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3.11 CAPACITÀ COGNITIVE NEL CANE

3.11.3 Conoscenza degli oggetti

E’ opportuno sottolineare che gli oggetti, ad esclusione di quelli commestibili, rivestono un ruolo decisamente poco importante nell’ottica del cane.

I lupi manifestano una certa cautela nell’avvicinarsi a nuovi oggetti; mentre i cani, in seguito al processo di domesticazione, hanno in parte perso questo atteggiamento prudenziale, mostrandosi particolarmente interessati soprattutto verso quelli associati al gioco. Ad ogni modo, si vuole ribadire che, la percezione che il cane ha degli oggetti, nonché la loro rappresentazione mentale, differisce enormemente da quella dell’uomo.

In natura, spesso gli organismi devono essere in grado di predire la traiettoria di un “oggetto” in movimento; ciò è valido, ad esempio, sia per gli animali predati che per i loro predatori. Talvolta, questi “oggetti” possono nascondersi, sfuggendo così alla percezione dell’osservatore. Quest’ultimo, per poterli localizzare successivamente, deve crearne una propria rappresentazione mentale, mantenerla in memoria e formulare una previsione su dove potranno in seguito apparire. Gli animali, quindi, sono in grado di comprendere che l’oggetto/preda continua ad esistere, anche quando non è più direttamente percepibile nell’ambiente.

Diversi esperimenti rivelano che i cani sono in grado di localizzare oggetti in movimento, che improvvisamente scompaiono dietro ad uno schermo o all’interno di una scatola (Gagnon e Doré, 1993; Triana e Pasnak, 1981; Watson

et al

., 2001). In tutti questi casi i cani potevano affidarsi alla

loro percezione visiva diretta, ma in altre situazioni la localizzazione dell’oggetto veniva segnalata indirettamente. Ne è un esempio l’esperimento in cui l’operatore, dopo aver messo l’oggetto all’interno di una scatola, posizionava quest’ultima dietro ad uno di diversi schermi. Qui, l’oggetto veniva rimosso dal contenitore. Dopo aver mostrato la scatola vuota al soggetto, questi doveva dedurre che il

target

era stato lasciato dietro allo schermo. I cani riuscirono a risolvere questo compito, seppure con un basso livello di performance (Gagnon e Doré, 1993). Tuttavia, studi più recenti hanno dimostrato che, in questo genere di situazioni sperimentali, laddove la scelta del cane risultasse essere corretta, ciò dipendeva dal fatto che il suo comportamento di ricerca era stato influenzato o dalla posizione finale assunta dallo sperimentatore o da quella del dispositivo utilizzato per la dislocazione (Collier-Baker

et al

., 2004; Fiset e LeBlanc, 2007). In altre parole, il cane rispondeva correttamente solamente quando il dispositivo era posizionato vicino alla scatola contenente il

target

, sbagliando in tutti gli altri casi; seguendo lo stesso criterio, faceva affidamento alla posizione dello sperimentatore.

In un altro esperimento, Doré e collaboratori (1996), muovendo visibilmente l’oggetto, lo nascondevano dietro ad uno schermo che, successivamente, veniva a sua volta dislocato. I cani riuscirono a localizzare l’oggetto. Tuttavia, il successo della ricerca dipendeva dal fatto che, una volta spostato lo schermo, quel posto rimaneva vuoto; se, invece, in quello stesso punto veniva posizionato un altro schermo, allora i cani continuavano a ricercare qui il

target

.

Risultati simili si ottennero testando i cani con un particolare dispositivo, costituito da una trave alle cui estremità erano attaccati due contenitori; l’oggetto veniva posto all’interno di uno di questi contenitori e successivamente si faceva ruotare la trave. Con una rotazione di 180° i cani tendevano a ricercare il

target

nella sua posizione originaria (Fiset, 2007); mentre con una rotazione di 90° la performance migliorava (Miller

et al

., 2009). Si registrò lo stesso successo anche quando furono i cani a compiere un giro di 180° e 90° attorno al dispositivo.

Qualcuno potrebbe asserire che la buona riuscita di questi esperimenti sia da attribuire a un meccanismo di tipo percettivo piuttosto che cognitivo: il cane, infatti, potrebbe non perdere mai di vista il contenitore in cui è stato posto l’oggetto.

Per escludere tale evenienza, furono realizzati altri due test, in cui veniva inserito un ritardo di 0.5, 10 e 15 secondi tra la rotazione della trave e il rilascio del cane. Durante tale periodo, in una prova veniva frapposta una barriera opaca tra il cane e il dispositivo; mentre nell’altra prova si spegnevano le luci. Ciò comportò un calo delle performance in entrambi i casi; sebbene nella seconda prova si riscontrò una certa differenza individuale (alcuni cani risposero correttamente e altri no). Sembra, quindi, che lo spegnimento delle luci rappresentasse un elemento meno disturbatore rispetto alla barriera (Miller

et al

., 2009).

Volendo escludere la possibilità che il comportamento dell’animale, in assenza dell’oggetto in questione, possa essere regolato dalla sua rappresentazione mentale, furono realizzate due prove in grado di offrire un’interpretazione alternativa (Topál

et al

.,2005). Nel primo esperimento l’oggetto da ricercare non veniva mai mostrato; il cane poteva solamente vedere il contenitore che veniva

spostato dietro ad uno schermo: pertanto, non aveva nessuna indicazione circa la possibile localizzazione del

target

. Nella seconda prova, invece, l’oggetto veniva visibilmente ceduto al proprietario, che lo nascondeva in una tasca, mentre il contenitore vuoto veniva spostato come nel test precedente. In questo caso, quindi, l’animale conosceva la reale localizzazione del

target

. Il comportamento assunto dal cane nel primo test è facilmente intuibile: il cane iniziò la ricerca. Ma, ciò che sorprende, è che il 50% dei soggetti adottò un comportamento analogo anche nella seconda prova; è opportuno evidenziare, però, che il tempo speso per la ricerca fu indubbiamente maggiore nel primo test. Una possibile spiegazione potrebbe essere che il cane riconoscesse tale situazione come un gioco, in cui qualcosa viene nascosto e deve essere ricercato. Secondo quest’ottica, l’effettiva posizione del

target

perdeva di importanza, ma l’unica cosa che spingeva l’animale ad agire era il desiderio di giocare e quindi la ricerca era il solo comportamento plausibile.