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La crisi del 1659 e la questione dell’appalto Lo scontro Bernini Spada

Nel documento Il Colonnato di piazza S. Pietro (pagine 155-163)

Nel percorso progettuale berniniano, lo si è visto, esiste un’evidente cesura, collocabile cronologicamente nei primi mesi del 1657, che porta all’abbandono dell’impianto quadrangolare a portici rettilinei in favore dell’introduzione dello schema a matrice ovale. Anche nella fase esecutiva è possibile individuare una frattura, tale da determinare una radicale modifica dell’impostazione or- ganizzativa del cantiere: esito conclusivo di un clima di crescente insoddisfa- zione e tensione esteso fino al massimo livello decisionale, l’atto si concretizza in un arco di tempo sostanzialmente limitato.

Per comprendere questo momento fondamentale della storia del Colonnato, è necessario ricordare come, fin dalle prime fasi del cantiere, emerga la volontà di Alessandro VII di abbreviare il più possibile i tempi di esecuzione del Colonnato, come ricordato esplicitamente in un memoriale redatto all’inizio dei lavori (“Ha- vendo la S.tà di N.S. fatto principiare il famoso Portico di S. Pietro, comanda, che si pensi à tutti quei modi e si diino tutti quegli ordini, che possono accelerare d.ta opera”)52: e non mancano, soprattutto in quella preziosa fonte di informazioni che è il diario del Pontefice, numerose conferme. Ancora prima della posa della prima pietra (28 agosto 1657), il Papa ordina “che il Bernino moltiplichi i cavatori del Travertino” (23 luglio 1657) e chiede al nipote Flavio, cardinale ed influente membro della Sacra Congregazione della Reverenda Fabbrica, “che si affretti a levar via la terra di mano che si cava pe’ fondamenti del Portico di S. Pietro” (23 agosto 1657)53. Il dieci gennaio 1658 ancora Flavio è invitato ad oc- cuparsi ogni settimana “circa le cose della fabbrica di S. Pietro pel Portico grande accelerando il tutto”, mentre il primo maggio il Pontefice intima “che si molti- plichino gli scalpellini che altrimenti l’opera camina molto adagio”, esigendo il 17 luglio successivo una maggiore celerità nella lavorazione del travertino (“che M. Tesoriere acceleri gli scalpellini”)54. Nel marzo del 1659 il tono diventa pe- rentorio: “che al Colonnato si lavori più a furia” ed anche in coincidenza dell’inizio dei lavori del Portico meridionale (3 febbraio 1661) arriverà un puntuale invito ad abbreviare i tempi (“Si sollecitino i Capi Mastri muratori, che quanto più presto possono, faccino il fondamento del Portico à mano destra”)55. Nell’evidente impazienza di vedere il risultato finale un certo peso deve averlo avuto la radicata convinzione che le proprie precarie condizioni di salute non garantissero che pochi anni di vita; da qui, la spinta a condurre a perfezione l’ambiziosa opera senza lasciare l’incombenza del completamento ad eventuali successori non al- trettanto motivati, a ragione anche dell’enorme impegno finanziario richiesto56 (fig. 126). Un indubbio ruolo deve averlo giocato anche il forte spirito autocele- brativo di Alessandro VII peraltro testimoniato, come si è visto, dal proprio nome ripetutamente inciso nel fregio del Colonnato, oltre che dall’inserimento di ben sei monumentali stemmi araldici (che nel progetto avrebbero dovuto essere addirittura dieci). Al di là delle motivazioni possibili, la ferrea volontà del Papa di condurre a termine l’opera in tempi brevi costituirà comunque il solido appoggio sul quale faranno affidamento coloro che propugneranno una radicale inversione di rotta nell’impostazione generale del cantiere.

Nei primi diciotto mesi del cantiere del Colonnato, seguiti alla cerimonia della posa della prima pietra (28 agosto 1657), la realizzazione delle colonne e dei pilastri del Portico settentrionale segue la logica organizzativa della netta differenziazione dei compiti: i fornitori di travertino estraggono il materiale dalle cave di Tivoli e Monterotondo, trasportando successivamente i blocchi via fiume (attraverso il Teverone, cioè l’Aniene, per poi risalire il Tevere fino al porto della Traspontina) o, in alternativa, via terra valendosi di carri trainati

da bufali; in entrambi i casi, la meta finale è il tetto degli scalpellini in contiguità con la piazza. Responsabile a livello generale per ciò che concerne il travertino è Bartolomeo Grassi, nominato per volere di Alessandro VII Su-

perintendens deputatus super lapidibus Tiburtinis Tiburi. pro Servitio R. fabricae57. Come si è visto in precedenza, nel novembre del 1657, cioè più di tre mesi prima dell’arrivo in cantiere dei primi rocchi per le colonne, il Grassi scrive un breve promemoria, che viene letto in congregazione, in cui sono elencate le “Cose necessarie, che stima da farsi di p.nte nel negotio de Travertini, acciò possa tirarsi avanti”58. Il quadro degli interventi delineato dal Grassi spazia, in maniera organica, dalle facilitazioni economiche concesse ai fornitori alle opere di sistemazione infrastrutturale necessarie per agevolare il trasporto del materiale (“che si faccino accomodar le strade… e si faccia scioccare il fiume”). Se il Grassi sovraintende al processo di fornitura del materiale, il controllo della quantità e della qualità del travertino scaricato nell’area vaticana viene demandato al fattore e soprattutto al soprastante, a cui spettano anche eventuali sopralluoghi nell’area di estrazione; se si considera anche l’ulteriore verifica compiuta dall’architetto, appare chiaro come, sulla carta, l’organizzazione do- vesse lasciare scarsi margini ad eventuali scorrettezze.

In realtà, il ruolo svolto dal Grassi aveva presto suscitato sospetti e maldi- cenze, in particolare per la presenza del nipote Vincenzo tra i fornitori del travertino per il Colonnato, con conseguenti lamentele fatte pervenire alla Sacra Congregazione (”andando del continuo inganando alcuni Sig.ri della med.a Cong.ne, insinuandoli che tutto quello, che l’or.e [cioè il Grassi] ante- pone per servitio delli mercanti, lo fa solo per interessi di d.o Vincenzo suo nipote”)59; una situazione destinata a deteriorarsi in tempi brevi, che avrebbe spinto lo stesso Grassi nell’aprile del 1658 a chiedere al Pontefice di essere esonerato dall’incarico o, in alternativa, di escludere il nipote da qualsiasi rap- porto commerciale con la Reverenda Fabbrica60.

Ai ritardi accumulati, alle impreviste difficoltà ed ai sospetti di interesse privato, si aggiungeranno crescenti pretese economiche. La scelta di affidare a soggetti esterni la fornitura ed il trasporto dei blocchi sbozzati di travertino, ri- servando alla Reverenda Fabbrica la lavorazione e la posa in opera, derivava anche dalle condizioni vantaggiose strappate ai fornitori, dal momento che la quantità del materiale necessario per il Colonnato aveva indotto questi ultimi ad ridurre in misura rilevante i margini di guadagno. Le Ragioni, per le quali li

mercanti di Tivoli non possono stare in avvenire alli prezzi fattoli nel p.nte anno 1658, un memoriale fatto pervenire alla Reverenda Fabbrica verso la fine di

quell’anno, denunciano l’insostenibilità economica degli accordi stipulati61. Il documento richiama i prezzi relativi alla facciata di S. Pietro, evidentemente serviti da riferimento anche per il travertino del Colonnato, evidenziando il notevole aumento subito dalle merci (grano, vino, carne, etc.) nell’arco di tempo di quasi cinque decenni intercorsi tra le due opere; a peggiorare la si- tuazione anche le spese impreviste, in particolare nelle operazioni di trasporto (“in quest’anno per la guastatura delle strade non solo si è perso due mesi di tempo con tanto danno delli mercanti, ma anco sono state infinità di Carrozze rotte per strada con danno grandiss.o de Mercanti”). La conclusione è peren- toria: “volendo che possino seguitar à cavare è necessario non solo aggiustarli del passato, ma anco farli nuovi prezzi, perche à quelli fatti in quest’anno non ci possono stare, e solo acconsentirono per una sol volta per dar gusto à N. S.re et alla Sac. Cong.ne, che se voless.o seguitare andarìano presto tutti in rovina”. È evidente come un contesto del genere non potesse che rafforzare la po- sizione di coloro che, ancora prima dell’inizio dei lavori, avevano individuato

nel sistema dell’appalto esterno il modus operandi migliore per portare a ter- mine la grande impresa del Colonnato. Il 18 febbraio 1659 viene riportato nel verbale di congregazione che “tractatum fuit cum Andrea Appiano de conficend. aliquibus columnis pro Porticu suis sumptibus elaboratis usq. ad eor. integram perfectionem”, ovvero che era stato contattato Andrea Appiani, uno dei maggiori capomastri scalpellini della città e da oltre un anno tra i fornitori di travertino e calce, al fine di sondarne la disponibilità a realizzare le colonne del Portico in proprio (“suis sumptibus”) fino alla loro “perfezio- ne”62. La richiesta ha carattere d’urgenza: già il giorno dopo, infatti, l’Appiani avrebbe dovuto consegnare una nota indicando l’eventuale numero di colonne da inserire nell’appalto, specificando il relativo prezzo (“qua summa, et in quo num.o eas conficere poterit”). Sebbene in tempi più dilatati del previsto, la trattativa si conclude positivamente: il 25 aprile seguente, infatti, la Sacra Congregazione incarica i monsignori Fransoni e Ferrini, insieme al tesoriere, di redigere il capitolato “super confectione Columnas et Pilastros pro Porti- cibus S.ti Petri”63. Come chiarito nello stesso documento, l’intenzione è quella di dare à cottimo la realizzazione delle colonne e dei pilastri in travertino: gli appaltatori sono Andrea Appiani e Giovanni Francesco Ghetti, pur non escludendo l’eventuale coinvolgimento di altri capomastri scalpellini interessati (“aliis qui illas conficere voluerint”).

Appena una settimana dopo (2 maggio 1659), il Ghetti si impegna formal- mente a consegnare entro l’anno (o, al più tardi, entro la fine di febbraio 1660), sedici colonne “di travertino di Tivoli di buona pasta, e qualità”, corri- spondenti al secondo giro del Portico settentrionale “che seguono appresso alle già poste in opera”64. L’impegno è “à tutta sua robba, e fattura”, ovvero comprende sia la fornitura della pietra che la sua lavorazione; la somma richiesta per ciascuna colonna è pari a 480 scudi. Il capitolato fornisce interessanti notizie sulle modalità di assemblaggio dei rocchi (ad esempio, il capitello dovrà essere composto da non più di due blocchi) e sull’eventuale inserimento di tas- selli (“in modo tale che siano riconoscibili quanto meno si puole”), definendo al tempo stesso gli obblighi della Fabbrica, tenuta a far allestire il “tetto” (ovvero l’area recintata e coperta per il lavoro degli scalpellini) nei pressi della piazza ed a curare il trasporto dei blocchi di pietra sotto il “tetto” stesso e, una volta compiuta la loro rifinitura, da qui al luogo del sollevamento. Oltre a prevedere la realizzazione di due pilastri, gli accordi lasciano aperta infine la possibilità di affidare al Ghetti la realizzazione di ulteriori colonne, regolandone il costo nel caso di diametri maggiori (cioè quelle corrispondenti al terzo e quarto giro).

Pochi giorni dopo gli accordi con il Ghetti, il 14 maggio, Virgilio Spada viene incaricato dalla Congregazione di redigere il capitolato con Andrea Ap- piani65, siglato in effetti appena tre giorni dopo (17 maggio 1659)66. Gli accordi con l’Appiani ricalcano nella sostanza quelli sottoscritti con il Ghetti, con poche variazioni: il numero maggiore delle colonne (“diciotto in venti”, da consegnare entro la Pasqua del 1660), la provenienza del travertino (Mon- terotondo, non Tivoli) ed il prezzo (460 scudi a colonna, con una diminuzione di venti scudi, riconducibile con ogni probabilità alla minore qualità comu- nemente riconosciuta al travertino di Monterotondo). L’Appiani si impegna comunque a consegnare altre trenta colonne nel corso del 1661.

Appena dodici giorni dopo (29 maggio 1659) si registra un secondo im- pegno da parte del Ghetti per la fornitura di ulteriori 22 colonne (e quattro pilastri) da consegnare nel periodo marzo-dicembre 166067. In virtù dei due successivi contratti, dunque, le colonne appaltate sarebbero ammontate com- plessivamente ad 88 (50 assegnate all’Appiani, 38 al Ghetti): numero non ca- suale, dal momento che avrebbe coperto l’intero bisogno del Portico setten-

Fig. 126 - Guidubaldo Abbatini. Ritratto di Alessandro VII (Roma, Sovrano Militare Ordine di Malta). La pre- senza del teschio, sul quale il Papa poggia la mano destra, rappresenta un esplicito memento mori in linea con la personalità del Chigi. Secondo varie fonti del tempo, il Pontefice aveva ordinato al Bernini di far realizzare una bara da trasportare nella sua camera

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trionale, come peraltro ricordato nel secondo contratto con il Ghetti (“essendosi l’Appiani obligato per tante colonne, che riempiranno la metà de fondam.ti fatti, et havendo la R. fabrica abbozzate dieci colonne per l’altra metà, si calcola non poterne bisognar per il compim.to altre che 38”). Considerando il numero finale delle colonne concordato con i due appaltatori, ne consegue come quelle realizzate od in lavorazione ad opera direttamente della Reverenda Fabbrica fossero, alla fine di maggio del 1659 (cioè a quasi due anni dalla posa della prima pietra), 54: in effetti, il 30 luglio 1659 risulteranno montati 47 fusti di colonne68, ovvero solo un terzo dei 142 previsti (escludendo quindi le quattro colonne in corrispondenza della parte esterna dell’avancorpo di mezzo, mai collocate) ed appena nove capitelli saranno compiuti69.

Al di là delle diverse problematiche evidenziate, è soprattutto da questo dato che bisogna partire per comprendere il motivo della decisione di affidare in appalto esterno la fornitura e la lavorazione delle colonne e dei pilastri del Colonnato: atto che, in meno di un mese (2-29 maggio 1659), avrebbe de- terminato una significativa estromissione dal Portico settentrionale della Re- verenda Fabbrica, cioè dell’organismo che fino ad allora aveva gestito diretta- mente l’insieme delle operazioni connesse al Colonnato.

Sebbene per molti versi clamoroso, si tratta solo del primo passo; che la scelta compiuta sia irreversibile viene infatti confermato già l’11 luglio seguente, quando il Bernini viene incaricato dalla Sacra Congregazione di individuare il giusto prezzo da pagare per la realizzazione delle trabeazioni e ancora di più il 22 settembre, quando il capomastro scalpellino Carlo Piervissani, contattato dalla Reverenda Fabbrica, si offre di realizzare “64 pezzi di architrave” ed infine il 7 novembre seguente, giorno in cui la Sacra Congregazione invita il cardinale Flavio Chigi ad accordarsi con Andrea Appiani (ed altri eventuali appaltatori disponibili) per la fornitura di architravi, fregi e cornici, ovvero della trabeazione dell’ordine architettonico (“Fuit rogatus Em. D. Card.lis Chisius, ut pro Porticibus concludat partitum cum Andrea Appiano alijsq. Mercatoribus Tiburtinorum volentibus”)70. Il contratto con l’Appiani viene puntualmente sottoscritto meno di tre settimane dopo, il 25 novembre71: l’Appiani si impegna a consegnare, entro febbraio 1661, trenta canne (circa 67 metri) di trabeazione del primo giro (cioè verso la piazza) “con tutta la di- ligenza, bellezza, e perfetione possibile, et al pari delli più eccellenti Lavori, che si vedino in altri tempi fatti… conforme le misure statemi date sottoscritte dal Sig.r Cavalier Bernino”. Dal canto suo, la Fabbrica si impegna anche in questo caso a trasportare i blocchi scaricati nella piazza sotto il “tetto” degli scalpellini e, una volta lavorati, da qui al punto di sollevamento. Per l’intera trabeazione (architrave, fregio e cornice), all’Appiani sarà corrisposta una som- ma pari complessivamente ad 11 scudi ed 8 baiocchi a carrettata (poco più di una tonnellata) a cui andranno aggiunti 28 ½ baiocchi al palmo per la “Fattura” (cioè la lavorazione). Risulta interessante notare come il travertino della cornice (la parte più aggettante della trabeazione) debba essere obbligatoriamente di Tivoli e non di Monterotondo: prescrizione che non riguarda invece l’architrave ed il fregio. Naturalmente, l’Appiani si impegna a non trascurare il precedente impegno assunto, relativo alla fornitura delle colonne e dei pilastri (“anzi lo confermo, e lo ratifico”).

Il 5 dicembre monsignor Ferrini (elemosiniere segreto del Papa) e Virgilio Spada vengono incaricati dalla Sacra Congregazione di sondare altri capomastri scalpellini, per ciò che concerne in particolare la trabeazione esterna (cioè quella del quarto giro di colonne); il 16 dicembre successivo Bonifacio Perti, altra figura professionale molto attiva nella Roma barocca, si offre di realizzare quaranta canne di trabeazione in travertino (“Io infrascritto mi obligo con la

presente di fare gli Architravi, fregi, e cornici per i nuovi Portici di S. Pietro, che bisognaranno per il quarto circolo verso il corridore di Castello, ò altro dove mi sarà ordinato”)72: il termine previsto per la consegna è ancora il feb- braio del 1661, la cifra richiesta coincide con quella pattuita con l’Appiani tre settimane prima. Se il Perti indica in quindici giorni l’arco di tempo per ac- cettare la sua offerta, appena tre giorni dopo (19 dicembre 1659), la Congre- gazione ratifica l’accordo73.

A carico degli appaltatori ci sono anche, come si è visto, gli oneri relativi al trasporto del materiale, in primo luogo il travertino. In considerazione del- l’entità prevista, si rende necessario da parte di questi ultimi la disponibilità di un rilevante numero di carri: questi ultimi vengono dunque acquistati (o noleggiati), in alcuni casi dalla stessa Fabbrica74.

Il nuovo orientamento palesato dai vertici della Congregazione nel corso del 1659 viene ulteriormente ribadito alla fine dell’anno seguente quando, ormai in vista del completamento del Portico settentrionale, si comincia a pianificare la realizzazione di quello meridionale. Su questo non possono esistere dubbi: se già il 4 ottobre 1660 il cardinale Flavio Chigi, evidentemente riflettendo l’orientamento dello zio Pontefice, manifesta in congregazione il suo desiderio di procedere all’appalto, il 20 ottobre seguente il segretario ed economo della Sacra Congregazione della Reverenda Fabbrica Carlo Antonio Dondini comunica senza mezzi termini come la volontà del Papa sia “opus lapidis Tiburtini faciendi, vehendi, et poliendi pro construc.ne Porticus ad dexteram Basilicae Principis Apostolorum construendae in Appaltum trada- tur”; il 12 novembre 1660 viene dunque letto nella Congregazione particolare il testo dei Capitoli da stipulare con gli appaltatori dei lavori in travertino, destinato ad essere sottoscritto appena cinque giorni dopo75. A differenza dell’anno precedente, l’appalto non distingue tra colonne e pilastri da una parte, e trabeazione dall’altra: l’intera opera, compresa la balaustrata, viene infatti affidata ad Andrea Appiani, Carlo Piervissani, Giovanni Francesco Ghetti e Bonifacio Perti, che si impegnano a realizzarla nello spazio di appena tre anni (maggio 1661-maggio 1664). Molto significativa appare la prescri- zione contenuta nel XIV capitolo, che obbliga la Reverenda Fabbrica a “la- sciare la total cura, governo, e amministrazione concernente quest’opera alli detti mercanti… ne alcuno altro ve si possa ingerire senza loro consenso”, ri- servando ad essa unicamente la facoltà di “riconoscere, e rivedere il lavoro” prima di procedere ai pagamenti. Messi in relazione con quelli, di poco po- steriori (29 gennaio 1661), concordati con i capomastri muratori Simone Brogi, Giovanni Albino Agustone, Giacomo Pelle e Pietro Ostini (che com- prendono le opere in muratura dalle fondazioni al tetto) e con quelli del 25 febbraio successivo, ancora con i capomastri muratoti, con i quali si affida a questi ultimi anche il completamento del Portico settentrionale76, gli accordi sottoscritti tra la fine del 1660 e l’inizio dell’anno seguente determinano di fatto l’estromissione della Reverenda Fabbrica da responsabilità esecutive, segnando il ritorno ad una sostanziale distinzione di ruolo tra committente ed esecutore: costituendo, in ultima analisi, un autentico spartiacque nella storia realizzativa del Colonnato.

Le varie motivazioni che, oltre al cruciale fattore tempo, spiegano un mu- tamento di rotta così radicale sono lucidamente sintetizzate in un memoriale contemporaneo, incentrato proprio sulla questione degli appalti (Ragione per

qual causa la R.da fabrica di S. Pietro ha dato il restante del lavoro delli portici di scarpellino alli 4 mercanti)77. Molte, e diverse tra loro, le ragioni addotte: la scarsa qualità della pietra consegnata alla Fabbrica (“li Travertini che si piglia-

vano da diversi Mercanti non solo non erano di misura adeguata ò d.o Lavoro di Portici come di qualità cattiva, come si puol vedere dal Lavoro che detta fa- brica ha fatto quando faceva da se”), tale da rendere necessarie “segature fatte nelli travertini che per essere cattivi vene sono andate infinite, et anco il gesso che si è consumato per tanti tasselli delli travertini guasti” e quindi, implicita- mente, la scarsa capacità di controllo della pietra da parte della Fabbrica stessa; le spese eccessive per il personale addetto al tiro del travertino (“L’incommodo, e spesa grande che faceva la fabrica in tenere 8 Compagnie di huommini à tirar li travertini rustichi sotto li tetti per lavorare ch’erano huommini 6 per Compagnia si che in d.o Servitio vi andava 48 huommini il giorno a b.i 35 per ciascheduno il giorno”); il deterioramento di materiale e macchinari di proprietà della Reverenda Fabbrica in dotazione alle maestranze (“canapi, e Ventole et altre corde infinite Argani Curli Stanghe Legniami”) e, infine, le troppe opera- zioni a carico della stessa Fabbrica, con conseguente aggravio delle spese (“gior- nate di Muratore a metter in opra le Colon.e, et altri Lavori, l’abozzatura delle Colonne fatte alle Cave, Accomodatura delle Strade, la rinettatura del Teverone,

Nel documento Il Colonnato di piazza S. Pietro (pagine 155-163)