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Ainsworth e Witting nel 1969 misero appunto il test SST ovvero Strange Situation Test per valutare l’attaccamento madre-figlio. Inizialmente il test fu formulato per valutare l’attaccamento nei bambini e si componeva di otto episodi di durata limitata, in cui il bambino veniva sottoposto a condizioni di stress sia di grado ridotto, sia di grado elevato. Il bambino veniva posto in una stanza con la madre, successivamente, veniva fatto entrare nella stanza un estraneo (madre ed estraneo insieme), di seguito, il bambino veniva lasciato solo con l’estraneo ed infine veniva lasciato completamente solo (Ainsworth e Witting, 1969).

In anni successivi (1998) Topàl ed i suoi collaboratori formularono una classificazione delle tipologie di bambini in relazione all’attaccamento e li suddivisero in quattro categorie:

soggetti con attaccamento sicuro: questa tipologia di bambino si dedica all’esplorazione

ambientale ed al gioco in presenza della madre interagendo con essa solamente per mezzo di fugaci occhiate. Una volta lasciato solo, il bambino con attaccamento sicuro, evidenzia segni di stress e disagio: corre alla porta, piange e chiama la madre, ma al momento del ricongiungimento con la stessa, si tranquillizza rapidamente grazie al contatto fisico con essa. Normalmente si tratta di bambini che crescono in un ambiente che garantisce loro lo sviluppo di ottimale, sono soggetti socievoli anche con adulti non appartenenti al gruppo familiare e solitamente sono individui molto competenti (Ainsworth et al., 1978). I bambini appartenenti a questo gruppo sopportano meglio le situazioni di frustrazione, sono abili nella risoluzione di problem solving ed esplorano molto di più l’ambiente rispetto a soggetti appartenenti agli altri gruppi (Matas, 1978).

Soggetti con attaccamento ansioso-evitante: si tratta di bambini che hanno la tendenza a rimuovere

completamente il repertorio comportamentale associato all’attaccamento. Durante l’allontanamento della madre, non presentano segnali di angoscia o stress particolarmente evidenti e la ignorano completamente al suo ritorno, esplorando l’ambiente; tanto che l’attività di esplorazione pare sia più rappresentata nell’episodio del test in cui è previsto il distacco, che in altri episodi. Al momento del ricongiungimento, questi bambini, evitano la madre. Studi condotti da Ainsworth e Bell nel 1970 e confermati in seguito da Main (1973, 1977), indicano come in realtà questi bambini siano rifiutati dalle madri; pare che questo rifiuto, si esprima come una negazione del desiderio del bambino di avere uno stretto contatto fisico con la madre stessa. Questo comportamento si può osservare anche nei primati non umani e sembra sia adottato per cercare di evitare risposte negative da parte della figura di attaccamento. Secondo Timbergen e Chance (1962) lo spostamento dell’attenzione di questi bambini verso stimoli ambientali, al momento della riunione con la madre, costituirebbe una strategia di evitamento messa in atto per modulare l’eccitazione emotiva conseguente al comportamento di attaccamento.

Soggetti con attaccamento ansioso-resistente: sono bambini che non si sentono adeguatamente

supportati dalla figura di attaccamento. Presentano segni evidenti di stress al momento dell’allontanamento della madre ed al suo ritorno non si riesce a consolarli, i bambini di questo gruppo, mostrano comportamenti contrastanti ed ambivalenti nei confronti della madre, al momento del suo ritorno, cercano il contatto fisico, ed appena lo ottengono, si divincolano cercando di evitare la figura di attaccamento. Se il caregiver (oggetto di attaccamento), cessa di fornire conforto al soggetto, questo nuovamente lo reclama. Sono bambini che non accettano il conforto da un individuo estraneo e quando questo tenta di consolarli, si allarmano e si disperano ancora di più. Questi individui non sono in grado di sfruttare la madre come base sicura e mostrano disagio evidente già nei primi episodi dell’SST quando l’oggetto di attaccamento è ancora presente nella stanza (Bowlby, 1988).

Soggetti con attaccamento disorientato/disorganizzato: i bambini di questo gruppo mettono in atto

comportamenti stereotipati, incoerenti, afinalistici che indicano il loro stato di allerta ed ipervigilanza. Il repertorio comportamentale appena citato, viene evocato da una figura di attaccamento che incute timore e paura nel bambino. Questi soggetti, da una parte, tenderebbero ad allontanarsi/fuggire dal genitore, dall’altra avvertirebbero la necessità della sua vicinanza (Main e Salomon, 1990, 1986; Main e Hesse, 1992; Ammaniti e Stern, 1992; Bowlby, 1988; Liotti, 1994; Rezzonico e Ruberti, 1996).

È stato possibile constatare come, in bambini considerati “attaccati”, i comportamenti di disagio legati al distacco dall’oggetto di attaccamento, non si presentavano quando il bambino si trovava in ambiente familiare (Ainsworth et al., 1978).

Topàl ed i suoi collaboratori nel 1998, modificarono lo Strange Situation Test per valutare l’attaccamento tra cane e proprietario. Il test in questo caso si componeva di sette episodi in cui il cane veniva comunque lasciato solo con un estraneo ed in seguito completamente solo. Vennero testati soggetti adulti e venne eseguita una valutazione relativa ad alcuni comportamenti specifici quali: esplorazione, gioco, ricerca di contatto e stazione davanti alla porta. Tali comportamenti furono tutti valutati in presenza o meno del proprietario e/o dell’estraneo. I risultati, mostrarono come si assisteva all’attivazione di un legame di attaccamento nonostante i soggetti testati fossero adulti. Fino a quel momento, si era sempre pensato che, il legame di attaccamento, fosse riferito prevalentemente a cuccioli o individui giovani (Topàl et al., 1998).

Pare che alla base del legame di attaccamento manifestato dagli adulti contribuisca sempre la domesticazione. I cani nel test appena descritto, passavano il loro tempo a giocare e ad esplorare l’ambiente, ciò quando il proprietario era ancora presente nella stanza, mentre, in assenza di quest’ultimo, si posizionavano davanti la porta in stato di attesa. Questo comportamento, indicativo di stress e disagio da parte dei cani, non si acquietava nemmeno in presenza dell’estraneo, a dimostrazione che il cane mostrava un preferenza spiccata per il proprio proprietario e che, la presenza di una persona qualsiasi non era sufficiente a fornire il conforto adeguato (Topàl et al., 1998).

I risultati ottenuti da Topàl furono messi in discussione nel 2003 da alcuni ricercatori italiani (Prato Previde et al., 2003), i quali sostenevano che i risultati degli studi condotti da Topàl, non facevano altro che mettere in evidenza la preferenza del cane per il proprietario rispetto ad un estraneo, ma che in realtà, ciò non poteva essere messo in diretta relazione con la presenza di un legame di attaccamento. Infatti, dagli studi di Topàl (1998), non emergeva l’esistenza di un effetto base sicura che rappresenta una caratteristica necessaria per poter differenziare il legame di attaccamento dalle altre tipologie di legami affettivi (Ainsworth, 1989). Inoltre, lo studio condotto da Topàl (1998) presentava un ulteriore limite, non andava ad analizzare quei comportamenti realmente indicativi di disagio o stress che si manifestano conseguentemente alla separazione dal proprietario e tutti i comportamenti di ricerca attiva del proprietario stesso (Prato Previde et al., 2003).

L’insieme dei comportamenti appena citati (stress, disagio, ricerca attiva) vengono mostrati anche da scimpanzé e bambini durante il distacco (Ainsworth e Bell, 1970; Ainsworth et al., 1978; Bard, 1991); tali comportamenti sono stati presi in esame nello studio condotto da Prato Previde et al. nel 2003. Nel suddetto studio, agli episodi dello Strange Situation Test presi in esame da Topàl (1998,) ne venne aggiunto uno finale nel quale nella stanza, in cui il cane veniva lasciato solo, venivano lasciati indumenti appartenenti sia del proprietario, sia dell’estraneo per valutare se questi, potessero in qualche modo essere fonte di conforto per il cane. I risultati ottenuti hanno mostrato una certa attinenza tra i comportamenti adottati dai cani e quelli messi in atto da bambini e scimpanzé (Ainsworth et al., 1978; Bard, 1991). Anche negli studi condotti da Prato Previde et al., non è stato possibile ottenere una dimostrazione della presenza dell’effetto base sicura e ciò ha portato gli Autori a concludere che non è possibile affermare con certezza che esiste un legame di attaccamento tra cane adulto e proprietario (Prato Previde et al., 2003).

Nel 2006 fu apportata un’ulteriore modifica al test, mediante l’aggiunta di un fantoccio alto un metro che veniva posizionato in un lato della stanza e che doveva fungere da stimolo spaventoso per il cane (Prato Previde et al., 2006).

Nel 2008 Custance e Palmer hanno eseguito un’ulteriore ricerca in merito all’attaccamento, nel loro studio, l’ordine di presenza di proprietario ed estraneo, venne invertito. Gli Autori conclusero che l’effetto base sicura poteva considerarsi presente e che tale effetto, era dimostrato dal fatto che i cani, in presenza del proprietario, dedicavano più tempo a gioco ed esplorazione rispetto a quando erano soli o insieme all’estraneo (Custance e Palmer, 2008).

Per molto tempo, si è ritenuto che il legame di attaccamento fosse da mettere in relazione con un preciso periodo della vita dell’individuo (Bowlby 1958, Ainsworth, 1969). Studi successivi, tra i quali quello riportato poco sopra di Custance e Palmer (2008) e quello di Stern (1985), dimostrano invece, che il legame di attaccamento tra madre e bambino non si riscontra solamente nella prima infanzia, ma si ritrova anche in seguito nella seconda infanzia e sembra influenzare tutta la vita del soggetto (Stern, 1985).