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Una questione difficile da risolvere è come riuscire a misurare il livello quantitativo di una misurazione, potendo disporre solamente delle osservazioni sul comportamento dell’animale e di qualche dato fisiologico. Le soluzioni finora proposte comprendono:

- quantità di comportamento eseguito;

- fino a che punto uno stimolo può essere reso spiacevole prima di essere evitato; - frequenza di pressione di una leva o di beccata su un pulsante;

3.3.1

Quantità di comportamento eseguito

Il modo più semplice e diretto per misurare la motivazione di un animale consiste forse nel dargli l’opportunità di eseguire una certa risposta e poi osservare in quale misura e per quanto tempo esso esegue quel comportamento. Per valutare la sua motivazione a nutrirsi, per esempio, possiamo misurare la quantità di cibo ingerito, giacché di solito è più facile ottenere una misura in peso del cibo consumato, piuttosto che contare il numero di movimenti eseguiti dall’animale per mangiare; allo stesso modo, la motivazione a bere può essere misurata in base alla quantità di fluidi assunti. Considerando un altro elemento essenziale del repertorio comportamentale animale, il corteggiamento, è comune riscontrare che, se questo non viene stimolato per un certo tempo, la sua soglia si abbassa e quando finalmente esso è indotto viene eseguito con un’elevata intensità: questo fenomeno è denominato “effetto di rimbalzo”. Si realizza quando la motivazione a eseguire un determinato comportamento, come appunto il corteggiamento, sia inibita da altre attività o dall’assenza degli stimoli usuali, per cui, quando l’inibizione viene rimossa o l’animale è esposto alla stimolazione appropriata, il soggetto manifesta questo incremento del livello di intensità del suddetto comportamento (Manning e Dawkins, 2003).

3.3.2 Fino a che punto uno stimolo può essere reso spiacevole prima di venire

evitato

Lo scopo, in questo caso, è quello di cercare di evitare che l’animale esegua un certo comportamento e di osservare fino a che punto esso insisterà nell’eseguirlo nonostante ciò. Ad esempio, il chinino è una sostanza che gli animali, al pari dell’uomo, considerano abbastanza spiacevole. Se si offre a un ratto un

pellet

di cibo o gocce di latte contenenti concentrazioni crescenti di chinino, a un certo punto l’animale rifiuterà quelli che di solito per lui sono alimenti allettanti. La massima concentrazione di chinino tollerata può essere usata come una misura della motivazione del ratto a mangiare o a bere.

Una versione alternativa di questo metodo consiste nel collocare in una posizione ben visibile uno stimolo (in genere del cibo) e poi fare in modo che, per raggiungerlo, l’animale debba superare alcuni ostacoli, oppure sopportare qualcosa che normalmente eviterebbe (per esempio una scossa elettrica o un colpo d’aria). Variando l’intensità dello stimolo negativo e verificando l’entità dello shock che l’animale è disposto a sopportare per raggiungere il cibo, abbiamo una misura della sua motivazione a mangiare (Manning e Dawkins, 2003).

3.3.3 Frequenza di pressione di una leva o di beccata su un pulsante

La gabbia di Skinner è un dispositivo rivelatosi utile sia per lo studio dell’apprendimento, che per quello della motivazione. Un animale affamato viene introdotto nella gabbia e gli si insegna che riceverà una piccola ricompensa (cibo o acqua) quando premerà una leva, oppure, nel caso di un uccello, quando beccherà un pulsante. Il dispositivo è congegnato in modo tale che le ricompense

non siano erogate dopo ogni pressione della leva o beccata del tasto, ma a intervalli regolari di tempo; pertanto, l’animale non sa mai se la sua azione sarà seguita o meno dall’erogazione del premio (programma di rinforzo a intervallo variabile). Sorprendentemente, gli animali spesso premono la leva o beccano il pulsante con molta più costanza quando ottengono la ricompensa a intervalli variabili piuttosto che quando questa viene erogata dopo ogni risposta. In questo tipo di programma di rinforzo, la frequenza con cui l’animale compie il gesto richiesto per ottenere il premio è talmente prevedibile che può essere usata come misura della sua motivazione. In alcuni casi, la motivazione dell’animale sembra così intensa che esso presenterà il fenomeno della “compensazione”: in altre parole, se si aumenta gradualmente il numero delle pressioni sulla leva (o beccate sul tasto) necessario per ottenere la ricompensa, il soggetto sarà disposto a lavorare sempre di più per procurarsela (Manning e Dawkins, 2003).

3.3.4 Attività a vuoto

A volte, quando sono molto motivati, gli animali eseguono un comportamento anche in assenza degli stimoli appropriati; tale comportamento viene definito attività a vuoto. Ne è un esempio l’atteggiamento che le galline assumono quando fanno il cosiddetto bagno nella polvere; quando questi volatili sono tenuti in gabbie con il pavimento grigliato compiono ugualmente tutta quella serie di movimenti che caratterizzano tale bagno, sebbene non abbiano a disposizione nulla con cui farlo davvero (Manning e Dawkins, 2003).

Vestergaard (1980) definì, appunto, attività a vuoto questo bagno e ipotizzò che quando un comportamento viene eseguito in assenza degli stimoli adatti, o con stimoli minimi, ciò indichi la presenza di un’altissima motivazione a eseguire tale comportamento.

Questi sono solamente alcuni dei metodi impiegati per misurare i livelli di motivazione negli animali. Si potrebbe pensare, superficialmente, che essi misurino tutti la stessa cosa, pertanto ci aspetteremmo che, in un animale deprivato di cibo, tutte queste misure della motivazione ad alimentarsi aumentino allo stesso modo. In realtà, non è affatto così (Manning e Dawkins, 2003). Miller (1957) ha descritto numerosi esperimenti che mostrano come almeno tre delle possibili misure della motivazione a mangiare e precisamente la quantità di cibo ingerito, la concentrazione di chinino tollerata e la frequenza di pressione di una leva, non aumentino tutte simultaneamente. La misura dell’intensità della motivazione di un animale ha delle implicazioni pratiche al fine di valutare il suo benessere: un animale fortemente motivato a fare qualcosa che non può fare ha una probabilità decisamente maggiore di soffrire, rispetto a un animale che non sia affatto motivato (Manning e Dawkins, 2003).

La probabilità che una certa motivazione venga espressa è strettamente correlata non solo con il valore intrinseco della motivazione, ma anche con la capacità del soggetto di esercitarla. Tale capacità dipende dallo stato dell’individuo in quel preciso momento e dal contesto in cui si trova, pertanto l’ambiente non riveste solamente il ruolo di “contenitore” di

target

, ma, offrendo scenari diversi, può scoraggiare o incentivare la motivazione. La decisione di perseguire una determinata

motivazione è quindi frutto di un’accurata valutazione dei costi e benefici: se la situazione non è favorevole la motivazione tende a decadere.

Occorre però distinguere le motivazioni in primarie, ossia legate a bisogni di primaria importanza (quali mangiare, bere, dormire, riprodursi), che necessariamente devono essere appagati, e in secondarie, il cui mancato soddisfacimento non compromette la sopravvivenza dell’individuo.