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“Gran scomodità di cavar detti fondamenti” Le fondazion

Nel documento Il Colonnato di piazza S. Pietro (pagine 93-96)

Le fondamenta propriamente si dicono la base della fabrica, cioè quella parte ch’è sotto terra, la quale sostenta tutto l’edificio che sopra terra si vede. Però, tra tutti gli errori ne’ quali fabbricando si può incorrere, sono dannosissimi quelli che nelle fonda- menta si commettono, perché apportano seco la rovina di tutta l’opera, né si ponno senza grandissima difficoltà emendare, onde l’architetto deve ponervi ogni sua diligenza, perciocché in alcun luogo si hanno le fondamenta dalla natura, e altrove è bisogno usarvi l’arte1

A pochi architetti più del Bernini l’ammonimento palladiano poteva ap- parire degno di considerazione, dal momento che era stata proprio la sottova- lutazione della scarsa resistenza del terreno di fondazione la causa primaria della più cocente débacle nel percorso professionale berninano: poco più di una decina di anni prima dell’inizio dei lavori del Colonnato, il Bernini aveva dovuto assistere infatti alla demolizione del campanile meridionale della facciata di S. Pietro realizzato su suo progetto, giudicata indifferibile per le fratture emerse nel sottostante settore del prospetto maderniano a causa dei cedimenti del terreno di appoggio2. Con un tale precedente, non appare difficile ipotizzare una particolare attenzione nei confronti della realizzazione delle fondazioni del Colonnato; un’eco della quale rimarrà, a distanza di molti anni (1694), ne Il Tempio Vaticano del Fontana, in cui si metterà in guardia dal fabbricare al di sopra del Colonnato proprio per evitare possibili dissesti3. Il 28 novembre 1657, tre mesi dopo la cerimonia della posa della prima pietra, viene redatta la prima Misura, e Stima relativa allo scavo per le fondazioni del Portico settentrionale, eseguito da una squadra capeggiata da Dionisio Nissi de Amici4. Sottoscritto da Giovan Lorenzo Bernini, dal fratello Luigi e da Marc’Antonio de Rossi – rispettivamente architetto, deputato e soprastante – il documento si riferisce ad un settore dell’opera pari complessivamente a 158 canne e 174 palmi (circa mq 923), per un costo di 80 baiocchi a canna. Oltre alla terra, lo scavo ha fatto emergere 238 carrettate di pietra, 406 di te- volozza, due blocchi di travertino ed uno di peperino dal peso complessivo di tre carrettate: dunque, 647 carrettate, pari a circa 658 tonnellate. Come si è visto, già il 15 settembre 1657 il letterato Leonardo Agostini aveva annotato in una lettera a Leopoldo de’ Medici come “con grandissima celerità si tirino avanti li fondamenti” peraltro mostrati ad Alessandro VII nel corso di un so- pralluogo compiuto in cantiere il 2 marzo dell’anno seguente, quasi in conco- mitanza con lo scarico nella piazza dei primi rocchi di travertino5.

Il 14 agosto 1658 viene redatta una seconda Misura, e stima che si riferisce a “tutto il lavoro di Terra ordinato dal molto Ill.re Sig. Cavalier Bernino Architetto in cavare li fondamenti de Portici, che si fanno su la piazza di San Pietro, et anco dela Robba data da Dionitio Nissi Caporale de Cavatori di terra”6. La larghezza di ciascuno dei vari “Pezzi di fondamento” menzionati è pari di norma a 40 palmi (poco meno di 9 metri), misura che corrisponde a metà della larghezza totale del Portico. Per ciò che riguarda invece la lunghezza, la somma dei “Pezzi” ammonta a poco più di 600 palmi coincidente, in pratica, con il suo sviluppo

longitudinale; in altri termini, la Misura si riferisce complessivamente ad una metà delle fondazioni del Portico. Per quanto riguarda infine i denti ricordati nel documento, è verosimile che si riferiscano ai tre avancorpi del Portico, i cosiddetti

Ingressi, come sembra confermato dalla larghezza indicata (circa 10/11 palmi).

La profondità dello scavo varia a seconda dei diversi Pezzi: se alcuni si spingono fino a 10 ½ palmi (cm 234), non mancano settori in cui tale valore scende ad 8 o 7 palmi, per ridursi addirittura in un caso appena a 5 ½ (poco più di cm 122).

Preziose notizie sulle modalità di scavo e, soprattutto, sulla consistenza del terreno possono essere dedotte da una supplica che lo stesso Nissi de Amici rivolge ai cardinali della Sacra Congregazione il 30 novembre 1657, appena due giorni dopo la prima Misura, e stima7. Ricordando di avere avuto dalla Re- verenda Fabbrica l’incarico di “cavare li Fondamenti… a cottimo”, il Caporale

dei cavatori lamenta di trovarsi in “grandissima perdita” economica sia per la

“gran scomodità di cavar detti fondamenti a pezzetti a pezzetti” (cioè nell’im- possibilità di procedere con uno scavo unico) che “per la rompitura de massicci tosti che trova sottoterra”. Sebbene il tono della lettera risulti probabilmente enfatizzato ad arte per indurre ad un favorevole accoglimento delle richieste, è possibile confermare le affermazioni del Nissi de Amici, come provato dall’invito a verificare nella parte dello scavo eseguito in precedenza direttamente a cura della Reverenda Fabbrica (“l’Em.ze Vostre R.me compiacendosi potranno havere piena informatione di quelli fondam.ti che la fabbrica ha fatto cavar da se”).

A differenza di quanto accadrà per quello meridionale, il Portico settentrionale poggia dunque su resistenti banchi rocciosi posti a profondità variabile, ma ge- neralmente contenuta. Ne consegue come le fondazioni presentino un’altezza proporzionalmente minima, tale quindi da risultare mediamente inferiore a quanto prescritto dalla cultura architettonica cinque-seicentesca8. Passando al materiale utilizzato, le fonti ricordano il consueto impasto di pietra di tufo, calce e pozzolana: come si è visto, ingenti forniture di questi materiali vengono effettivamente registrate nella documentazione della Fabbrica proprio nella se- conda metà del 1657 e nei primi mesi dell’anno seguente9.

Per ciò che concerne il Portico meridionale, il 15 aprile 1660 viene sotto- scritto il capitolato con Giuseppe Buccimazza relativo allo scavo delle fonda- zioni: la profondità prevista è pari “in c.a” (cioè circa) a 12 palmi, poco meno di m 2,7010. Se il prezzo è fissato in 47½ baiocchi per ogni canna cuba di terra asportata (corrispondente a poco più di 11 metri cubi), il Buccimazza si impegna, dietro compenso di 7½ baiocchi alla carrettata, ad accatastare in luogo separato pietra, travertino, selci o tevolozza eventualmente rinvenuti nel corso dello scavo. La terra dovrà comunque essere trasportata, a cura ed a spese dello stesso Buccimazza, nel luogo solito “fuori di Porta Castello”.

Il 14 ottobre 1661 segue l’effettivo accordo (o Obligo) che riprende, al di là di qualche limatura apportata ai prezzi, quanto stabilito in precedenza11. Il Buccimazza, che si offre anche di spianare successivamente l’area della piazza (opera effettivamente iniziata al termine dei lavori del Colonnato, nel gennaio del 1667), ottiene 25 giuli per canna cuba asportata e depositata “for di Porta fabrica nell’orto delli sig.ri incoronati vecino alla muraglia di Roma”. Come di consueto, il Buccimazza dovrà cedere pietra e tevolozza rinvenute nello scavo (per il corrispettivo di 7 baiocchi la carrettata), riservandosi tuttavia il materiale eventualmente messo in luce nella spianatura della piazza.

Se il 22 gennaio 1661 è ancora in corso lo scavo12, una settimana dopo si verbalizza in Congregazione la firma dei patti con i capomastri muratori Simone Brogi, Giovanni Albino Agustone, Giacomo Pelle e Pietro Ostini per l’esecuzione delle fondazioni13, la cui realizzazione è prevista in pezzame di tufo di dimensioni contenute (“non più grossa di un mezzo palmo”), impastato con calce grassa.

Particolare il sistema di pagamento: se infatti la Fabbrica riconosce ai capomastri 37 giuli per ogni canna realizzata (circa mq 5), la cifra comprende il versamento che, a loro volta, questi ultimi dovranno effettuare a beneficio del Buccimazza responsabile dello scavo14. Un quadro preciso viene comunque fornito dal conto per i “Fondamenti” del Buccimazza (dal 5 settembre 1660 al 6 maggio 1661)15, mentre il 15 febbraio 1662 si valuta l’importo totale del lavoro svolto da que- st’ultimo fino “sopra il piano de fondamenti”, ammontante a 1038 scudi16. La perizia di Giuseppe Paglia, redatta in seguito alla controversia con il Buccimazza (20 novembre 1665), acclarerà profondità variabili tra 13 e 14 5/6 palmi.

In ogni caso, la consistenza del terreno in corrispondenza del Portico me- ridionale appare radicalmente diversa da quella del Portico settentrionale: non a caso una successiva perizia, redatta in seguito a divergenze economiche tra la Fabbrica ed il responsabile dello scavo, ricorderà le “molte, e diverse disu- guaglianze de Piani di terreni, e pendenze sotto il fondo di d.i fondam.ti verso Cesi” (cioè sotto il Portico meridionale)17. Per ciò che riguarda infine i Bracci, in particolare quello meridionale, anche in questo caso le fondazioni sono a platea, comportando dunque uno scavo unitario e continuo18.

In conclusione, l’analisi della documentazione porta a ribadire innanzitutto le notevoli differenze tra i livelli di fondazione dei due Portici: quello meridionale presenta profondità oscillanti fra 13 e poco meno di 15 palmi, valori nettamente superiori a quelli del Portico settentrionale. La diversità deriva ovviamente dalla differente natura dei terreni: “massicci tosti” estesi sostanzialmente per tutta l’area settentrionale, irregolare presenza di “grotte” (cioè cavità) ed acqua in quella meridionale (soprattutto nel settore occidentale, cioè verso la facciata della basilica). A questo proposito, si è già ricordato come proprio il campanile meridionale della facciata di S. Pietro, eretto a partire dal 1638 dal Bernini, avesse presto manifestato segni di instabilità derivanti dalla scarsa resistenza del terreno di fondazione; il che porta ad ipotizzare una scarsa ed irregolare consistenza dei banchi sotterranei estesa a gran parte della zona meridionale (Colonnato, Braccio e facciata). La documentazione originale permette di sup- plire alla sostanziale assenza di fonti grafiche; la schematica rappresentazione nel terzo libro del Tempio Vaticano di Carlo Fontana (1694), infatti, indica correttamente il tipo di fondazione del Colonnato (“platea”), ma anche una profondità pari a circa 13 palmi che è, dunque, rappresentativa della situazione del Portico meridionale, non di quello settentrionale (fig. 45).

Se dunque lo scavo per le fondazioni del Portico settentrionale non sembra aver incontrato particolari difficoltà, se non quelle derivanti paradossalmente dalla notevole resistenza del terreno, il Portico meridionale ha richiesto invece un attento impegno da parte delle maestranze coinvolte; riprendendo i termini palladiani riportati all’inizio, nel primo caso di sono avute dunque “le fonda- menta dalla natura”, nel secondo è stato “bisogno usarvi l’arte”.

Fig. 45 - C. Fontana, Il Tempio Vaticano e sua Origine, Roma 1694, Libro III, p. 167, tav. XIII. In base alla scala, la profondità della “Platea” di fondazione del Portico (indicata con il numero 12) risulta pari a circa 13 palmi

Materiale, lavorazione, assemblaggio delle colonne. La ricerca della so-

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