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La competenza quale criterio di ripartizione della potestà impositiva tra Stato

e enti sub-statali

Nell'ordinamento nazionale è stato a lungo dibattuto il problema di quale fosse in concreto l'ambito entro il quale potesse essere esercitata la potestà tributaria, rispettivamente, dello Stato e delle Regioni quali livelli di governo dotati di potestà legislativa, nonché i limiti di entrambi rispetto alla potestà degli Enti territoriali minori. La Costituzione italiana prevede infatti, da un lato, un sistema tributario erariale la cui disciplina è riservata alla legislazione dello Stato centrale ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lettera e) e, dall'altro lato, un sistema tributario regionale e locale relativamente al quale quest'ultimo non dovrebbe intervenire se non per la determinazione dei principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, in quanto materia concorrente ai sensi del terzo comma del medesimo articolo. Gli Enti territoriali minori sono invece privi di potestà normativa primaria e, pertanto, non possono individuare tipologie di tributi propri che non siano già delineate nelle loro linee essenziali dalla legge.

La dottrina si è pertanto chiesta quali tributi fossero di idonea riserva dello Stato e quali di competenza di Regioni ed Enti territoriali. Il primo dato che è emerso consiste nella mancata esplicazione costituzionale della questione, pertanto l'interpretazione scientifica e

giurisprudenziale ha dovuto sanare il vuoto lasciato dalla legge fondamentale.

Si è rilevato che dal punto di vista giuridico, ma soprattutto dal punto di vista logico, agli enti sub-statali dovrebbe spettare la disciplina di quei tributi che presentano un presupposto che esprime un ragionevole collegamento con il territorio o, meglio, che individua un idoneo criterio di appartenenza alla collettività per quanto riguarda il soggetto chiamato alla contribuzione, dovendo per tali fattispecie essere escluso l'intervento statale. Si è infatti affermato che, sulla base dei principi di ragionevolezza e capacità contributiva di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione, sarebbe illogica la previsione di un sistema caratterizzato, da un lato, dall'equivalenza di Stato e Regioni e dalla riserva in via esclusiva in capo a queste ultime della potestà normativa regionale e locale e, dall'altro lato, dalla possibilità per lo Stato centrale di stabilire forme impositive legate a presupposti localizzati territorialmente. In altre parole, proprio in virtù della giustificazione territoriale di un dato presupposto, si dovrebbe pretendere che la determinazione del sistema tributario dei livelli inferiori di governo debba essere affidato alla legislazione regionale e alla disciplina di dettaglio dell'ente stesso, mentre si deve riconoscere l'inadeguatezza dell'intervento dello Stato centrale. Si deve rammentare infatti quanto asserito in merito alla necessità, in virtù di una responsabilizzazione della gestione della cosa pubblica, che vi sia coincidenza tra coloro che forniscono i servizi e i beni alla collettività e coloro che decidono sul trattamento tributario idoneo a reperire le risorse necessarie a finanziare quegli stessi beni e servizi. Il contribuente, appartenente a quella collettività territorialmente determinata e come tale chiamato al sacrificio tributario, deve poter essere infatti in grado di valutare e giudicare, per mezzo del voto, l'operato degli amministratori. Se si consente, come di fatto avviene, allo Stato centrale di intervenire nelle scelte degli enti sub-statali si interrompe quel circolo virtuoso che dovrebbe stare alla base di ogni istanza al decentramento.382

382Quanto affermato in merito all'auspicata competenza regionale e locale per quanto riguarda la definizione del sistema tributario degli enti sub-statali, nonché l'inadeguatezza dell'intervento statale, era criterio già vigente nell'ordinamento anche prima della Riforma del 2001 in virtù del principio di ragionevolezza emergente dagli articoli 3 e 53 della Costituzione. Regioni ed Enti locali dovrebbero avere la funzione riservata di potestà normativa tributaria in relazione a presupposti e criteri di appartenenza ancorati al territorio concernente gli enti medesimi, sulla base della considerazione che lo stesso articolo 53 costituirebbe, ancora prima dell'articolo 119, norma sul coordinamento dei diversi sistemi tributari. Alla luce di questo si deve osservare che l'affermazione, emergente dal novellato Titolo V in merito all'indebita interferenza dello Stato relativamente a tributi con presupposto e criteri di appartenenza del contribuente localizzati territorialmente, non risolve il problema in merito al riparto tra vari livelli di governo. A prescindere dal tributo immobiliare, essenzialmente di carattere comunale e con le riserve cui si è precedentemente accennato, e dai tributi paracommutativi legati a beni o servizi forniti dall'ente sub-statale, da riservare alla Regione o all'Ente locale

Altra dottrina si esprime, in merito alla questione in oggetto, in modo parzialmente difforme. Lo Stato non dovrebbe avere limiti di carattere ontologico e di materia nello stabilire i tributi propri, ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lettera e) della Costituzione, e conseguentemente nell'individuare i presupposti di tali fattispecie. Questo viene giustificato sulla base della stessa lettera della legge, la quale assume esplicitamente quale oggetto della competenza esclusiva centrale la sola materia del sistema tributario dello Stato e non vincola la scelta dei presupposti a una valutazione di continenza delle materie sostanziali attribuite alla competenza legislativa dello Stato medesimo dalle altre lettere del secondo comma della citata disposizione. L'unico limite che potrebbe rinvenirsi nella potestà impositiva dello Stato è dato dall'ammontare complessivo delle spese che esso deve finanziare per mezzo delle risorse ricavate dai propri tributi. Si precisa infatti che la mancanza di un limite siffatto si giustifica anche e soprattutto per il fatto, sostanziale, che i tributi erariali non servono solo a finanziare le spese relative a materie di stretta competenza statale, ma anche a comporre una rilevante quota delle spese relative alle funzioni degli enti sub-statali.383 Dallo speculare punto

di vista, la citata dottrina afferma che i principi di razionalità, semplificazione e unitarietà della finanza pubblica impediscono che le Regioni creino nuove imposte che abbiano gli stessi presupposti e le stesse basi imponibili di imposte erariali.384 Inoltre, detta impostazione

è giustificata dal fatto che la Riforma del 2001 non può comportare né la messa in discussione della natura erariale dei tributi considerati tali precedentemente, né la negazione dell'attuale potere dello Stato di individuare nuovi tributi erariali senza limiti in virtù di quanto sopra affermato, né il venir meno dell'esclusività della legislazione statale riguardo alla disciplina di tali tributi per lasciare il passo alla legislazione regionale relativamente agli stessi presupposti

che ha effettuato la dazione del bene o la prestazione del servizio in un'ottica simile a quella di diritto comune, non è semplice individuare quali possano essere i tributi aventi presupposti effettivamente legati al territorio. In tal senso non si può infatti escludere che il presupposto di tributi tradizionalmente erariali, quali le imposte sul reddito, sugli scambi o sui consumi, non presenti significativi elementi di collegamento con il territorio (PERRONE 2004, pp. 1173 e ss.).

383GALLO 2002 b il quale, a p. 2008, nota che «tra le spese rientrano, oltre a quelle statali vere e proprie (e cioè quelle sostenute dallo Stato per finanziare investimenti e prestazioni da esso effettuati), anche quella rilevante parte di esse che, pur essendo relative allo svolgimento delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, sono poste tuttavia a carico della finanza statale. Ai sensi del nuovo art. 119, commi 2, 3 e 4, della Costituzione tali ultime spese vanno, infatti, finanziate proprio attraverso le compartecipazioni ai tributi erariali e la ripartizione perequativa del relativo fondo (alimentato sempre da tributi erariali); e solo in misura molto limitata attraverso tributi propri, regionali o locali.».

384GALLO 2002 b che, a p. 2008, precisa come «dovrebbe essere, ad esempio, vietata l'istituzione di tributi regionali (o locali) sul reddito o sul patrimonio che abbiano la natura di sovraimposta o che comunque duplichino, nella disciplina e nella struttura, quelli già vigenti erariali.».

di imposta. Il sistema previgente pertanto doveva conservare la sua struttura fino alla modifica da parte di altre norme statali che, anche in via di coordinamento, delimitano l'ambito di attuazione delle nuove regole ai sensi degli articoli 117 e 119 mediante una legge quadro.385

Infine si deve ricordare quell'ulteriore impostazione critica che presta particolare attenzione alla nuova suddivisione dei poteri e dell'articolazione della Repubblica fissata dal nuovo articolo 114 della Costituzione. Tale dottrina conferma che i principi fondamentali del sistema tributario devono essere stabiliti, in ossequio al rispetto del vincolo dell'unitarietà della Repubblica, mediante legge dello Stato, mentre l'istituzione e la disciplina dei tributi di competenza regionale sono rimesse alla potestà normativa dei corrispondenti enti che devono, in prima istanza, legiferare in merito alla materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, nel rispetto dei principi determinati dalla legge statale e da quelli stabiliti dalla Carta fondamentale, dal diritto internazionale e dall'ordinamento europeo.386

Il problema in merito al riparto di competenze tra i vari livelli di governo, variamente affrontato dalla dottrina, emerge anche dal punto di vista dell'opportunità, poiché ci si è chiesti se imposte tradizionalmente erariali siano tali per questioni di efficienza dal momento che le autonomie locali potrebbero non essere in grado di gestire efficacemente i poteri correlati alla gestione del tributo.387

In tale prospettiva ci si è quindi chiesto se fosse opportuno strutturare il sistema tributario sulla base di fattispecie diverse dai tributi propri. Alcuni hanno affermato che non pare immaginabile un sistema tributario regionale e locale strutturato esclusivamente o principalmente sulla base di addizionali poiché queste comportano una potestà tributaria fortemente limitata e, in ultima analisi, si risolvono di fatto in una forma di compartecipazione al gettito dei tributi erariali.388 In modo parzialmente differente si è espressa quella dottrina

che non esclude che le addizionali siano in sé un prelievo proprio frutto di un'autodeterminazione normativa dell'ente sicché tali fattispecie non comporterebbero una vera e propria fuoriuscita dall'ambito di autonomia tributaria. In ogni caso, è stato rilevato che le addizionali comportano un'autonomia normativa più ridotta, la quale trova il proprio fondamento nella potestà legislativa dello Stato e che si risolve nell'esercizio da parte degli

385GALLO 2002 b, p. 2009. 386GIOVANNINI 2003, p. 1167. 387PERRONE 2004, p. 1184. 388PERRONE 2004, p. 1184.

enti sub-statali della mera potestà di istituire l'addizionale stessa e di scegliere l'aliquota all'interno di una forbice fissata dalla legge statale di disciplina del tributo erariale parametro dell'addizionale.389

Nell'ambito della medesima prospettiva inerente la riferibilità al territorio si possono poi effettuare brevi osservazioni in merito all'istituto della compartecipazione a tributi erariali da parte delle Regioni e degli Enti locali. Queste ultime, che devono essere fissate in modo da risultare sufficienti per il fine per il quale sono istituite, devono essere riferite al territorio, così come previsto dall'articolo 119, comma secondo, della Costituzione. Si è affermato che detta fattispecie può considerarsi materia imponibile che comporti un ragionevole riferimento sulla base del quale abbia senso collegare un certo ammontare di prelievo con una comunità che risiede in un dato territorio.390 Nonostante la lettera della Carta fondamentale non sia a tal

riguardo precisa, il senso dal termine “riferibile” è tuttavia chiaro: la materia imponibile erariale può essere trasferita agli enti sub-statali attraverso la compartecipazione se il gettito può essere riferito al territorio.391

389GALLO 2002 b, che a p. 2013 afferma come non vi sia «dubbio in proposito che le Regioni e gli Enti locali abbiano la potestà, rispettivamente legislativa e regolamentare, di decidere l'istituzione di tali addizionali. Sorge il dubbio, peraltro, sul carattere primario ed esclusivo (e perciò non derivato) di questa potestà, e cioè se essa sia esercitabile senza la previa mediazione di una legge statale. Trattandosi di addizionali a tributi erariali e, quindi, di prelievi regionali e locali parametrati percentualmente ai tributi erariali, il dubbio è reso legittimo dalla considerazione che anche nel caso delle addizionali – al pari delle sovraimposte e, in genere, delle duplicazioni regionali o locali delle imposte erariali di cui si è detto – l'esercizio del potere normativo di imposizione (senza la copertura di una legge statale) possa trovare un ostacolo nel più volte richiamato art. 117, comma 2, lettera e). Tale esercizio, riguardando dei tributi erariali, urterebbe cioè la competenza legislativa esclusiva accordata allo Stato riguardo al “sistema tributario dello Stato”, e cioè con riferimento ai tributi qualificabili come erariali al momento dell'entrata in vigore del nuovo ordine costituzionale. Non accantonerei frettolosamente questo dubbio sulla legittimità costituzionale di addizionali istituite fuori dalla riserva di legge statale. All'accoglimento di una più ampia nozione di autonomia tributaria regionale potrebbe, infatti, ostare anche qui l'argomento che sarebbe lo stesso disposto dell'art. 117, comma 2, lettera e), a vietare che le Regioni prevedano esse stesse autonomamente addizionali (regionali o locali) ai tributi erariali. Se si considera che l'addizionale equivale concettualmente ad una vera e propria “quota” di tributo erariale da attribuire alle Regioni o agli Enti locali – e, quindi, rappresenta un prelievo che, in quanto inasprimento di un tributo erariale, incide sulla competenza legislativa dello Stato – la conseguenza dovrebbe essere che l'applicazione di addizionali da parte delle Regioni e degli Enti locali deve passare prima attraverso l'“autorizzazione” della legge statale».

390PICA 2003 a p. 1241 precisa che «in una analisi del tutto rigorosa, dovrebbe tuttavia dirsi che ciò che conta è il momento dell'incidenza: le comunità territoriali hanno titolo a compartecipazioni ad imposte erariali (in una qualche congrua misura) se esse stesse sono incise dalle imposte di cui si tratta. Non basta, perciò, il momento della percussione per poter dire che il gettito di un tributo sia "riferibile" ad un territorio determinato: il tributo potrebbe, infatti, essere traslato su altre comunità ed in tal caso accadrebbe che il gettito di cui si tratta sia in realtà "riferibile" ad esse, e non a quelle percosse.».

391La compartecipazione costituisce uno strumento integrativo rispetto ai tributi e alle entrate proprie degli enti sub-statali, al fine di consentire la copertura del fabbisogno che gli altri strumenti non sono in grado di garantire. Tuttavia, poiché le risorse così ottenute sono entrate erariali alla cui contribuzione sono chiamati tutti i cittadini ovunque risiedano, non può presumersi un particolare diritto della comunità territoriale a

In modo ancora più evidente, rispetto alle addizionali, l'istituto della compartecipazione limita tuttavia gli spazi di autonomia normativa degli enti sub-statali rispetto al dominio impositivo statale, pur riconoscendosi una riferibiltà dell'ammontare percepito al territorio di riferimento nel senso prima indicato.

Ritornando alla disciplina dei tributi propri, uniche fattispecie realmente in grado di garantire un certo grado di autonomia in capo agli enti sub-statali, deve riconoscersi che la gamma dei presupposti ancora a disposizione delle Regioni e degli Enti locali è molto contenuta. Indipendentemente dall'impostazione che si preferisce adottare, nel senso di una minore o maggiore libertà dello Stato nella definizione dei tributi erariali per mezzo della scelta degli idonei presupposti, permane la consapevolezza che le Regioni non possono esercitare la potestà impositiva, relativamente sia ai tributi propri sia ai tributi degli Enti locali, intromettendosi nell'area dei tributi statali, istituendo cioè tributi che abbiano gli stessi presupposti di quelli di esclusiva competenza statale.392

In ultima analisi quindi il sistema tributario di Regioni ed Enti territoriali minori dovrebbe essere strutturato sulla base di tributi, anche di scopo, con presupposti fortemente localizzati, quali ad esempio quelli di carattere immobiliare, oppure relativi ai servizi o ai beni resi dall'ente, oppure ancora concernenti le attività produttive localmente insediate, nonché, per quanto riguarda le Regioni, fattispecie capaci di tutelare gli interessi sottesi all'elenco di materie di legislazione concorrente di cui al terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione e che possono assumere la forma dell'imposta oppure della forma impositiva paracommutativa.393

trattenere le somme con cui i cittadini che di essa fanno parte concorrono alle spese dello Stato. Allo stesso tempo però, proprio in virtù del riferimento costituzionalmente garantito al territorio, l'ente potrebbe essere incentivato a fomentare una maggiore produzione di ricchezza da parte dei partecipanti alla collettività ivi stabilita, dal momento che esso stesso potrebbe trarne un vantaggio all'atto della compartecipazione (PICA 2003, pp. 1241 e 1242).

392GALLO 2002 b, p. 2009.

393PERRONE 2004, p. 1185; nella medesima direzione si spinge GALLO 2002 b che, da un lato, respinge «disegni interpretativi diretti a svalutare la finanza statale (sostituendola addirittura con quella regionale)» ma, dall'altro lato, «non esclude certo che, in forza dei principi di responsabilità e di autonomia tributaria - e, perciò, in funzione dell'espansione dell'autonomia politica […] – le Regioni esercitino la loro potestà legislativa di imposizione prevedendo tributi regionali e locali aventi presupposti che, da una parte, siano radicati nelle materie di esclusiva competenza legislativa delle Regioni stesse ex art. 117, comma 4, della Costituzione e, dall'altra, siano in grado di fornire alle Regioni stesse e agli enti locali le risorse necessarie allo svolgimento di loro politiche autonome affrancandosi dalle interferenze dello Stato: tributi, perciò, stabilmente connessi al loro territorio, non necessariamente retti dal principio del beneficio, ma sicuramente tributi di scopo e tributi-controprestazione o “corrispettivi”. In questi casi, data la stretta strumentalità della tassazione al raggiungimento degli obiettivi di politica regionale, va valorizzato il cosiddetto principio di continenza, che condiziona la legittimità del “tributo proprio” alla previa valutazione della “continenza”

Il vivace dibattito dottrinario che ha accompagnato la novella del Titolo V della Costituzione ha condotto a ritenere che essa volesse prevedere la creazione di un sistema duale del sistema tributario locale, il quale risultasse dipendente, da un lato, dallo Stato, quale soggetto istituente tributi locali e determinante i principi generali per la definizione del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e, dall'altro lato, dalle Regioni, aventi il ruolo di ordinario livello impositivo per il sistema tributario locale e dovendo esse effettivamente determinare il coordinamento ai sensi dell'articolo 117. La situazione di incertezza delineatasi in seguito alla Riforma è stato, come precedentemente meglio esposto, oggetto di indagine da parte della Corte Costituzionale che, in ultima analisi, ha interpretato sia l'assetto costituzionale per quanto riguarda la potestà legislativa tributaria sia la qualificazione dei

dell'interesse espresso dall'elemento materiale del suo presupposto negli interessi compresi nell'elencazione delle materie attribuite alla competenza regionale (e locale). Data l'esposta ampia portata degli artt. 117, comma 4, e 119, commi 1 e 2, è dunque difficile negare un'ampia potestà legislativa alle Regioni quando essa verta su materie di competenza delle Regioni stesse (e, in via mediata, degli Enti locali). È, però, anche comprensibile che tale potestà possa essere limitata quando travalica la materia e (naturalmente) l'ambito territoriale di loro competenza. Sarebbe in altri termini auspicabile che la potestà legislativa delle Regioni sia esercitata per reperire nel territorio soprattutto risorse che espandano la loro autonomia politica (e quella degli Enti locali). Il che potrà farsi collegando a tal fine l'esercizio della potestà stessa e la misura del prelievo soprattutto al costo delle funzioni non finanziabili con le sole compartecipazioni (o in via di perequazione) e, comunque, ad ogni spesa facoltativa o integrativa che le Regioni e gli Enti locali con la loro autonomia intendono sostenere e promuovere.»; in senso parzialmente differente si esprime GIOVANNINI 2003 che, a pp. 1174 e 1175, contesta che «la tesi, a mio avviso, non è pienamente condivisibile. Certo, le regioni, per effetto dell'art. 117, comma 2, lettera e), non possono intromettersi in materie riservate in via esclusiva alla legge dello Stato e neppure violare i principi fondamentali e di coordinamento. Ma in assenza di divieti espressi dalla legge statale (che, forse improvvidamente, potrebbe anche non disciplinare questo aspetto, ritenendolo eccessivamente limitativo dell'autonomia regionale), nessuna disposizione di rango costituzionale vieta loro di stabilire tributi aventi presupposto identico a quello delle imposte erariali, quale, ad esempio, il reddito o gli atti di trasferimento. Non mi sembra, cioè, che la disposizione da ultimo richiamata sia espressiva di un impedimento a tal punto penetrante da rendere illegittime le prestazioni imposte dalle regioni modellate su presupposti qualificati da legge di altro Ente (lo Stato, lo sottolineo nuovamente, è ente equiordinato alle regioni e, dal punto di vista della potestà normativa, gode di supremazia solo in punto di determinazione dei principi). D'altra parte, ragionando in termini pragmatici ed anche volendo tralasciare l'esperienza consolidata sulle addizionali, se non si intende rinunciare in partenza all'istituzione di imposte di