Suffragato dalla documentazione archivistica e dalla verifica diretta, lo studio della trabeazione del Colonnato porta innanzitutto ad evidenziare la disomogeneità della consistenza materica: se nel I° e nel IV° giro, cioè nei prospetti dei Portici rivolti verso la piazza e verso l’esterno, viene largamente utilizzato il travertino (figg. 59, 102), per gli altri due giri e per gli architravi radiali (cioè quelli di collegamento tra colonne di giri diversi) si ricorre alla struttura muraria, dipinta a finto travertino (fig. 60).
Anche la trabeazione in pietra rivela in realtà una sezione differenziata: se l’architrave è interamente litico, nel fregio e nella cornice il travertino viene utilizzato solo come rivestimento, sebbene di notevole spessore. È questa la spiegazione per quel muro “nell’altezza del fregio, e cornice” im- postato sopra l’architrave, di spessore variabile tra 5 ½ e 6 palmi (cm 123/134 circa) ed alto 10 ½ palmi (cm 234,50), ricordato nella documentazione: un manufatto laterizio interno realizzato in tevolozza (mattoni di recupero di lunga stagionatura e notevole resistenza meccanica), localizzato subito dietro il fregio e la cornice dell’ordine architettonico34. Per quanto riguarda la con- nessione con la cornice di travertino, la documentazione permette di ipo- tizzare una doppia soluzione: la fascia dei dentelli (cioè la parte inferiore della cornice, subito al di sopra del fregio), di aggetto limitato, viene sem- plicemente incastrata nel muro retrostante per poco più di 2 palmi (circa cm 45) (“concio del dentello che passa più delli palmi 2 dentro il vivo”): esteso ovviamente per tutto lo sviluppo dei dentelli (ovvero per l’intera lun- ghezza dei prospetti dei Portici), questo meccanismo determina il “defalco”, cioè la sottrazione nel calcolo del volume del muro stesso35. Diversa è invece la soluzione per il “Gocciolatore” con cornice superiore modanata, cioè l’e- lemento sommitale della trabeazione, posto subito sopra i dentelli ed al di sotto della balaustrata con le statue: il rilevante aggetto della sezione rende necessario, oltre all’incastro dei blocchi di travertino nel muro retrostante (quest’ultimo definito “materia da murare dietro detto Gocciolatore”), il fissaggio con spranghe arpionate nel vivo della muratura36.
La soluzione strutturale adottata dal Bernini per gli architravi in pietra utilizza tre blocchi, di cui quello centrale sagomato a cuneo (fig. 61). Nel Co- lonnato viene ripreso dunque il modello dell’architrave di tre pezzi: una solu- zione di ascendenza antica (vedi, ad esempio, il portico del Foro di Pompei,
Fig. 59 - Colonnato di S. Pietro. Portico meridionale, ar- chitravi in travertino (esterno) ed in muratura (interno) (foto dell’A.)
Fig. 60 - Colonnato di S. Pietro. Portico meridionale, ar- chitravi in travertino ed in muratura, dettaglio (foto del- l’A.)
fig. 62) che aveva trovato una limitata ripresa nell’architettura del Quattrocento
a Roma ma che, come vedremo, sarebbe stata riproposta dal Peruzzi verso la metà degli anni Trenta del XVI secolo nel cortile del palazzo Massimo alle Co- lonne37. Combinato con un arco di scarico superiore, l’architrave di tre (o più) pezzi era stato peraltro descritto nel trattato del Serlio, in cui veniva raccomandato per le garanzie offerte in termini di resistenza e durata (“si potrà per gran distantia che sia, pur che le spalle dalle bande siano forti, far tal cosa [cioè l’architrave] di pezzi, nel modo qui disotto in due modi disegnato, che indebitamente tal opera sarà fortissima, & quanto il carico disopra sarà più grande l’opera anderà a mag- gior perpetuità”) (fig. 64)38. Appare plausibile che l’indicazione serliana abbia rivestito un qualche peso nella decisione del Bernini, come sembrerebbe provato dal dettaglio dell’arco di scarico superiore, che si ritrova puntualmente nel Co- lonnato vaticano; al tempo stesso, non sono da sottovalutare suggestioni peruz- zesche sulle quali si avrà occasione di tornare diffusamente39.
Venendo agli architravi interni, il primo elemento significativo è, come anticipato, la struttura muraria con simulazione della consistenza litica, espli- citamente ricordata nella documentazione: “Si è principiato l’Architrave piano di mattoni che và sopra alli 2 pilastri del secondo giro nell’ingresso di mezzo come dalla parte di palazzo e dalla parte di Borgo”40, “Si è finito di murare un Architrave di muro tra il primo e 2°. Giro sopra alli pilastri del Ingresso di palazzo verso il mezzo”41. “Architravi di muro” sono esplicitamente ricordati in diversi altri documenti; l’immagine di una piattabanda in mattoni torna peraltro in uno schizzo berniniano (fig. 63).
L’ampia documentazione disponibile permette di affermare come gli “ar- chitravi piani di mattoni” costituiscano l’anima strutturale delle trabeazioni interne (cioè quelle posteriori ai prospetti dei Portici); il che viene confermato da ulteriori voci documentarie che descrivono in diretta successione gli “archi che fanno serragli tra una Colonna e l’altra” con il “muro dell’Architravi” di spessore pari a quello degli archi stessi42.
La conclusione è che, ad eccezione dei prospetti esterni, gli architravi del Colonnato sono in realtà semplici piattabande stuccate. Al di là di considera- zioni economiche connesse alla sostituzione della pietra con il più economico laterizio, sembra emergere anche la volontà del Bernini di caricare il meno possibile le colonne, sostituendo in larga parte alle pesanti trabeazioni in tra- vertino strutture più leggere in mattoni stuccati; scelta peraltro non inedita, riportata ad esempio nell’edizione vitruviana del Cesariano e proprio in rela- zione ad un portico trabeato43.
Fig. 61 - Colonnato di S. Pietro. Portico meridionale, det- taglio dell’architrave di tre pezzi (foto dell’A.)
Fig. 62 - Pompei. Foro, portico. Si noti l’architrave di tre pezzi
Ad assicurare gli architravi in travertino contribuiscono spranghe metal- liche, estesamente inserite (anche in corrispondenza dei serragli) nel Colon- nato, come ripetutamente confermato dalla documentazione di cantiere, in cui sono spesso ricordate “Spranghe per serv.o [cioè per servizio] dell’Ar- chitravi”44. Nel complesso, il ricorso al metallo appare generalizzato: a titolo d’esempio, si pensi come in meno di due mesi (29 aprile - 21 giugno 1664) il ferraro Ascenzio Latini fornisca alla Fabbrica 16223 libbre “in diversi fer- ramenti”, ovvero circa cinque tonnellate e mezzo45. Il 24 settembre 1664 viene inserita nel “Conto de Ferramenti diversi fatti alla Rev.da Fabricha di S. Pietro” la nota relativa a “sei pezzi di Catena con li suoi occhi doppi e pa- letti per serv.o del Voltone del Porticho verso S.to Offizio” (cioè una catena sistemata sopra la volta a botte della navata centrale del Portico meridionale per un peso pari a 939 libbre, poco meno di kg 320) e, tre giorni dopo, altri quattro pezzi per ulteriori 609 libbre46. Tra gennaio e marzo 1666 è docu- mentata la consegna di spranghe, sprangoni ed una catena “per servizio” del Portico meridionale, con peso complessivo di poco inferiore ad una ton- nellata e mezzo47.
L’architettura a Roma del Cinquecento e del primo Seicento si basa gene- ralmente sullo schema compositivo fondato sulle strutture murarie (in parti- colare, l’arco inquadrato dall’ordine); molto più limitato risulta lo schema compositivo a colonne architravate. Salvo isolate eccezioni, i portici di chiese od i cortili dei palazzi riprendono il modello classico delle arcate scandite da paraste o semicolonne, sull’esempio del Colosseo o del Tabularium; nella se- conda metà del Quattrocento, esempi di questo tipo erano peraltro riproposti per la Loggia delle Benedizioni a S. Pietro (1460-1464), nella facciata della chiesa di S. Marco o per il cortile di palazzo Venezia. In contesti particolari, ma singolarmente affini per collocazione all’interno dell’edificio, portici a co- lonne trabeate erano stato realizzati da Baldassarre Peruzzi per i vestiboli ri- spettivamente del palazzo Massimo (1535) e del Casino di Pio IV (1565). Ed oltre a precise esigenze costruttive, è in questo specifico contesto che deve essere inserita la scelta berniniana48, anche se i portici ricordati non appaiono dimensionalmente confrontabili con il Colonnato vaticano.
In conclusione, l’eccezionalità dell’opera del Bernini deve essere misurata anche attraverso l’abbandono di un modello compositivo ormai del tutto in- tegrato nel contesto architettonico romano.
Fig. 63 - G L. Bernini. Studio di un architrave a piatta- banda per il Colonnato di S. Pietro (?) (BAV, Chig., a. I. 19, f. 13v)
Fig. 64 - S. Serlio, Regole generali di Architettura, Libro Quarto, f. 137v. In relazione alla “maggior parte de’ su- percilij, o architravi che dir vogliamo”, il Serlio nota che “se la pietra non è di buonissima grossezza non può resistere al peso, & per questo in processo di tempo si viene a rompere, si come in moltissimi luoghi si può vedere; si potrà per la gran distantia che si sia, pur che le spalle dalle bande siano forti, far tal cosa di pezzi, nel modo qui disotto in due modi disegnato, che indebitamente tal opera sarà fortissima, & quanto il carico disopra sarà più grande l’opera andarà a maggior perpetuità”. Sebbene il Serlio inserisca la nota in relazione agli architravi “posti sopra ad alcune porte, overo boteghe”, appare evidente come i timori relativi alla loro resistenza riguardassero anche altri casi. Si notino, infine, gli archi di scarico in mattoni posizionati al disopra degli architravi