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Tentativi di autonomia in Italia e la legge di coordinamento (segue)

Il modello di riparto dei livelli del governo della finanzia pubblica italiana rientra, analogamente a quanto indicato per Belgio e Spagna, tra quelli cooperativi a struttura c.d. aperta. Tuttavia è stato rilevato che nonostante i rinvii all'operato del legislatore ordinario per la concreta disciplina del riparto finanziario e della perequazione, la Costituzione fa emergere delle indicazioni forti, quali l'esplicitazione dell'autonomia finanziaria di entrata e di spesa in capo agli enti sub-statali che configura un'equiordinazione finanziaria tra i livelli di governo, nel rispetto del rispettivo ruolo istituzionale e delle competenze di ciascuno, nonché l'istituzione di un fondo perequativo senza vincoli di destinazione che integra l'autonomia finanziaria e politica dei vari livelli di governo.320

Quanto alla struttura del sistema fiscale e finanziario che emerge dalla Costituzione si deve affermare innanzitutto che lo Stato ha legislazione esclusiva limitatamente al sistema tributario e contabile statale ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lettera e). La materia

319 MENDELLA 2005, pp. 199 e 200. 320 COVINO 2005, pp. 12 e 13.

del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario è, invece, oggetto di legislazione concorrente così come previsto dall'articolo 117, comma terzo: la determinazione avviene a livello regionale, ma la formulazione dei principi fondamentali su cui ergere la disciplina positiva deve essere indicata dallo Stato.321 Le Regioni hanno, ai sensi dell'articolo

117, comma quarto, potestà legislativa residuale su tutte le materie non esplicitamente citate ai commi secondo e terzo tra cui, in campo fiscale, la disciplina dei tributi regionali e locali. Il sistema tributario degli enti sub-statali quindi potrebbe essere considerato, per le materie di loro competenza esclusiva, una struttura indipendente e separata da quello dello Stato: si manifesterebbe così una potestà legislativa esclusiva, anche se non assoluta, in quanto rimarrebbero vincolanti i limiti posti dalla Costituzione e dai principi del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.322

L’ordinamento tributario risultante dalla Riforma del Titolo V è caratterizzato da un’intrinseca polisitematicità che, per essere effettivamente coerente con la Costituzione, dovrebbe essere strutturato su tre gradi. In primo luogo dovrebbe sussistere un sistema erariale riservato alla potestà legislativa dello Stato; secondariamente dovrebbe esservi un sistema tributario regionale su cui, fatti salvi i principi fondamentali di determinazione statale, avrebbe influenza solamente la Regione; e, infine, un ambito comunale e provinciale che dovrebbe dipendere dallo Stato, per quanto riguarda i citati principi fondamentali del coordinamento, dalla Regione, per la determinazione dei profili essenziali dell’imposizione non attribuibile all’autonomia locale in virtù della riserva relativa di legge di cui all’articolo 23 della Costituzione,323 e dai propri regolamenti, per la determinazione di tutto ciò che non deve

essere previsto ai livelli superiori.324

Il nuovo articolo 119 inoltre ridisegna un modello finanziario per Regioni, Province, Comuni

321 Non è mancato chi ha avanzato delle perplessità relativamente alla nuova disposizione poiché non risulta soddisfacente «l’ampiezza della potestà normativa di coordinamento, riservata sostanzialmente alle Regioni, salvo che per i principi fondamentali. Il comma 3 dell’art. 117 fa infatti riferimento al sistema tributario tout court sicché non è chiaro se il coordinamento in questione (riservato alle Regioni salvi i principi fondamentali) riguardi il sistema tributario generale (cioè statale, regionale e locale) ovvero solo quello regionale e locale»; PERRONE 2004, p. 1177.

322 PEREZ 2007, p. 54.

323 Secondo PEREZ 2007, p. 54, in base alle attuali previsioni costituzionali «si possono superare anche i limiti derivanti dall’art. 23 della Costituzione ove lo si coordini con l’art. 114. Infatti, in coerenza con quest’ultimo, le Regioni nelle materie di loro competenza esclusiva (che, si ripete, sono tutte quelle non indicate nei commi 2 e 3 dell’art. 117), non sono subalterne allo Stato e, alla pari dello Stato, possono stabilire ed applicare tributi ed entrate propri».

e Città metropolitane potenzialmente in grado di incrementare una loro autonomia, la quale esplica al meglio la propria funzione se la si considera quale fonte di risorse per far sì che quegli enti pubblici svolgano pienamente i propri compiti amministrativi.325 Il primo comma

della norma, prescrivendo che gli enti sub-statali hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, imposta il problema della finanza locale sotto un punto di vista che rimanda a modelli federali di organizzazione. Questa pronuncia di principio però deve essere letta congiuntamente al resto dell’articolo 119 poiché in sé rappresenta una mera descrizione astratta di un modello che, per poter ottenere una concreta realizzazione, dovrà essere disciplinato nel dettaglio. Si prevede, difatti, che ai vari livelli di governo debba essere garantita l’indipendenza tributaria e finanziaria e, perché ciò possa rendersi effettivo, la Carta fondamentale indica successivamente quali dovranno essere le fonti di finanziamento degli enti più appropriate a coprire le spese derivanti dalle loro funzioni pubbliche.

Il comma secondo dell’articolo 119 prevede che Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni hanno risorse autonome, le quali si distinguono in due categorie: da un lato, tributi ed entrate propri stabiliti e applicati dagli enti in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e, dall’altro, compartecipazioni al gettito derivante da tributi dello Stato inerente al territorio di riferimento. Queste fonti di finanziamento, assieme al fondo perequativo senza vincoli di destinazione attribuibile alle zone con minor capacità fiscale per abitante di cui al comma terzo, devono coprire integralmente le funzioni pubbliche attribuite agli enti sub-statali così come previsto al comma quarto.

Al comma quinto il legislatore costituzionale prevede poi che lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali nei confronti di certi enti al fine di incentivarne lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale; inoltre tali trasferimenti sono contemplati per rimuovere i disequilibri economici e sociali nonché per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona oppure per provvedere a scopi che non siano il normale esercizio dei compiti degli enti. L’ultimo comma dell’articolo 119 prevede infine che, con legge dello Stato, si determino i principi generali per attribuire un patrimonio a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Questi ultimi poi potranno ricorrere all’indebitamento solo per coprire gli investimenti e, in ogni caso, sarà loro preclusa qualsiasi

garanzia da parte dello Stato per i prestiti contratti.

A fronte di una proclamata ed eguale autonomia di entrata e di spesa per tutti gli organi costituenti la Repubblica, di fatto bisogna costatare una differenziazione intrinseca alla stessa struttura proposta dalla Carta fondamentale: le Regioni infatti sono gli unici enti sub-statali dotati di potestà legislativa ai sensi dell’articolo 117. L’articolo 23 della Costituzione, però, prevede che la possibilità di imporre prestazioni personali o patrimoniali possa avvenire solamente in base a una legge, la quale non potrà essere emanata dagli Enti locali i quali, di conseguenza, potranno esercitare in autonomia i propri programmi di entrata e di spesa solo nei limiti e secondo le determinazioni della succitata legge. Questa, alla luce della divisione delle competenze emergenti dall’articolo 117, dovrebbe essere quella regionale, salvo la determinazione dei principi fondamentali del coordinamento riservati allo Stato, al fine di garantire un corretto procedimento nella gestione delle materie di legislazione concorrente. In tale prospettiva è possibile ricavare tre interpretazioni relative all’articolo 23 della Costituzione. Si potrebbe ritenere, innanzitutto, che la riserva concerna solamente la legge dello Stato, per cui i livelli decentrati di governo si troverebbero ancora una volta unicamente condizionati da un’impostazione centralista e monolitica. Altrimenti, si potrebbe considerare che la legge da valutare ai fini del rispetto della previsione di cui all’articolo 23 debba essere quella di produzione regionale. Oppure, infine, si potrebbe immaginare una generale legge statale che consenta un completamento più specifico ad opera del legislatore regionale, operando in questo modo un’attuazione ampia ed elastica della riserva di legge relativa. Anche in questo caso però si verificherebbe un ritorno ad una struttura verticale dell’esercizio della riserva di legge perché vi sarebbe una disposizione costituzionale, quale l'articolo 23, cui segue una legge statale che attua la riserva, sulla base della quale la Regione, e a questo punto anche il Comune, può esercitare il proprio potere impositivo. Inoltre, seguendo questa ipotesi, l’attribuzione della potestà legislativa della Regione resterebbe, sotto il profilo dell’autonomia finanziaria, priva di significato.326 La prima e l’ultima interpretazione devono considerarsi,

alla luce della novella del 2001, inidonee poiché l’articolo 114 equipara lo Stato agli altri enti formanti la Repubblica mentre il 117 pone sullo stesso piano legislatore regionale e statale, disponendo anzi una differenziazione per materie che sembra privilegiare, in campo tributario, l’intervento delle Regioni rispetto a quello dello Stato. Sarà quindi opportuno preferire la

seconda interpretazione che affida al legislatore regionale il compito di soddisfare la riserva di legge relativa per quanto riguarda la fiscalità locale: Comuni, Province e Città metropolitane, secondo un’astratta interpretazione delle prescrizioni della Carta fondamentale, devono trovare nella legge delle Regioni la disciplina di base su cui sviluppare legittimamente la propria autonomia finanziaria.

Ripetendo parzialmente quanto affermato precedentemente occorre rilevare una prima differenza tra il sistema fiscale delle Regioni a statuto ordinario e quello delle Regioni a statuto speciale. La Corte Costituzionale, nella sua attività interpretativa, ha fornito elementi per individuare i principali tratti di tale distinzione.

Quanto alle Regioni a statuto ordinario è necessario distinguere tra tributi propri e tributi

impropri, che costituiscono la base del sistema emergente dal combinato degli articoli 117 e

119 della Costituzione. Quanto alla seconda categoria di tributi, è stato rilevato che tutti quei tributi denominati regionali, riscossi nel territorio, il cui gettito è attribuito all'ente sub-statale ma che sono stati istituiti con legge dello Stato anteriormente alla Riforma del 2001, non è possibile categorizzarli quali tributi regionali propri nella medesima accezione proposta dalla Costituzione novellata, pertanto non possono essere modificati da una legge regionale. L'istituzione di nuovi tributi, o la modifica di quelli esistenti, può avvenire ad opera del legislatore regionale esclusivamente nel rispetto dei principi del coordinamento col sistema tributario statale, i quali, a loro volta, non possono essere ricavati dalla Regione da norme già esistenti ma devono essere preliminarmente definiti dal legislatore statale, così come più volte affermato. Diversa dovrebbe apparire la categoria dei tributi propri, i quali si identificano nell'avere presupposti diversi da quelli propri di tributi statali preesistenti, nonché nell'avere natura paracommutativa. Solo rispetto a queste fattispecie tributarie, che nella pratica si risolvono in ipotesi decisamente limitate, sussisterebbe il potere esclusivo delle Regioni di autonomia tributaria suscettibile di esplicarsi in assenza di una legge statale di coordinamento. Quest'ultima tipologia di tributi dovrebbe comunque rispettare taluni principi, quali l'armonia con la Costituzione e quelli propri dell'ordinamento incorporati nel sistema tributario statale. Per comprendere a fondo la distinzione tra la fiscalità delle Regioni a statuto ordinario e di quella delle Regioni a statuto speciale, così come immaginata dalla Riforma del 2001, occorre distinguere i principi del sistema tributario statale dai principi fondamentali di coordinamento

del sistema tributario nel suo complesso. Essi assolvono alla medesima funzione di coordinamento della fiscalità dei vari livelli di governo, ma derivano e si comportano in modo differente. I principi del sistema tributario statale necessitano di una previa apposita legge statale di coordinamento che li codifichi, pena lo stallo del sistema. I principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario nel suo complesso, invece, richiedono solamente che il singolo ente sub-statale, nell'istituire i propri tributi, valuti autonomamente la coerenza del proprio sistema con quello statale e, conseguentemente, conformi le proprie fattispecie agli elementi essenziali del sistema statale.

Tale ultima fattispecie, che per le Regioni a statuto ordinario può riguardare esclusivamente i tributi propri, è invece regola generale per le Regioni a statuto speciale, coinvolgente qualsiasi tributo esse vogliano istituire. Questi ultimi enti sub-statali quindi non dovrebbero attendere la legge statale di coordinamento per legiferare in materia tributaria, dal momento che è sufficiente che essi si mantengano in armonia con i principi del sistema tributario statale. La motivazione di questo duplice modello è determinata dal fatto che le modifiche apportate alla Costituzione nel 2001 non possono avere l'effetto di restringere l'autonomia già spettante alle Regioni a statuto speciale, le quali dovrebbero rispettare vincoli meno stringenti di quelli dettati per le Regioni a statuto ordinario. In realtà la distinzione appare più apparente che reale, dal momento che le iniziative tributarie delle Regioni a statuto speciale sono state sottoposte a vincoli non meno stringenti e numerosi rispetto a quelli che si sarebbero andati a concretizzare nella futura legge statale di coordinamento necessaria per la coerente realizzazione della fiscalità delle Regioni a statuto ordinario.

Alla luce di tale interpretazione giurisprudenziale in merito al nuovo dettato costituzionale, si è inserita, come precedentemente indicato, la tanto attesa legge statale di coordinamento, la legge delega n. 42/2009, con i relativi strumenti di attuazione che, per quanto riguarda la fiscalità regionale si sono sostanziati nel decreto legislativo n. 68/2011. Nonostante le previsioni della legge delega e del relativo decreto legislativo, il quadro della fiscalità regionale non appare mutato rispetto all'assetto precedente. Le entrate tributarie delle Regioni a statuto ordinario sono costituite principalmente dal gettito dell'IRAP, dell'addizionale all'IRPEF, dalla tassa automobilistica e dalla compartecipazione alle accise sulla benzina, dall'addizionale sulle accise sul gas naturale, dal tributo speciale per il deposito in discarica

dei rifiuti solidi, dalla tassa regionale per il diritto allo studio universitario e dalla compartecipazione all'IVA versata dai consumatori finali nel proprio territorio. La fiscalità regionale ordinaria continua ad essere determinata da tributi regionali impropri in quanto gli enti sub-statali non hanno in materia poteri di manovra rilevanti. Quanto alle Regioni a statuto speciale, così come per le Province autonome di Trento e di Bolzano, l'ordinamento finanziario continua ad essere disciplinato dai rispettivi statuti. Questi ultimi, che hanno forma di legge costituzionale, stabiliscono ambiti e limiti della potestà impositiva, tributaria, finanziaria e contabile, elencano i tributi erariali il cui gettito è devoluto in tutto o in parte alla Regione, attribuiscono a quest'ultima la potestà legislativa e amministrativa sull'ordinamento finanziario degli Enti locali del rispettivo territorio. Con la legge delega n. 42/2009 intervengono modifiche all'ordinamento finanziario delle Regioni a statuto speciale che hanno riguardato l'attuazione dei principi del federalismo fiscale. Il connotato più forte dell'autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome continua a essere rappresentato dalle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Ogni statuto elenca le imposte erariali delle quali una quota percentuale è attribuita alla Regione, le aliquote eventualmente differenziate per ciascun tipo di imposta, la base di computo, le modalità di attribuzione, mentre talune specificazioni di dettaglio sono rimesse poi alle norme di attuazione. Occorre ricordare anche in questo caso che le compartecipazioni possono essere considerate tributi propri regionali solo ai fini della destinazione del gettito, mentre non lo sono per le restante parte della disciplina, come per quanto riguarda istituzione, soggetti passivi, base imponibile, sanzioni e contenzioso.

Dalla breve analisi della concreta attuazione della fiscalità regionale, sia ordinaria sia speciale, emerge che, nonostante la novella costituzionale e la sua realizzazione mediante la legge statale del coordinamento con i relativi strumenti delegati, è quasi inesistente per il legislatore regionale ottenere un autentico potere in materia di tributi propri. Soffrono della medesima, se non peggiore, limitazione gli altri enti sub-statali, quali gli Enti locali. Essi infatti non solo devono sottostare ai limiti determinati dal sistema in generale, così come precedentemente esposto, ma non possono nemmeno dirsi titolari di un vero e proprio potere impositivo dal momento che solo lo Stato e le regioni hanno potestà impositiva.

Analizzando più nel dettaglio le fonti del finanziamento delle autonomie locali si nota che, nello stabilire e applicare tributi ed entrate propri, esse devono muoversi in armonia con la

Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Per quanto riguarda la previsione relativa alle entrate non tributarie proprie non sorgono particolari problemi dal momento che queste non devono rispettare la riserva di legge concernente le prestazioni imposte, essendo esse costituite sia dall’ammontare finanziario derivante dalla gestione del patrimonio, sia dall’offerta di servizi alla collettività, sia dall’emissione di buoni ordinari dei Comuni o delle Regioni attivabili esclusivamente per finanziare spese di investimento.327 I tributi propri invece devono rispettare i limiti

costituzionali previsti all’articolo 23, per cui gli Enti locali dovranno sempre far riferimento a una legge regionale nella concreta composizione dell’autonomia finanziaria; essi hanno, infatti, in campo tributario, una semplice potestà regolamentare tesa a disciplinare non tanto le basi imponibili quanto le aliquote dei tributi, le esenzioni e le agevolazioni.328

Come anticipato per quanto riguarda l'analisi della fiscalità regionale, nella determinazione delle caratteristiche della categoria dei tributi propri, importanza fondamentale ha assunto la giurisprudenza della Corte Costituzionale. Secondo le molte sentenze che si sono susseguite dal 2003 non sono da considerare tali quelli il cui gettito è attribuito agli enti sub-statali ma la cui imposizione avviene a livello centrale, in quanto essi sono classificabili quali tributi propri

derivati. Sono invece definibili tributi propri propri solo quelli disciplinati localmente ma

istituiti, per quanto riguarda gli elementi essenziali, attraverso legge regionale, la quale, a sua volta, deve muoversi nei limiti dei principi del coordinamento determinati dallo Stato; ciò avviene a prescindere dalla destinazione del ricavato e dalla devoluzione alle autonomie di parte della disciplina della potestà legislativa. La nozione di tributo proprio immaginata dalla Corte Costituzionale predilige l’aspetto formale rispetto a quello sostanziale, poiché il concetto non dipende da quale tipologia di ente percepisce e gestisce l’entrata ma dal tipo di strumento normativo istitutivo.329

Tra le fonti di finanziamento autonome riconosciute dall'articolo 119 della Costituzione possono essere annoverate le compartecipazioni, che devono essere ben differenziate dalla categoria dei tributi propri. Va, infatti, considerato che le imposte che nascono statali rimangono tali: le compartecipazioni locali e regionali rimangono quote di tributi erariali,330 la 327 PEREZ 2003, p. 667.

328 D’AURO 2008, p. 7700. 329 AMATUCCI 2010, p. 16. 330 PEREZ 2007, p. 54.

cui caratterizzazione verso un’ottica autonomista deriva soltanto dal loro collegamento al territorio di riferimento dell’ente percepente il ricavato e non dalla loro essenza strutturale. Queste fonti di finanziamento non possono essere considerate entrate proprie in senso stretto perché la loro determinazione è decisa dallo Stato.331 La Costituzione inserisce le

compartecipazioni tra le risorse autonome perché si instaura un collegamento tra ammontare del gettito, di cui hanno diritto in misura percentuale le amministrazioni pubbliche decentrate rispetto al tributo erariale, e il territorio di riferimento. Seppur la determinazione avvenga a livello statale, la concreta percezione delle risorse da parte dell’ente gode di un forte raccordo con la collettività finanziante. Le compartecipazioni quindi non sono somme che alimentano fondi ripartiti in base a criteri perequativi, ma sono da considerarsi un vero e proprio gettito riscosso sul territorio.332

Il comma terzo dell’articolo 119 prevede poi che lo Stato debba istituire un fondo perequativo avente la finalità di coadiuvare i territori con minore capacità fiscale per abitante e che, nel fare questo, non ponga vincoli di destinazione al bilancio dell’ente percepente. Questo correttivo a un modello disegnato in senso federale si rende necessario in quanto potrebbero coesistere territori maggiormente dotati dal punto di vista demografico, geografico, sociale e produttivo, i quali conseguentemente avranno una capacità fiscale per abitante più alta rispetto ad altri. Essi infatti saranno capaci di far fronte alle proprie funzioni mediante l’utilizzo preminente di risorse autonome. Al contrario si deve riconoscere la presenza di zone meno forti dal punto di vista fiscale che, in ogni caso, devono poter garantire le prestazioni obbligatorie ai propri cittadini, dato che è necessario assicurare pari opportunità alle varie collettività indipendentemente dal territorio di residenza. È quindi affidato al fondo