte, come avrebbe fatto successivamente il Bernini nella corsia centrale dei Portici vaticani97.

Che il Bernini abbia guardato alla soluzione peruzzesca del portico di pa- lazzo Massimo in un’ottica non settoriale viene confermato dall’esplicito ab- binamento con l’architrave di tre pezzi, presente nel portico del Peruzzi (figg.

130a, b) e puntualmente riproposto nel Colonnato (fig. 131). Si è già anticipato

come questo modello strutturale – basato sull’utilizzazione di tre blocchi, di cui quello centrale sagomato a cuneo – avesse trovato a Roma un limitato

uso98; abbinato ad un arco di scarico superiore, l’architrave di tre pezzi era stato peraltro raccomandato dal Serlio per le garanzie offerte in termini di re- sistenza strutturale e di durata99 (fig. 64). È possibile che sia stato anche l’ap- prezzamento serliano ad influenzare il Bernini, come provato dal dettaglio dell’arco di scarico superiore, riproposto nel Colonnato vaticano. La soluzione peruzzesca avrebbe interessato, del resto, anche Pietro da Cortona nel portico di S. Maria in via Lata (1659-1662), realizzato negli stessi anni del Portico settentrionale berniniano.

Rispetto al portico di palazzo Massimo, minore rilievo in relazione al Co- lonnato assume un altro possibile riferimento, cronologicamente posteriore: la doppia loggia del Casino di Pio IV in Vaticano di Pirro Ligorio (1559- 1566), in cui comunque, come già in palazzo Massimo, la volta è impostata su colonne verso l’esterno e, sul lato opposto, su una struttura muraria. Una certa suggestione potrebbe averla esercitata anche il portico del raffaellesco palazzo Branconio dell’Aquila (1518-1520), ancora con struttura colonnare trabeata: edificio che, come vedremo, verrà demolito proprio su richiesta del Bernini nella prima metà del 1667 (non nel 1661, come generalmente affer- mato). Ma è invece al vestibolo del sangallesco palazzo Farnese che bisogna pensare qualora si rifletta sulla triplice articolazione della sezione del Colonnato con volta a botte centrale impostata su colonne trabeate affiancata nelle due corsie laterali da una successione di volticelle (fig. 132).

Se l’interessato sguardo al palazzo Massimo riflette un’angolazione inedita per l’interpretazione di alcune soluzioni del Colonnato berniniano, il discorso ovviamente cambia per ciò che concerne Michelangelo. A partire da un ormai ‘classico’ contributo del Thoenes, le convergenze tra il Bernini ed il Buonarroti sembrano rappresentare infatti un dato pressoché acquisito100. Per ciò che concerne l’opera vaticana, l’attenzione dovrà focalizzarsi sul michelangiolesco portico del palazzo dei Conservatori, che ripropone anch’esso, sia pure par- zialmente, il modello della volta poggiata su colonne trabeate. In questo caso, l’impostazione rimanda alle corsie laterali berniniane, che riprendono infatti l’idea dei baldacchini a padiglione sorretti da quattro colonne101 (fig. 59).

Al di là di questo dettaglio, sembra emergere ancora una volta l’attenzione del Bernini nei confronti della cultura architettonica cinquecentesca, in questo caso orientata verso l’ambito delle soluzioni strutturali.

Nel documento Il Colonnato di piazza S. Pietro (pagine 165-168)