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Le competenze fiscali tra Unione europea e Stati membri

Le autonomie locali assumono importanza anche dal punto di vista sovranazionale poiché il processo di integrazione fiscale, a livello comunitario, appare intaccato dalla tendenza al decentramento di potestà impositive in favore di organizzazioni territoriali sub-statali. L'implementazione delle autonomie territoriali deve invece non violare la concorrenza all'interno del mercato europeo, né porsi in contrasto con i relativi principi fondamentali.395

Prima di analizzare le conseguenze dell'intervento sovranazionale sulle facoltà autonomiche degli enti sub-statali, appare quindi necessario analizzare previamente il riparto di competenze fiscali all'interno dell'Unione europea stessa.

Gli scopi dell'Unione Europea sono delineati nell'articolo 2 del Trattato,396 quale norma

programmatica la cui puntuale attuazione è affidata al diritto derivato e alla giurisprudenza interpretatrice europea. I principi dell'armonizzazione e del ravvicinamento fiscale divengono così strumento e risultato della realizzazione del citato obiettivo. Le azioni che si possono proporre, per rendere la fiscalità degli Stati membri funzionale alle esigenze comunitarie, cambiano nel tempo, dal momento che muta il complessivo livello di integrazione economica e giuridica, il quale a sua volta dipende da una molteplicità di fattori di cui la fiscalità è solo una delle espressioni. L'armonizzazione fiscale quindi condiziona ed è condizionata perché essa stessa risente di altri fenomeni giuridici che in vario modo incidono sulla realizzazione degli obiettivi del Trattato.397

395SAPONARO 2002, p. 1035, il quale afferma che «il condizionamento appare evidente se si considera il crescente ruolo che le autonomie locali stanno assumendo nell'ambito del costituendo sistema pre-federale europeo, in una fase storica in cui gli Stati membri sembrano orientati – in applicazione del principio di sussidiarietà – verso precise soluzioni federalistico-fiscali.».

396«La Comunità ha il compito di promuovere nell’insieme della Comunità, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetaria e mediante l’attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli articoli 3 e 4, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell’ambiente e il miglioramento di quest’ultimo, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri.».

L'Unione, nella propria normativa primaria, non ha mai dedicato un'attenzione analitica nei confronti del fenomeno tributario, tuttavia la politica fiscale europea continua a caratterizzare l'azione dei governi statali e, ove ne ricorrano le condizioni, sub-statali.398 Da un lato, infatti, il

Trattato consente di evidenziare una connessione tra prelievo indiretto e scambi commerciali sia all'interno sia fuori dall'Unione, dal momento che le disposizioni fiscali sono strutturate in modo da evitare effetti distorsivi eventualmente causati dai tributi, sia mediante l'eliminazione delle barriere fiscali in grado di impedire la libera circolazione, sia impedendo qualsiasi utilizzo del tributo per favorire la produzione nazionale rispetto a quella proveniente da altro Stato membro.399 Dall'altro lato, la Comunità economica europea nasce come unione

doganale, pertanto il fenomeno fiscale era visto in luce meramente strumentale:400 non si

volevano assoggettare i beni a dazi o a qualsiasi prelievo a effetto equivalente al momento del passaggio della frontiera tra uno Stato e l'altro, sia per quanto riguarda le importazioni sia le esportazioni; inoltre si voleva creare una tariffa doganale comune nei confronti dei paesi extra comunitari.

Si deve rilevare una forte produzione normativa comunitaria di carattere politico giuridico in materia tributaria, che è stata definita addirittura sproporzionata rispetto alla rilevanza che l'aspetto fiscale ha negli atti fondamentali dell'Unione. Per effetto di tale azione degli organi europei i sistemi fiscali degli Stati membri hanno subito una profonda trasformazione, sicché si può affermare che essi sono oggi ben diversi da quello che sarebbero stati senza la loro

398BASILAVECCHIA 2009 b, p. 361 afferma che «la politica fiscale trova con difficoltà un suo spazio nell'azione complessiva dell'Unione: se sono numerosi e significativi, invero, gli atti, le decisioni dei suoi organi che si riferiscono alla materia tributaria, problematica è l'individuazione di principi dei Trattati che abbiano come oggetto diretto fondamento, presupposti, limiti, del concorso alla pubblica spesa.».

399MELIS-PERSIANI 2013, p. 267 afferma che «al perseguimento di tali obiettivi iniziali e al successivo graduale passaggio dall’unione doganale al mercato comune – relativo all’abolizione di ogni vincolo quantitativo e qualitativo non solo per i beni e servizi, ma anche per i fattori produttivi – ha dunque concorso l’azione in materia di imposizione indiretta, connotando una prima fase della fiscalità comunitaria che ha occupato un ampio arco temporale e che comunque, pur collocata ormai in secondo piano nel dibattito europeo, è ben lungi dall’essersi conclusa.»; TERRA-WATTEL 2012, a pp. 4 e 5, afferma che «positive integration (harmonization measures at EU level) is thus not the sole (and for direct taxes only a very modest) contributor to the abolition of tax impediments to the proper functioning of the internal market. Whereas most of the extensive harmonization of indirect taxes, especially of customs duties, turnover taxes and excise, has been achieved by way of positive integration measures (EU regulations and directives), most of the integration of direct taxes is a result of negative integration, i.e. Case law of the ECJ declaring national tax measures incompatible with primary EU law. Generally speaking, indirect taxes have been harmonized at EU level because they are conspicuous and direct obstacles to free trade; they are taxes on transactions (taxes on trade in, or the border-crossing of goods and services), which must be either abandoned altogether (taxes on the intra-EU border-crossing of good and services), or uniformised if one is to have free trade.».

400In tal senso si esprime BASILAVECCHIA 2009 b, p. 361 parla del «carattere strumentale che gli istituti tributari sovente assumono nell'ottica dei Trattati».

partecipazione al fenomeno comunitario.401

In merito all'imposizione indiretta l'articolo 113 del Trattato prevede il fondamento giuridico per l'azione dell'armonizzazione fiscale. Il riferimento alle sole imposte indirette è stato giustificato in virtù del periodo storico in cui detta norma ha assunto l'attuale formulazione, e cioè in concomitanza con l'approvazione dell'Atto Unico Europeo il quale ha comportato il passaggio dal mercato comune al mercato interno. Dal punto di vista fiscale, la creazione di uno spazio senza frontiere interne, dove è assicurata la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali, impone non solo l'abbattimento delle barriere doganali ma anche la creazione di un sistema tributario il più possibile neutrale; in tale contesto è stata legittimata l'armonizzazione solamente di talune tipologie di tributi.402

401BASILAVECCHIA 2009 b, p. 361, il quale riassume affermando che «lo studio deve dunque tendere a spiegare la dialettica tra questi due aspetti del fenomeno, certamente in apparenza contraddittori: da un lato l'assenza di finalità “fiscali” nel progetto comunitario di base (assenza comprensibile, nella fase che va sino all'Atto unico europeo, alla metà degli anni ottanta: molto meno coerente, da quando prende corpo e trova consenso l'idea di un'Unione di carattere più direttamente politico), dall'altro un rilevantissimo (e comunque sempre crescente) spazio costantemente occupato da “provvedimenti” di carattere fiscale, e un condizionamento “forte” degli ordinamenti degli Stati membri, tale da far emergere la materia dei tributi come una di quelle in cui più pressante si pone l'esigenza di individuare (esistenza e modo di azione dei) controlimiti. […] Sotto il profilo giuridico, la questione si pone in termini in parte diversi: la normazione originaria europea non si occupa, come detto, di contribuzione alle pubbliche spese; non definisce la funzione del tributo né dal punto di vista del proprio ordinamento, né in funzione conformativa degli ordinamenti tributari degli Stati membri; ne deriva la sensazione che, quando – si badi: tutt'altro che raramente – gli organismi dell'Unione si occupano di tributi, l'oggetto reale dell'intervento, il valore alla cui tutela l'azione europea si dirige, sia “altro” dal tributo (in questa prospettiva, una sorta di interesse occasionalmente protetto, parafrasando). Ma, ad una diffusa analisi del diritto comunitario, soprattutto derivato (essenziale ricomprendere in esso, anche nella prospettiva fiscale, la giurisprudenza della Corte di Giustizia), il giurista rinviene indizi molto seri per concludere in senso opposto, che cioè nel diritto vivente europeo (piuttosto che nel tessuto pattizio originario, e nonostante la strutturazione di quest'ultimo assegni un ruolo secondario, se non marginale, alla problematica tributaria) esiste una nozione strutturale di tributo, o per lo meno esistono applicazioni concrete dalle quali una visione – forse più empirica che sistematica – di tributo, suscettibile di essere descritta e analizzata, è destinata ad emergere, quanto meno in alcuni elementi strutturali. Insomma, se da un lato appare comprensibile e giustificato ricostruire il rapporto tra diritto comunitario e fiscalità dei singoli Stati membri in termini di prevalente integrazione negativa, per lo più affidata, in molti aspetti salienti, a tecniche di soft law, e lamentare la debolezza di un condizionamento delle politiche nazionali episodico e frammentario, ancorché sovente incisivo – l'antisovrano – , dall'altro tale visione appare, man mano che la dinamica evolve e le sentenze della Corte di Giustizia si susseguono, insoddisfacente. Nel senso che, come si dirà, gli ordinamenti tributari interni sono sempre più non solo condizionati, nel loro rapporto con l'Unione, da limiti esterni – principalmente in funzione di interessi extratributari – ma anche conformati – e quindi uniformati tra loro – da un vero e proprio sistema in fieri, pertanto incompleto, di regole giuridiche sovrastatali (o interstatuali) che non solo caratterizzano la fisionomia dei principali tributi, ma regolano anche, in aspetti essenziali e strutturali, i rapporti tra le pubbliche autorità e i soggetti passivi dell'imposizione. Tanto che si assiste oggi ad un dialogo continuo tra giurisdizione interna e Corti europee, dialogo che proprio in questi giorni per la prima volta arriva a coinvolgere, in una vicenda di rinvio pregiudiziale, la Corte costituzionale italiana; tanto che il problema del futuro immediato, in tema di rapporti – o meglio di osmosi – tra ordinamenti giuridici, sembra piuttosto essere quello della fissazione di un'adeguata, ma non traumatica, modalità di bilanciamento dei controlimiti.».

Quanto all'imposizione diretta il Trattato non fa alcun riferimento immediato in materia, pertanto l'analisi deve considerarsi più complessa. Gli interventi europei in tale ambito si sono sviluppati in relazione alla realizzazione del mercato interno a seguito delle modifiche intervenute con l'Atto Unico Europeo. Si può parlare di mercato interno dal momento in cui esso postula uno spazio senza frontiere interne nel quale sono garantite le libertà economiche fondamentali, quale area economica integrata in direzione di un'unione economica e monetaria, mentre il mercato unico doveva essere considerato più semplicemente come una zona di libero scambio. Alla luce di questo si è potuta rinvenire la base giuridica per l'intervento in materia di imposizione diretta, pur nel silenzio del Trattato, negli articolo 3, lett. h) e 115 TFUE (ex art. 94 TCE) dettati in materia di ravvicinamento delle legislazioni nazionali in funzione del funzionamento del mercato. Gli interventi in tale materia sono stati tuttavia piuttosto limitati poiché aspetti puramente nazionali non sono mai stati direttamente coinvolti data la forte resistenza degli Stati membri, i quali non volevano cedere spazi di sovranità in favore dell'Unione anche nel campo dell'imposizione diretta.403

Le competenze fiscali così individuate non risultano modificate nemmeno a seguito del Trattato di Lisbona che, anzi, comporta l'abrogazione dell'articolo 293 TCE concernente

403MELIS-PERSIANI 2013, p. 267, constata che «gli interventi di carattere puramente nazionale si sono infatti sistematicamente arenati sulla considerazione dell’inopportunità di annullare la leva fiscale a disposizione di ogni Stato, già fortemente compromessa dal sostanziale azzeramento dei vantaggi derivanti dalla selettività dell’imposizione indiretta e dall’impossibilità di un’azione sui cambi per effetto del passaggio alla moneta unica.»; TERRA-WATTEL 2012, a p. 5, afferma che «direct taxes […] are taxes on the incomere or wealth of (legal) persons, having a less direct and visible effect on trade and services, although one may argue they distort trade just as much as transaction taxes: unlike indirect taxes, they are not refunded upon exportation, but remain locked in the price of the goods and services exported by the economic operators. Moreover, direct taxation is viewed by the Member State as the last hardcore part of their sovereignty within the Union, implying very little political enthusiasm for positive harmonization of it. The consequence is, however, a large and rapidly expanding body of casuistical and thus uncoordinated case law of the Court of Justice of the EU, often fatal for the national direct tax measure at issue because of incompatibility with the TFEU Freedoms.»; si può inoltre vedere BASILAVECCHIA 2009 b, p. 361 che riconosce la presenza di un «conflitto politico risolto, sino ad oggi, in senso nettamente favorevole agli Stati membri, ai quali continua ad essere riservata, almeno formalmente ed in senso tipico, la manovra fiscale, quale parte della politica economica dei singoli governi. Espressione di questo (dis)equilibrio è la perdurante riserva di esclusiva competenza statale sulla materia dell'imposizione diretta, ma probabilmente si va anche oltre: a ben vedere, infatti, la potestà tributaria riconosciuta alla comunità sulle imposte di consumo e doganali è inevitabile, ma proprio per questo può essere considerata inautonoma, concettualmente assorbita in materie diverse. In altre parole, se Iva e accise sono armonizzate e rigidamente conformate a livello europeo, ciò non deriva dalla riconosciuta titolarità comunitaria della politica fiscale, quanto meno sulle imposte indirette, ma dalla ineludibile necessità di conformare tali tributi nell'ottica di funzionamento di un territorio commerciale comune. Non appena l'esigenza viene assicurata, e risultano così apprestati i meccanismi tributari minimali funzionali alla soppressione delle barriere doganali interne alla Ue, la politica fiscale torna, sotto l'aspetto formale, ad essere competenza strettamente statale, e l'ingerenza comunitaria assume appunto la funzione essenziale di contenimento e di razionalizzazione del tributo, valutato per ciò che esso non deve essere e non deve determinare, e non in funzione positiva.».

l'avvio di negoziati tra Stati per la conclusione di accordi per l'eliminazione di fenomeni di doppia imposizione; la disposizione, in ogni caso, appariva sostanzialmente inutile perché già la Corte di Giustizia europea ne aveva sempre dato un'interpretazione quale norma meramente programmatica, pertanto l'abrogazione della medesima non può essere considerata una forma di regressione.404 Per quanto riguarda il diritto originario, la materia dell'imposizione diretta

permane quindi appannaggio dei singoli Stati membri, senza che sia stato introdotto successivamente alcun ulteriore potere di armonizzazione diretto da parte dell'Unione al di fuori degli schemi precedentemente indicati e al di fuori di quel percorso che, a partire dagli anni Novanta, ha condotto all'elaborazione del concetto di coordinamento fiscale. L'armonizzazione che si è così voluta per l'imposizione diretta non è mai stata né di unificazione né di adeguamento a un tipo comune, bensì di convergenza volta a eliminare le distorsioni più rilevanti. Il concetto di armonizzazione utilizzato in materia di imposizione diretta tende poi inevitabilmente ad affievolirsi in quello di ravvicinamento di cui all'articolo 115 TFUE e di coordinamento; questi ultimi due principi costituiscono forme di integrazione maggiormente rispondenti ai principi di necessità e sussidiarietà, rispetto alla nozione stessa di armonizzazione.405

404MARCHESSOU 2010, p. 595, il quale afferma che l'articolo 293 TCE «poneva a carico degli Stati l’obbligo di negoziare convenzioni per eliminare la doppia imposizione nel campo delle imposte dirette. La Corte di Giustizia, nella sentenza resa nel caso Gilly, e il defunto Avvocato Generale Ruiz-Jarabo avevano posto limiti ben precisi a questa disposizione. Constatando che gli Stati non ne avevano mai fatto uso, la Corte notava che tale disposizione poneva in capo agli Stati solo un’obbligazione di mezzi, che era priva di effetti diretti e che tale situazione non poteva condurre a cancellare con un colpo di spugna il sistema esistente delle convenzioni contro le doppie imposizioni ispirate al modello OCSE. L’abrogazione della sola disposizione del Trattato direttamente relativa alle imposte dirette non può dunque apparire come una regressione.».

405MELIS-PERSIANI 2013, p. 267; SAPONARO 2002, in materia di armonizzazione e di ravvicinamento delle legislazioni fiscali, a pp. 1039, 1040 e 1041, afferma che «la dottrina ha ampiamente discusso sul significato da attribuire a tali concetti pur non approdando, in verità, ad una conclusione comune. In ogni caso, sembra venga esclusa da tutti l'ipotesi di una loro assimilazione al concetto di unificazione, che presupporrebbe una sorta di uniformazione testuale di ogni norma legislativa od amministrativa regolante un'imposta o un sistema tributario. In senso strettamente giuridico “armonizzazione, come armonia, significa essenzialmente un rapporto tra entità diverse, tra norme o gruppi di norme”, o “l'identificazione dei punti di partenza e la determinazione del rapporto in cui i vari gruppi di norme, appartenenti ai vari ordinamenti giuridici, devono trovarsi”. Nel contesto storico del Trattato “l'armonia” giuridico-fiscale richiesta era quella di assicurare l'eliminazione delle sole distorsioni fiscali ritenute di ostacolo alla realizzazione di un mercato di libera concorrenza. Tale obiettivo doveva essere perseguito, fondamentalmente, attraverso una tecnica giuridica che permettesse di rendere più somigliante la struttura normativa di quei tributi che incidevano più di altri sugli scambi (le imposte indirette) e che favorisse, in ogni caso, un ravvicinamento di quelle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative incidenti direttamente sul mercato comune. In tale ottica, considerata l'obiettiva strumentalità della convergenza fiscale comunitaria, è indubbio che l'attribuzione di significati giuridici diversi ai concetti di armonizzazione e di ravvicinamento fiscale, costituisca una mera forzatura teorica, intendendosi entrambi come procedimenti, strumenti, tecniche giuridiche capaci di rendere le normative impositive funzionali agli scopi del Trattato, senza tuttavia comportarne l'uniformazione testuale.».

La politica fiscale dell'Unione può quindi risolversi anche in divieti e poteri per mezzo dei quali condizionare le legislazioni tributarie nazionali pure in quelle materie che non sono oggetto di armonizzazione a carattere generale. Anche nel caso in cui i tributi non siano istituiti dall'Unione e pertanto imposti agli Stati membri, si assiste alla presenza di una politica fiscale europea caratterizzata per la propria funzione essenzialmente limitativa delle politiche tributarie degli Stati membri.406 I valori che così emergono da parte degli organi

comunitari si caratterizzano per la loro extrafiscalità, poiché derivano essenzialmente dai principi di non discriminazione e di proporzionalità, dalla tutela delle libertà fondamentali, dai criteri di sussidiarietà e di attribuzione, nonché dalla tutela della concorrenza e dalla parità di condizioni per le imprese. In tal modo si assiste a una difesa dei valori dei Trattati e non tanto alla realizzazione di una ulteriore e distinta volontà politica: si tratta, al massimo, di decisioni che hanno come oggetto indiretto la fiscalità ma che di quest'ultima tengono conto in funzione di altri interessi; in altre parole, il tributo non è lo scopo e nemmeno l'oggetto diretto dell'azione europea, bensì lo strumento con il quale gli Stati membri potrebbero alterare il mercato tutelato a livello dell'Unione.407

406BASILAVECCHIA 2009 b, p. 361, riconosce che «il trascorrere del tempo, la sempre maggiore ambizione politica del progetto di Unione europea, la crescente consapevolezza della necessità di un più ampio governo dei tributi anche in un'ottica comunitaria, soprattutto per l'omogeneità imprescindibile nell'area dell'Eurogruppo, dopo l'adozione di una moneta unica europea, fanno sì che si ponga prepotentemente all'attenzione degli studiosi la formazione, sia pure frammentaria, di una politica fiscale che può essere definita tale non con riguardo alla modesta fascia di entrate proprie del bilancio comunitario, ma come creazione di un benchmark dotato di attitudine conformativa dei singoli ordinamenti tributari (sotto il profilo giuridico) e delle politiche fiscali (in senso più marcatamente economico, dunque attinente essenzialmente al gettito e alla sua ripartizione) degli Stati membri. […] emerge, sia pure con discontinuità, la possibilità di ravvisare un'integrazione positiva, nella quale il ruolo delle istituzioni comunitarie non è più soltanto quello