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Le motivazioni sono orientamenti della mente verso il mondo che spingono l’animale a mettere in atto certi comportamenti o a eleggere particolari

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. In altre parole, coniugano il soggetto al mondo e creano le basi dell’interazione con le entità esterne in modo elettivo, cioè producendo

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e azioni specifiche verso di esse. Questo significa che il soggetto, nel muoversi nel contesto, non ha solo un’immersione percettiva, ma anche orientativa: cerca nel mondo, è gratificato nell’interagire con il mondo, è stimolato dal mondo solo sulla base di precisi orientamenti, in quanto non è il

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a giustificare l’orientamento, ma è l’orientamento che produce dei

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. La presenza del

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, infatti, è in grado di tradurre la motivazione in comportamento, ma in sé il

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non produce la motivazione (Marchesini, 2008).

Molti stimoli producono effetti di attivazione aspecifica che rendono gli animali più reattivi a un’ampia gamma di stimoli: un effetto che potrebbe essere descritto come un aumento della motivazione generale (Manning e Dawkins, 2003).

La motivazione è una sorta di impulso interno (non suscitato da uno stimolo) che opera un cambiamento nell’espressione comportamentale e nella sensibilità agli stimoli (Marchesini, 2008). Un aspetto caratteristico delle modificazioni motivazionali è che spesso a fluttuare non è la risposta a uno stimolo specifico, ma un’intera sequenza di risposte funzionalmente legate le une alle altre. E’ per questo motivo che gli etologi e altri studiosi hanno parlato di “stati motivazionali specifici”, implicando l’esistenza di un insieme di fattori causali interni in grado di influenzare non solo il comportamento, ma un intero gruppo funzionale. Invece di invocare un diverso stato motivazionale per ogni singolo elemento del suo repertorio comportamentale, si dice che l’animale ha, ad esempio, una motivazione ad alimentarsi, intendendo, con questo, che i comportamenti funzionalmente legati all’ottenimento del cibo sono tutti, o in massima parte, influenzati da numerosi fattori causali comuni. La motivazione ad alimentarsi si riferisce pertanto a fattori che influenzano l’intera serie dei moduli comportamentali legati alla ricerca e al consumo di cibo. Sarebbe, tuttavia, fuorviante pensare agli animali come se fossero esposti a insiemi di fattori causali fluttuanti tutti operanti indipendentemente gli uni dagli altri (Manning e Dawkins, 2003).

I comportamenti espressi e anche il processo di apprendimento richiedono sempre il sostegno motivazionale. Le motivazioni possono essere considerate le fonti di gratificazione che l’animale prova nello svolgere particolari attività che gli consentono di raggiungere il

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desiderato, oppure di frustrazione se ciò gli viene impedito. Il soggetto non motivato manifesta disinteresse

verso ciò che lo circonda e questo si traduce in uno stato di noia e stanchezza. Essere motivati e soddisfare le proprie motivazioni è uno dei parametri più importanti nell’interpretazione del comportamento (Marchesini, 2008).

L’obiettivo che mette fine a un particolare comportamento e induce l’animale ad impegnarsi in qualche altra attività, consiste nel risultato del primo comportamento. In assenza di interferenze, il risultato normale del comportamento agisce da “meccanismo a retroazione negativo”, mettendo fine alla sequenza. In altre parole, i risultati del comportamento vengono in parte monitorati e retroagiscono influenzando il sistema di controllo comportamentale; in tal modo essi riducono, o a volte aumentano, la motivazione dell’animale a insistere nel proprio comportamento, a seconda che l’obiettivo di quest’ultimo sia stato raggiunto oppure no (Manning e Dawkins, 2003).

Konrad Lorenz (1952) propose l’idea che, per portare a termine una sequenza, potesse essere importante non tanto il raggiungimento di un particolare obiettivo, quanto piuttosto l’effettiva esecuzione del comportamento. Secondo il modello della motivazione animale proposto da Lorenz, è possibile scandire tre diversi momenti:

- la

fase appetitiva

, nella quale la motivazione si accresce generando un senso di inquietudine e una forte tendenza orientativa e grande sensibilità agli stimoli target;

- la

fase consumatoria

che si esplica nel momento in cui, grazie all’espressione

comportamentale, tale motivazione viene soddisfatta;

- la

fase di riposo

, caratterizzata da un basso livello motivazionale che porta a uno stato di staticità comportamentale e con bassa tendenza orientativa e scarsa sensibilità agli stimoli

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. Pertanto, durante la fase di quiescenza è difficile stimolare il soggetto a eseguire nuovamente lo stesso comportamento.

Certamente questo modello non è compatibile con il comportamento aggressivo: molte specie, infatti, in seguito all’aggressione non presentano una riduzione della tendenza ad altre aggressioni, bensì un aumento. Essendo incompatibile con molti esempi reali di comportamento animale, il modello di Lorenz fu infine abbandonato. L’idea di una “retroazione negativa” trova un’applicabilità decisamente più ampia. Quando un animale mangia, per esempio, hanno luogo alcune modificazioni nel suo mondo esterno (la disponibilità di cibo si riduce) e interno, sia a breve termine (presenza di cibo nella bocca e nello stomaco), sia a lungo termine (equilibrio nutrizionale dell’organismo), che possono anch’esse fungere da obiettivi e tradursi in modificazioni dello stato motivazionale dell’animale. Gli effetti retroattivi sono stati incorporati in modelli motivazionali definiti “modelli omeostatici” (McFarland, 1971; Toates, 1986). Il termine omeostasi fu coniato da Cannon (1974) per descrivere la relativa stabilità dell’organismo nonostante le modificazioni che hanno luogo nel mondo esterno. L’omeostasi implica che l’organismo disponga di mezzi per correggere le deviazioni. I modelli omeostatici assumono che per l’animale esista uno stato ideale o

set point.

Se, nel caso dei fluidi corporei, esiste una differenza tra questo

set point

e lo stato effettivo in cui si trova l’organismo, si ritiene che tale deviazione fornisca all’animale la motivazione per bere. Tuttavia, poiché la velocità con cui la maggior parte degli animali introduce

acqua bevendo è superiore a quella con cui riesce a restituire fluidi alle proprie cellule, se il comportamento del bere proseguisse fino alla completa reidratazione dei tessuti e del plasma, la quantità di acqua introdotta sarebbe di gran lunga eccessiva. Pertanto, deve esistere un mezzo per rilevare l’ingresso di acqua nell’organismo anche prima che le conseguenze fisiologiche della reidratazione si siano fatte pienamente sentire. Inoltre, in una certa misura, l’animale non beve a causa di un deficit di fluidi nel presente, ma perché anticipa l’instaurarsi di tale deficit nel futuro. Tutto ciò indica chiaramente che un semplice modello omeostatico sarebbe scarsamente predittivo del comportamento degli animali in circostanze reali. In realtà, tutti i modelli sono delle semplificazioni; tuttavia, il tentativo di identificare certi principi può rappresentare un passo importante per comprendere alcuni aspetti del comportamento animale (Manning e Dawkins, 2003).