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Gestione economica

Nel documento Il Colonnato di piazza S. Pietro (pagine 81-90)

Uno dei principali ambiti di competenza della Sacra Congregazione della Reverenda Fabbrica di S. Pietro e di alcuni dei suoi provisionati, cioè dei di- pendenti fissi salariati (in primo luogo, l’economo segretario ed il computista) riguarda la gestione economica generale che, nel caso del Colonnato, assume un ruolo fondamentale in considerazione dell’enorme impegno finanziario richiesto: azione che si traduce da una parte in un attento controllo delle en- trate, dall’altra nell’oculata distribuzione delle risorse disponibili.

Cominciando dalle prime, il primo dato che emerge è la limitata diver- sificazione delle fonti di introito: il bilancio economico del 1655, alla vigilia della fase progettuale del Colonnato, attesta come le risorse annue della Fabbrica, ammontanti complessivamente a 69.800 scudi, provenissero nella misura del 54,38% dalle cosiddette Crociate di Spagna, Portogallo e di S. Giovanni in Laterano, mentre il restante 45,62% fosse coperto da entrate varie83. La distinzione rispecchia le differenti modalità dei relativi versamenti: se infatti l’entità dei proventi derivanti dalle Crociate (autorizzazioni concesse tramite apposite Bolle dal Papa ai sovrani iberici di riscuotere le elemosine dei fedeli in nome della Sede Apostolica, a cui in cambio veniva riconosciuta una quota parte fissa) era, almeno teoricamente, costante nel tempo, gli altri canali di finanziamento presentavano carattere di variabilità, sia pure con margini di oscillazione nel complesso abbastanza contenuti. Sebbene devolvere una parte delle elemosine dei fedeli per la manutenzione ed il re- stauro degli edifici sacri rappresentasse una consuetudine secolare, il colle- gamento tra la cosiddetta Crociata e la fabbrica si S. Pietro viene stabilmente regolato, come è noto, nella prima metà del XVI secolo. Come detto in precedenza, la Crociata rappresentava la concessione ad opera del Pontefice relativa alla raccolta di tributi ed elemosine da parte di sovrani europei (es- senzialmente di Spagna e di Portogallo) in nome della Sede Apostolica, con l’impegno di versare una quota parte a Roma: in cambio di questo, la con- cessione prevedeva a beneficio del donatore il riconoscimento di indulgenze e grazie. Il termine derivava dalla motivazione originaria dell’atto, finalizzata a finanziare operazioni belliche contro gli infedeli. Nel luglio del 1537 Paolo III (1534-1549) aveva concesso la Crociata all’imperatore Carlo V (con de- correnza dal 1538 ed esigibile in Spagna e nel vicereame napoletano), dietro al riconoscimento al Papato complessivamente di 100.000 ducati nei suc- cessivi sei anni (ovvero 20.000 ducati per ciascuno dei cinque anni, con va- canza del sesto), da destinare all’edificazione della nuova basilica di S. Pietro: è grazie a questo contributo che, dopo diversi anni di drastica interruzione, si era resa possibile la ripresa dei lavori nel cantiere vaticano. Appare chiaro come la Crociata assicurasse margini di convenienza economica sia ai sovrani che al Papa: se i primi potevano contare infatti su un’importante entrata extra per i bilanci, spesso dissestati, dei propri Stati, il Pontefice veniva sol- levato dal gravoso impegno di raccogliere materialmente il denaro potendo contare a sua volta su una risorsa di entità costante negli anni, indispensabile per far proseguire con continuità la grande opera di edificazione della mas- sima chiesa della Cristianità. Sebbene l’esazione desse adito a sospetti di abusi ed irregolarità, le difficoltà maggiori per il Papato derivavano soprat- tutto alla malcelata riluttanza dei sovrani a versare la quota spettante a Roma, particolarmente negli anni di maggiori urgenze finanziarie. In altri termini, le Crociate avevano talvolta determinato lunghe dispute tra la Santa Sede ed i centri nazionali, tanto più in occasione del loro periodico rinnovo; dalla fine del Cinquecento, tuttavia, il versamento del denaro da parte delle

monarchie iberiche aveva conservato, al di là di periodi circoscritti dovuti ad eventi eccezionali, cadenze sostanzialmente regolari, agevolando quel de- cisivo scatto operativo che nel giro di pochi decenni avrebbe portato al com- pletamento architettonico della Basilica. Per ciò che riguarda invece le entrate varie, voce prioritaria era quella relativa ai legati pii e testamentari; l’incameramento di questi ultimi da parte della Reverenda Fabbrica non rappresentava peraltro un fatto episodico, ma una sperimentata consuetudine derivante da specifiche concessioni, come ribadito in un documento del 1667 (“È cosa pur troppo nota che la R.da fab.ca di S. Pietro in virtù de re- plicati privilegi de Sommi Pontefici deve conseguire i legati pij incerti ratione loci, vel Persona lasciati da Pij testatori”)84. In effetti, il riconoscimento alla Fabbrica di beni ereditari non attribuibili con certezza rappresentava un di- ritto riconosciuto già da Giulio II della Rovere (1503-1513) e successiva- mente confermato dai successori85.

Se l’incameramento delle entrate dipendeva anche dalla preziosa azione svolta dai commissari e dai procuratori della Reverenda Fabbrica, a cui veniva riconosciuto un decimo della somma effettivamente incassata86, quest’ultima poteva comunque fare affidamento anche su cespiti minori, risultanti ad esem- pio dalla locazione di immobili di proprietà, da singoli versamenti da parte di privati o comunità religiose, dal prestito o dall’alienazione di attrezzature e macchinari edilizi; una fonte di guadagno di una certa entità negli anni del Colonnato sarebbe derivato, inoltre, dalla vendita del materiale edilizio ricavato nel corso dello scavo per le fondazioni e, soprattutto, dalle estese demolizioni necessarie per liberare l’area87. Si ricordi inoltre che in possesso della Fabbrica rimaneva un ingente quantitativo di materiale di risulta di precedenti lavori: ancora nel gennaio del 1667, ad esempio, uno Scandaglio di tutti li Tr.ni,

Marmi bianchi, e Mischij, Conci diversi, et altro simile attestava, tra l’altro, la

disponibilità di ben 254 blocchi di travertino (per un peso complessivo di oltre 216 carrettate, pari a circa 220 tonnellate), residuo del monumentale campanile meridionale della facciata di S. Pietro demolito per ragioni statiche più di una ventina di anni prima; materiale ovviamente utilizzabile per nuovi lavori promossi dalla Fabbrica, ma anche parzialmente alienabile88.

Confrontando comunque l’entità delle entrate della Reverenda Fabbrica del 1655, ricordata in precedenza, con il valore relativo al 1645 (cioè a dieci anni prima)89, si nota una progressione contenuta (69.800 scudi contro 65.406, ovvero poco meno di 4.400 scudi in più, in termini percentuali pari al 6,7%), indice di una sostanziale stabilità, peraltro confermata dall’esame degli introiti di anni successivi come il 1657 (anno della posa della prima pietra del Colon- nato), ammontanti a 67.500 scudi; risulta comunque interessante notare una certa flessione (63.000 scudi) corrispondente al 1661 (inizio dei lavori del se- condo Portico)90.

Se si considera che le uscite fisse, cioè quelle derivanti dagli interessi dei luoghi di Monte (cioè i titoli di Stato) emessi in precedenza ed agli stipendi del personale assunto stabilmente (i cosidetti provisionati della Reverenda Fab- brica) variava generalmente negli anni considerati da 17.000/18.000 a 24.000 scudi, se ne deduce che a disposizione della Fabbrica stessa, in primo luogo per i lavori nel complesso vaticano, restavano non meno di 40.000 scudi an- nui91: cifra peraltro indicativa, dal momento che, come ripetutamente ribadito nella documentazione del tempo, i versamenti da parte della Spagna e del Portogallo potevano registrare sensibili ritardi e, all’opposto, non tutte le risorse raccolte negli anni precedenti risultavano effettivamente investite, con relativo incremento dei depositi monetari della Fabbrica stessa.

lizie promosse da Alessandro VII, in primis la sistemazione della piazza vaticana, metterà comunque in crisi (anche se meno di quello che si potrebbe pensare) il rapporto fino ad allora sostanzialmente positivo tra entrate ed uscite del bi- lancio della Reverenda Fabbrica, rendendo necessario un gettito straordinario. In questo contesto va collocata una nuova, rilevante emissione di titoli pubblici, ratificata con motu proprio del Pontefice il primo marzo 1662: con il IV° Monte di S. Pietro vennero immessi sul mercato ben mille luoghi di Monte, aggravando il già pesante debito pubblico, ma permettendo alla Fabbrica di disporre di una preziosa liquidità92.

Una nota dell’economo segretario della Reverenda Fabbrica di S. Pietro Andrea Ghetti, datata 10 marzo 1657, poco più di cinque mesi prima della posa della prima pietra del Colonnato, riassume i presumibili costi delle opere programmate (Opere ordinate, e disegnate di fare dalla R. fab.a), in par- ticolare la Cattedra bronzea, il pavimento del portico della basilica, le colonne mancanti in marmo cottanello per le navate minori ed i nuovi arredi liturgici voluti dal Papa (candelieri, croci, etc.)93. L’ammontare complessivo, pari a circa 127.000 scudi, risulta inferiore di poco meno di quarantamila scudi ri- spetto al totale dei cosiddetti Assegnamenti, ovvero delle entrate ipotizzabili (considerando sia gli introiti ordinari che le somme dovute arretrate): un bi- lancio quindi apparentemente solido, ma in realtà piuttosto aleatorio dal momento che, come già ricordato e come rilevato dallo stesso economo, “è d’avvertire, che l’entrate di Nap.i, che p.a erano di s.di 21 mi. come sop.a, Dio sa per l’avvenire quello renderanno. Et che l’entrate di Spagna, e Porto- gallo alle volte tardano gl’anni à riscuotersi”.

Per ciò che riguarda le uscite negli anni della realizzazione del Colonnato, la documentazione disponibile offre un quadro sufficientemente preciso, so- prattutto per ciò che concerne i primi cinque, sei anni del cantiere, periodo che corrisponde all’esecuzione del Portico settentrionale e della parte iniziale di quello meridionale. Se per l’arco cronologico immediatamente antecedente ai lavori del Colonnato un preciso riepilogo viene fornito dalla citata nota del Ghetti – che ripartisce il totale di 41.417 scudi tra gli interessi dovuti per i Luoghi di Monte (16.027), le spese per maestranze e materiali relativi ai lavori condotti nella basilica (24.000), gli stipendi dei Provisionati, cioè del personale fisso (1.170) e le elemosine (220) – per quanto riguarda nello spe- cifico il Colonnato, uno dei primi resoconti in ordine cronologico è la nota relativa alle “spese del Theatro nella Piazza di S. Pietro”, che copre il periodo 8 novembre 1656-31 dicembre 165794. L’ammontare complessivo, pari a 28.280 scudi, risulta ovviamente molto lontano da quella che risulterà la spesa finale, ma minore anche rispetto alle uscite nei mesi successivi. Quasi un terzo dei versamenti riguarda le paghe dei “manuali”, un quarto i materiali per le fondazioni (tufo, calce, pozzolana); consistente risulta anche la spesa per il trasporto della terra dello scavo. Ancora molto bassa la somma stanziata per il travertino, segno evidente che non molto era stato realizzato fuori terra; sono infine ricordati i pagamenti per i modelli lignei agli intagliatori Carcani, Giorgetti e Chicari.

Riferito ad un arco temporale maggiormente esteso e dotato di maggior completezza delle diverse voci, il Conto della Spesa, che si è fatta per il Teatro

della Piazza di S. Pietro dalli otto Nov:re 1656 sino li 19 Sett.re 1659 indica

una cifra, pari a 128.345 scudi e 98 baiocchi, sensibilmente maggiore rispetto alla precedente95: in questo caso, la quota maggiore è assorbita dalla fornitura di travertino (poco meno di 45.500 scudi), seguita dalle paghe dei “Manuali” (24.724 scudi) e degli scalpellini (9.472 scudi). Di minore entità, ma non

trascurabile la spesa complessiva per tufo, calce e pozzolana, impiegati in gran parte per le fondazioni del Portico settentrionale, ormai completate (com- plessivamente, quasi 2.200 scudi).

Si tratta, naturalmente, di bilanci parziali, destinati a lievitare in misura rilevante nel prosieguo dei lavori: il Ristretto di quanto si è speso per il Portico

dalli 8 Novembre 1656 che principio per tutto Sett.re 166296, posteriore dunque di poco meno di tre anni rispetto alla nota precedente, indica infatti un totale più che triplicato (468.543 scudi) riferibile, a questa data, quasi esclusivamente al Portico settentrionale. Il documento distingue significati- vamente le spese fatte “avanti l’Appalto” da quelle posteriori: il riferimento è ai contratti con i quali, a partire dalla metà del 1659, erano stati dati in appalto “a tutta robba e fattura” (ovvero comprendendo sia la fornitura che la lavorazione dei materiali) i lavori più impegnativi ed onerosi, cioè le opere in travertino ed in muratura. Vistosamente aumentata risulta anche la spesa per il “gettito di case”, ovvero per le demolizioni degli immobili localizzati nell’area dei Portici e della futura piazza, passata da meno di 7.000 ad oltre 32.700 scudi.

Una conferma della spesa complessiva relativa ad un singolo Portico viene da un prezioso documento che fornisce, seppure a livello di preventivo, precise informazioni: lo Scandaglio di tutta la Spesa, che và in fare il Portico

dalla parte di Cesis, databile alla fine del 1660, enumera infatti i costi delle

diverse opere inerenti al Portico meridionale, effettivamente iniziato nei primi mesi del 166197. La cifra complessiva, pari a 428.330 scudi, include poco più di 50.000 scudi destinati alla demolizione degli edifici insistenti sull’area. Merita di essere evidenziata la ripartizione degli oneri: praticamente equivalenti gli stanziamenti per i lavori in travertino e per quelli affidati ai muratori (fondazioni, strutture murarie, tetti, collocazione dei blocchi in pietra, etc.), con spesa pari rispettivamente a 181.977 e 185.583; molto più contenuta (10.550 scudi) l’uscita riferita ai manufatti metallici (catene, spran- goni, etc.). Considerando che nel preventivo non sono comprese alcune voci minori e l’ingente spesa relativa agli espropri necessari per il terzo Braccio, è possibile affermare come il totale della spesa sostenuta per il Colonnato di S. Pietro sia stato prossimo all’enorme cifra di un milione di scudi paventata da alcuni all’inizio della grande impresa.

Per quanto riguarda, infine, la gestione economica su base annua, se un efficace quadro nel periodo immediatamente antecedente all’inizio dei lavori del Colonnato è fornito dalla più volte citata nota del Ghetti, per l’arco di tempo successivo si può vedere il Ristretto della spesa fatta, e da

farsi, e dell’Entrata, e Uscita della R.da fabrica di S. Pietro98 che riassume, anche in questo caso a livello di preventivo, uscite ed entrate riferite al pe- riodo primo agosto 1663-31 luglio 1664. Le prime ammontano a poco meno di 81.000 scudi, distribuite tra la Cattedra (22.400), la Scala Regia (18.400), il Portico meridionale del Colonnato (8.700) e, infine, i consueti oneri ‘fissi’: interessi dei luoghi di Monte, cioè dei titoli di Stato (28.520), stipendi dei provisionati, cioè del personale presente stabilmente nei ruoli della Fabbrica (1.165), più 1500 scudi per manuali, per un totale di 31.185 scudi. Bisogna precisare, tuttavia, come la cifra indicata per il Colonnato sia in realtà sottostimata dal momento che, come specificato nel documento, sia gli appaltatori del travertino che i muratori avrebbero ricevuto la metà del loro compenso in luoghi di Monte (cioè in titoli di Stato), non inclusi nel computo: il che avrebbe determinato, rispetto alla cifra indicata, una maggiorazione di 3.900 scudi, portando il totale per il Colonnato a 12.600. Anche con questa integrazione, il bilancio complessivo rimane comunque

in positivo, dal momento che le entrate previste assommano a 92.000 scudi (quindi con una sensibile maggiorazione rispetto a pochi anni prima), cioè oltre 11.000 scudi in più rispetto alle uscite. Passando ad analizzare le en- trate, si scopre che 35.000 scudi (cioè più di un terzo del totale) derivano da versamenti spagnoli; aggiungendo a questa cifra i 21.000 scudi ricevuti dal vicereame di Napoli, territorio sotto giurisdizione spagnola, si arriva a 56.000 scudi ovvero, in termini percentuali, circa il 60% che sale a poco più del 66% aggiungendo la quota portoghese: in pratica, ⅔ delle entrate annuali della Reverenda Fabbrica provengono, direttamente od indiretta- mente, dalle monarchie iberiche; dato ancor più interessante se messo a confronto con la somma, relativamente esigua (8.000 scudi) raccolta nello Stato ecclesiastico. Tra le altre entrate, degno di nota per l’entità (15.000 scudi) è il legato di mons. Gavotti che, come laconicamente indicato nel documento, viene “incorporato alla Fabrica”.

Focalizzando l’attenzione, nello specifico, sui costi delle singole voci del Colonnato (in particolare del materiale più presente, ovvero il travertino), la prima osservazione da fare riguarda la distinzione tra la fase gestita direttamente dalla Reverenda Fabbrica e quella affidata invece quasi totalmente ad appal- tatori esterni. Se in relazione alla prima, siamo in grado di stimare in 3 scudi e 40 baiocchi il costo di ciascuna carrettata di travertino99, molto interessante appare in particolare la ripartizione di tale spesa: per l’estrazione in cava e la

caricatura dei blocchi sono pagati infatti solo 85 baiocchi (cioè meno di uno

scudo), il rimanente, pari a 2 scudi e 55 baiocchi, corrisponde alla spesa di trasporto, a sua volta ripartita nel tragitto dalla cava all’imbarco sull’Aniene (60 baiocchi), nella navigazione fino al porto della Traspontina sul Tevere nei pressi di Castel S. Angelo (uno scudo e 65 baiocchi) e nel breve trasferi- mento finale da qui all’area vaticana (30 baiocchi). In termini percentuali, dunque, l’estrazione e caricatura del travertino comportano solo il 25% della spesa, mentre il restante 75% corrisponde alle spese di trasporto da Tivoli alla piazza di S. Pietro (con poco meno del 50% della spesa totale esclusivamente per il percorso fluviale). Il discorso non cambia considerando il trasporto via terra: se l’ammontare complessivo per l’estrazione e la caricatura ovviamente non cambia (85 baiocchi a carrettata), il resto del costo copre anche in questo caso unicamente il trasporto (da Tivoli a Termini o Campo Vaccino: uno scudo e 90 baiocchi; da qui alla piazza vaticana, 65 baiocchi).

La procedura di appalto determinerà inevitabilmente un radicale cambia- mento della situazione. Nei diversi contratti con gli appaltatori, siglati tra il maggio 1659 ed il 1661, si farà riferimento innanzitutto al prezzo unitario per colonna, pari a 460 scudi (Andrea Appiani) e 480 scudi (Giovanni Fran- cesco Ghetti)100; solo i blocchi della trabeazione verranno pagati a peso101. In- fine, gli appaltatori verranno generalmente retribuiti mensilmente, come risulta dalle liste delle giustificazioni conservate presso l’archivio della Reverenda Fabbrica di S. Pietro.

Il ricorso al sistema basato su appalti esterni, sulle cui motivazioni si tornerà comunque più avanti, permetterà in ogni caso di condurre a termine l’opera, sia pure con risparmio di tempo nettamente minore rispetto a quanto pre- ventivato.

Note

1 Un sintetico riepilogo delle tappe fonda-

mentali dell’evoluzione organizzativa della Re- verenda Fabbrica di S. Pietro in: ARFSP, Arm. 12, D, 3, f. 31 (App. doc., s.d., 7), in cui si ri- cordano le bolle Admonet nos (generalmente datata al 1524, in realtà del 12 dicembre 1523) di Clemente VII de’ Medici con la quale si isti- tuiva il Collegium LX virorum e quella Cum ex debito (1590, in realtà 4 marzo 1589) di Sisto V Peretti con la quale il Collegium stesso veniva assoggettato all’autorità dell’Arciprete della ba- silica di S. Pietro; infine, l’istituzione da parte di Clemente VIII della Sacra Congregazione della Reverenda Fabbrica di S. Pietro “compo- sta di più Cardinali, e di Prelati della Romana Curia sotto l’autorità del Card. Prefetto, che dev’essere l’Arciprete della Basilica”. Sul tema si veda comunque: N. DELRE1969, pp. 288- 293; M. BASSO1987, pp. 41-47; S. TURRIZIANI

2008; R. SABENE2012, pp. 40-49, 71-72. Per il periodo corrispondente alla progettazione ed all’edificazione del Colonnato (1656-1667), i decreti della Congregazione della Reverenda Fabbrica di S. Pietro sono raccolti in ARFSP, Arm. 16, A, 176 (che comprende i decreti dall’8 giugno 1654 fino al 27 febbraio 1660) e ARF- SP, Arm. 16, A, 164 (dal 19 marzo 1660 al 9 dicembre 1667); vedi anche ARFSP, Arm. 16, A, 163.

2 Per la nota del diario del Papa: R.

KRAUTHEIMER-R. B. S. JONES1975, p. 206. Per lo statuto della Congregazione particolare: M. HEIMBÜRGER RAVALLI 1977, p. 214, dove la congregazione viene anche chiamata, appunto, piccola; secondo l’autrice, i componenti sono, oltre allo Spada ed al Bernini, il tesoriere Fran- sone, l’avvocato Severoli, l’economo segretario Ghetti, il computista Bardini, il soprastante Drei, il fattore Balsimelli ed il cardinale Flavio Chigi, nipote del Pontefice.

3ASR, Spada Veralli, 186, ff. 9-10, trascritto

in K. GÜTHLEIN1979, p. 182 Una copia del documento inclusa in Sopra l’Azienda della Rev. Fabrica di S. Pietro, manoscritto datato agosto 1657 e firmato P.V.S. (cioè Padre Virgilio Spa- da), è in: BAV, Chig., H. II. 22, ff. 56r-62r.

4Il 19 marzo 1660, ad esempio, gli inter-

venuti sono i cardinali Barberini e Chigi, il te- soriere Fransoni, il prefetto dei Sacri Palazzi mons. Bandinelli, l’Elemosiniere segreto del Pa- pa mons. Ferrini, Virgilio Spada, l’economo se- gretario e non meglio specificati altri “ufficiali e ministri” della Reverenda Fabbrica.

5In precedenza, infatti, i verbali congrega-

zionali ricordano solo congregazioni generali o particolari.

6L’appunto autografo del Papa in: BAV,

Chig., H. II. 22, f. 226r (App. doc., s. d., 14), ricordato anche in D. DELPESCO1988, pp. 92- 93.

7 Tra il 1659 ed il 1660, la gestione delle

opere del Colonnato muta radicalmente, pas- sando dalla conduzione della Reverenda Fab- brica al sistema degli appalti esterni: su questo,

vedi comunque Parte quarta, in particolare: La crisi del 1659 e la questione dell’appalto. Lo scon- tro Bernini-Spada. Una prima idea relativa ad una congregazione ristretta, non riferita tuttavia al Colonnato, può leggersi un appunto auto- grafo del diario del Pontefice, datato 15 novem- bre 1657: “M. Maiordomo, l’Elemosinario, il P. Virgilio Spada col Cav. Bernino per le fab- briche di Castello e di casa = una piccola con- gregazione”: R. KRAUTHEIMER-R. B. S. JONES

1975, p. 206.

8Per i pagamenti si veda, ad esempio, ARF-

SP, Arm. 16, A, 164, f. 176, 4 marzo 1662,

Nel documento Il Colonnato di piazza S. Pietro (pagine 81-90)