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L'analisi dello sviluppo che si è verificato nelle esperienze europee poste a confronto, lungi dall'essere una superflua esposizione diacronica di avvenimenti, è un punto di partenza irrinunciabile per comprendere gli assetti contemporanei. La volontà di vari ordinamenti infatti era nel senso dell'attuazione del principio di sussidiarietà nella ripartizione delle

funzioni pubbliche e verso la realizzazione di un corrispondente grado di autonomia finanziaria e tributaria degli enti territoriali.

Non si deve dimenticare che Belgio, Spagna e Italia sono realtà con forti tendenze centripete, almeno dal punto di vista culturale e politico, quindi, sicuramente per i primi due e in modo più sottile per il terzo, la decisione in merito ai rapporti tra vari livelli di governo, sia per quanto riguarda la devoluzione delle funzioni amministrative sia per quanto riguarda il reperimento delle relative risorse, deve tenere in considerazione il pericolo di una disgregazione dell'ordinamento stesso. Alla luce di questo devono essere letti gli sforzi effettuati nei decenni per coordinare l'unità dello Stato di fronte a una sempre maggiormente sentita necessità di decentrare compiti amministrativi e potere tributario. Ciascun paese si è subito trovato a dover regolare la distribuzione delle competenze pubbliche su livelli istituzionali altri rispetto allo Stato centrale: le Comunità e le Regioni belghe, le Comunità autonome di diritto comune e di diritto forale spagnole e le Regioni italiane a statuto ordinario e a statuto speciale, oltre alla costante presenza di varie tipologie di enti locali minori. Il processo cui si è assistito in tutti e tre gli ordinamenti è caratterizzato da un'espansione delle competenze amministrative attribuite agli enti territoriali, accompagnata dal tentativo non sempre soddisfatto, di dotare i medesimi di proprie competenze tributarie, il tutto non dimenticando la necessità di frenare un'eccessiva disgregazione istituzionale, tale da poter mettere in pericolo l'unità e l'esistenza di un unico Stato.

L'evoluzione nel senso di un decentramento finanziario e fiscale, in tutti e tre gli Stati, è principiata da un modello nel quale la finanza locale era strettamente connessa e dipendente dal quella centrale, mediante lo strumento dei trasferimenti indiscriminati di risorse dal centro alla periferia decise ed effettuate dallo Stato centrale senza un'effettiva influenza degli enti territoriali. Nel tempo si assiste a un costante tentativo di attribuire a vari livelli di governo della finanza pubblica sempre maggiori competenze in campo tributario; da un lato, si consente loro di partecipare alle entrate statali in ragione del principio di territorialità, mentre, dall'altro lato, si cerca di realizzare una vera e propria autonomia tributaria mediante l'attribuzione, o meglio dell'esplicazione, della facoltà di regolare e istituire tributi propri all'interno del proprio territorio, già garantita nelle rispettive Costituzioni.

Se in tutti gli ordinamenti può dirsi effettiva l'attribuzione di molte e importanti funzioni amministrative agli enti territoriali, non altrettanto può concludersi per quanto riguarda la

devoluzione di una effettiva competenza tributaria. Come si è anticipato però una vera e propria autonomia decisionale politica deve passare dall'indipendenza sulle scelte sia delle spese sia, e forse soprattutto, delle entrate. In tutte e tre le esperienze europee analizzate permane, invece, una forte influenza del livello centrale di governo su quelli inferiori, provocando così insoddisfazioni dal punto di vista operativo e da quell'indagine scientifica. La maggior parte delle risorse per gli enti territoriali infatti deriva ancora da scelte sostanzialmente statali, poiché il livello centrale di governo ha generalmente la facoltà non solo di regolare il quadro tributario generale ma anche di definire, in ultima analisi, i rapporti tra il proprio sistema e quello degli enti territoriali. In questo modo, e nonostante il fine ultimo comune che ha ispirato i vari processi, nessun ordinamento dei paesi analizzati ha avuta la forza di realizzare un decentramento completo e, in un qualche modo, coerente con le premesse costituzionali.

La ragione di ciò può essere riscontrata soprattutto nel fatto che Belgio, Spagna e Italia rientrano nella categoria della finanza funzionale di tipo aperto e, pertanto, all'interno delle varie Carte fondamentali si trovano solamente indicazioni di principio relativamente ai temi dell'autonomia finanziaria e della perequazione, poiché si rinvia a una legge, ordinaria o rafforzata ma non costituzionale, per la determinazione in concreto delle regole su cui si basano i rapporti tra centro e periferia. In questo modo è lasciata al legislatore ordinario la discrezionalità in merito alle concrete modalità con cui si esplica il modello di riparto. Per quanto cioè la Costituzione inserisca principi nel senso di una maggiore autonomia di entrata e di spesa degli enti sub-statali, è il legislatore ordinario che deve decidere la concreta loro attuazione e, quindi, dimostrare, o non dimostrare, un certo grado di coraggio nel portare alle estreme conseguenze i criteri affermati nelle Costituzione. L'approdo attuale, in tutti i paesi anche se con diversa intensità, sottolinea quanto timidi siano stati gli interventi legislativi che dovevano modellare operativamente i vari sistemi tributari.

Fondamentale nella concreta realizzazione della struttura attuale degli ordinamenti è stata la permeante opera di interpretazione delle Corti costituzionali dei vari paesi, che, nel confronto delle disposizioni normative con la Costituzioni, ha assunto un ruolo quasi legislativo. Le pronunce che si sono espresse sul rapporto tra i vari livelli di governo hanno fornito indicazioni che sono state in grado di influenzare il legislatore nelle successive scelte oppure che hanno imposto determinate caratteristiche all'ordinamento. Se da un lato le disposizioni

costituzionali potevano lasciare adito a varie interpretazioni e a diverse concretizzazioni dei modelli finanziari e fiscali e se, dall'altro lato, la legge ordinaria non ha portato alle estreme conseguenze la scelta costituzionale e dell'ordinamento in generale, nel mezzo si inseriscono le Corti costituzionali. Esse infatti si sono espresse per lo più limitando le facoltà di intervento degli enti territoriali a fronte delle competenze statali, scegliendo anch'esse una lettura timida del dato costituzionale. Se poi si considera che le dette pronunce sono state sia fonte per successive riforme, sia metro sulla base del quale considerare l'ordinamento stesso, si capisce come l'opera giurisprudenziale abbia raggiunto un ruolo fondamentale, persino analogo a quello del legislatore.

In conclusione si deve constatare come quella che doveva essere una evoluzione verso la creazione di sistema decentrato a livello non solo amministrativo, ma anche finanziario e fiscale, ha soddisfatto solo relativamente le aspettative in tutti gli Stati oggetto di studio. Non si può pertanto non rilevare un parallelismo nelle esperienze di Belgio, Spagna e Italia che, non a caso, fanno tutti parte del tipo di finanza strutturale di tipo debole.

Oltre all'analisi comparata delle evoluzioni dei vari ordinamenti dei paesi posti a confronto, si è reso fondamentale analizzare in via preliminare i diversi modelli di riparto delle competenze tra livelli di governo della cosa pubblica. Se i livelli di governo della finanza pubblica dialogano in un certo modo a seconda della scelta costituzionale, se Belgio, Spagna e Italia hanno immaginato strutture di finanza funzionale di tipo aperto, se in base a tale modello non può essere la Costituzione bensì la legge a modellare in concreto l'ordinamento finanziario e fiscale, se in Stati composti da più centri di potere, anche legislativo, vi sono criteri di coordinamento senza i quali si creerebbe un'inimmaginabile confusione istituzionale, allora è necessario studiare quali sono le regole, in generale, che disciplinano i rapporti tra Stato centrale ed enti sub-statali.

Nella comparazione tra i vari sistemi istituzionali messi a confronto si possono riscontrare sì elementi di similitudine, ma anche qualcuno di discontinuità. Nelle Carte fondamentali di Belgio, Spagna e Italia infatti sono elencate le materie di competenza dell'uno piuttosto che dell'altro livello di governo, prevedendo poi clausole residuali tali per cui le funzioni non specificate nella lettera si devono considerare come attribuite a un dato livello istituzionale. In Stati polistrutturati, ispirati al criterio del riparto delle competenze, ciascun livello di governo dovrebbe essere univocamente competente per certe funzioni, così che si possa creare

un modello sistematicamente ordinato. Si sono tuttavia riscontrati dei casi in cui si verifica una sorta di sovrapposizione nella disciplina di certe funzioni tra i livelli: in alcuni casi questa compresenza è espressamente prevista e regolata dalla Costituzione, mentre in altri il fenomeno patologicamente inteso ha assunto caratteri fisiologici grazie all'interpretazione fornita dalla Corte suprema. Il dato costituzionale viene così elaborato e fin anche quasi modificato dalla giurisprudenza che, come in altri casi, assume ruolo fondamentale nella formazione del sistema. La struttura, così come ne esce, fa si che la ripartizione delle competenze possa assumere caratteristiche elastiche o incerte ed è partendo da tale contesto che devono essere analizzate le competenze fiscali degli enti territoriali di fonte allo Stato. Dall'analisi comparata delle competenze tributarie degli enti territoriali negli Stati oggetto della presente indagine è possibile riscontrare una sostanziale contraddizione tra l'affermazione costituzionale dell'autonomia finanziaria e fiscale e l'effettiva composizione dell'ordinamento tributario ivi esistente. In tutte le Carte fondamentali infatti sono presenti norme che proclamano l'autonomia di entrata e di spesa dei livelli inferiori di governo, arrivando in alcuni casi a prevedere perfino la tipologia di strumento per mezzo del quale ottenere il reperimento delle risorse. Come più volte affermato, però, la concreta modulazione della tassonomia e del funzionamento del sistema tributario è demandato alla legge; pertanto nell'esplicazione delle premesse costituzionali si assiste a una lettura limitativa di detta autonomia.

Innanzitutto si evidenzia la costante presenza del principio della riserva di legge in campo tributario, il quale, se da un lato è garanzia di rappresentatività nella scelta fiscale, finanziaria e, in ultima analisi, amministrativa dell'ente, dall'altro lato inibisce fortemente la tendenza verso il decentramento. Emerge infatti con evidenza che solamente gli enti territoriali aventi potestà legislativa, quali le Regioni italiane e belghe, le Comunità autonome spagnole e le Comunità belghe, possono disciplinare i tributi effettivamente e al pari dello Stato centrale. Si constata infatti che in tutti i Paesi oggetto di studio gli Enti locali, quali Comuni, Province, Città metropolitane, Enti locali sovramunicipali e inframunicipali, non hanno una vera e propria potestà impositiva mediante la quale possano disciplinare autonomamente gli elementi fondamentali della fattispecie tributaria. Detti enti inoltre si trovano costantemente sottoposti ai controlli legislativi e amministrativi dei livelli superiori di governo, sia che si tratti dell'ambito statale sia di quello regionale.

Inoltre, e al di là dell'evidente incapacità degli Enti territoriali minori di ottenere una vera e propria autonomia, numerose limitazioni si riscontrano anche per quanto riguarda il livello, per così dire, intermedio, rappresentato da Regioni e Comunità. Anche queste ultime, così come i precedenti, nell'esercizio della propria autonomia tributaria e finanziaria devono sottostare a limiti derivanti sia dalla legge sia dall'interpretazione giurisprudenziale. Già le Costituzioni infatti spesso contengono, più o meno espressamente, norme che giustificano un permeante intervento statale all'interno della formulazione del sistema tributario autonomo, poiché si ritiene in ogni caso che il sistema nel suo complesso sia di competenza dello Stato centrale; quest'ultimo quindi, oltre a poter intervenire sulle fattispecie ad esso riferibili, può inibire le spinte verso il decentramento dei livelli inferiori di governo.

Il principio del ne bis in idem, anch'esso presente in tutti gli Stati analizzati nel presente elaborato anche se denominato in vari modi, forse più di qualsiasi altro elemento comporta una svalutazione dell'autonomia fiscale e tributaria. Gli enti territoriali, in base a questo criterio, non possono attuare l'imposizione su fatti imponibili già coperti da tributi dello Stato. Tuttavia, poiché lo Stato centrale in ciascun Paese, ha già coperto gran parte dei presupposti, è difficile per gli altri livelli di governo trovare spazi di manovra plausibili. Occorre però sottolineare che, mentre in Italia non è stata immaginata alcuna sovrapposizione, le Corti Costituzionali spagnola e belga hanno ammesso una seppur limitata duplicazione. Inoltre, legato a quest'ultimo, il principio della territorialità, influente sia sulle relazioni verticali degli enti sia su quelle orizzontali, comporta un ulteriore limitazione alla libertà degli stessi di immaginare prelievi autonomi. Questi e i molti altri principi che si sono analizzati nella precedente trattazione, i quali regolano la disciplina del regime tributario centrale e locale, nonché della loro relazione, comportano di fatto una permanente predominanza dello Stato a discapito degli enti sub-statali. Le premesse costituzionali quindi, in tutti gli Stati, anche se in misura diversa, non possono dirsi completamente soddisfatte. Anzi, si deve riscontrare che, in generale, l'autonomia così come proclamata nelle Carte fondamentali e quale obiettivo dello sviluppo anche normativo degli ordinamenti non può dirsi sufficientemente raggiunta.

Dall'analisi comparata delle competenze tributarie degli enti sub-statali negli Stati oggetto della presente indagine è possibile riscontrare una sostanziale contraddizione tra il modello costituzionale con la propria affermazione di autonomia finanziaria e fiscale e il modello dell'effettiva composizione dell'ordinamento tributario ivi esistente. In tutte le Carte

fondamentali infatti sono presenti norme che proclamano l'autonomia di entrata e di spesa dei livelli inferiori di governo, arrivando in alcuni casi a prevedere perfino la tipologia di strumento per mezzo del quale ottenere il reperimento delle risorse. Come più volte affermato, però, la concreta modulazione della tassonomia e del funzionamento del sistema tributario è demandato alla legge; pertanto, così come ricavato dall'analisi precedentemente svolta, nell'esplicazione delle premesse costituzionali si assiste a una lettura limitativa di detta autonomia.

Capitolo secondo

LE AUTONOMIE NELL'ORDINAMENTO EUROPEO