che devono concorrere alle spese pubbliche
Come anticipato, è necessario indagare il principio di territorialità, sempre da un punto di
371FRANSONI 2004, p. 170. 372FRANSONI 2004, pp. 187 e 188.
vista materiale, ma non limitato alla ricerca del rapporto tra presupposto e territorio.373 È stato
rilevato infatti che il limite della territorialità, che sicuramente comporta una conseguente scelta in ordine all'istituzione e alla disciplina dei tributi, deve essere previamente analizzato alla luce della funzione tributaria in generale. In ultima analisi essa è diretta a realizzare un'entrata attraverso la compartecipazione dei membri di una collettività, poiché il tributo, a differenza di altre forme di finanziamento, è basato su un sacrificio necessariamente collettivo. Generalmente, poi, il tributo è un dovere imposto ai membri di una data collettività in misura della loro capacità contributiva.374 In tale prospettiva si deve rilevare che le scelte
tributarie effettuate dal legislatore possono essere variamente delineate, ma non possono esorbitare rispetto a due parametri: dal lato oggettivo, il dovere tributario deve essere collegato al principio di capacità contributiva e, dal lato soggettivo, deve essere rispettata l'appartenenza a una data collettività da parte dei soggetti che sono chiamati a concorrere al finanziamento di quella. Il principio di territorialità esprime quindi un limite e un criterio di giudizio delle scelte di merito del legislatore nella sua attività di individuazione dei presupposti del tributo. Tale teoria consente così di vedere nella territorialità non solo un mero limite della potestà tributaria variamente intesa, ma è in grado di conferire ad essa fondamento e giustificazione.
Alla luce di tale nozione di territorialità, è necessario poi individuare i criteri effettivamente idonei a stabilire se un certo soggetto appartiene o meno a una data collettività e, pertanto, se esso è o no titolare di un dovere di contribuzione. L'appartenenza a una collettività è
373FRANSONI 2004, a pp. 188 e 189, afferma che interessa «l'alternativa delineata fra il collegamento del dovere tributario alla sovranità ovvero la riconduzione dello stesso a una matrice comunitaria. Il problema […] dei limiti “materiali” del potere di imposizione […] sembra, infatti, suscettibile di essere risolto in modi diversi a seconda che si accolga l'una o l'altra soluzione. Se il dovere tributario è attributo della sovranità, il limite al potere di imposizione coinciderà con il limite della sovranità stessa talché tale tesi, portata alle sue logiche e necessarie conseguenze, determina l'eliminazione del problema della territorialità come limite “materiale” e l'affermazione dell'esistenza di limiti solo “formali”, ossia riferibili al potere normativo in sé – in quanto espressione della sovranità – indipendentemente dall'oggetto che assume. Se, invece, si enfatizza il carattere e l'origine comunitaria dell'obbligo contributivo, allora si pone effettivamente un problema di limiti “materiali”, i quali dipenderanno dall'intensità ed estensione dei vincoli derivanti dall'appartenenza alla comunità.».
374BAGGIO 2009 precisa, a p. 225, che «la partecipazione di un determinato soggetto alla comunità nazionale produce l'obbligo in capo allo stesso di contribuire al perseguimento dell'interesse comune mediante il pagamento delle imposte occorrenti per far fronte alle spese pubbliche, secondo la propria «capacità» […] che deve essere effettiva e attuale. Si può dire, con estrema sintesi, che la capacità contributiva sia, nel contempo, il presupposto, il limite massimo ed il parametro del prelievo tributario.» e, a p. 226, che «la ragione del coinvolgimento degli stranieri nella corresponsione dei tributi, si può spiegare, in linea di principio, con le medesime argomentazioni usate per la generalità dei contribuenti e che vedono l'obbligo tributario indissolubilmente legato all'adempimento dei doveri di solidarietà.».
individuata sulla base di criteri giuridici, storici e culturali che mutano e si ridefiniscono continuamente, soprattutto alla luce delle relativamente recenti evoluzioni caratterizzate dalla costituzione di enti sovrastatali, quali l'Unione europea, e dalla maggiore affermazione di ordinamenti infra nazionali, quali gli enti sub-statali. L'appartenenza a una data collettività può essere determinata sulla base della spettanza, in concreto e in capo a un certo soggetto, dei diritti di libertà, che massimamente sono in grado di esplicare la sovranità popolare: in tal modo il soggetto può considerarsi inserito all'interno del popolo al quale la sovranità appartiene.
La partecipazione di un soggetto a una collettività politicamente organizzata, e la sua conseguente appartenenza alla stessa, comporta evidentemente un interesse del singolo alla sussistenza della collettività medesima. Quest'ultima infatti attribuisce libertà, diritti e poteri al soggetto stesso, che sono rivolti alla realizzazione dei suoi interessi economici, sociali e politici e che costituiscono il fondamento del rapporto di appartenenza.
Il legislatore, nella scelta legata all'attività di imposizione tributaria, deve tenere conto del limite derivante dal riferimento del presupposto a soggetti appartenenti alla comunità al finanziamento delle cui spese essi sono chiamati a concorrere. In questi termini emerge il limite costituito dal profilo territoriale, che deve indirizzare le scelte del legislatore e i relativi giudizi. Dal momento che le scelte del legislatore convergono nella determinazione del presupposto di imposta, sarà quest'ultimo che dovrà evidenziare anche l'appartenenza del soggetto a una certa collettività e a un certo territorio. Il presupposto, pertanto, deve essere in grado di segnalare la titolarità in capo al soggetto di libertà, diritti e poteri nonché, correlativamente, dell'interesse all'esistenza della collettività.375
Da un punto di vista storico, per la realizzazione di tale nuova interpretazione del principio di territorialità, sono stati centrali elementi sociologici e fattori più propriamente giuridici. La teoria più tradizionale, che ha condotto alle interpretazioni dottrinarie citate precedentemente, distingue le posizioni giuridiche attive o passive di cui sono titolari i membri della collettività a seconda che esse trovino il loro fondamento in rapporti di diritto privato o di diritto pubblico, ove è centrale l'intervento dello Stato quale sovrano. Da quest'ultimo punto di vista le situazioni giuridiche riconosciute ai membri di una collettività si risolvono nel rapporto tra soggetto e Stato e sono rappresentabili o in termini di diritto pubblico dello Stato persona
oppure quale dovere dello Stato verso i consociati nascente da un'autolimitazione dei diritti dello Stato nei confronti di questi. Tale impostazione consentiva di individuare un limite, seppur formale, al potere statale. Il diritto di imposizione trova quindi il suo fondamento in un rapporto di diritto pubblico soggettivo e costituisce una specie dei diritti di supremazia dello Stato nei confronti dei consociati. In tal modo il fenomeno tributario è definito quale immediata derivazione del dovere generale di subordinazione all'autorità dello Stato persona del cittadino, il quale si trova in una posizione di mera soggezione di fronte all'ente impositore.
Come anticipato, elementi di carattere sociologico e giuridico hanno condotto l'impostazione vigente fino alla metà del secolo scorso a divenire recessiva. Dal punto di vista sociologico, l'evoluzione delle istituzioni ha reso evidente come il modello prospettato fosse funzionale a un assetto di relazioni tipiche dello Stato borghese, ma non più aderente alle esigenze dello Stato pluriclasse nato nel corso del Novecento e, più specificatamente, alle esigenze nate con l'avvento di altri ordinamenti e corpi sociali intermedi propri della concezione dello Stato sociale, nonché, inoltre, di centri di governo che hanno assunto sempre maggiore importanza quali l'Unione europea e gli enti sub-statali. Dal punto di vista giuridico, invece, l'introduzione della Costituzione ha condotto a un mutamento di impostazione nel modo di vedere il problema. La riflessione sulla natura e sul fondamento dei diritti di libertà, così come garantiti nella Carta costituzionale, ha portato la dottrina a rivedere le posizioni sopra esposte, poiché si inizia ad affermare che i diritti fondamentali e inviolabili spettano all'uomo in quanto tale e non sono il mero effetto di un'autolimitazione dello Stato. Tale nuova impostazione di teoria generale del diritto ha comportato una modifica sull'interpretazione della stessa concezione del fondamento del dovere tributario, che si risolve così nella citata teoria che vede detto fondamento nell'esistenza stessa di una collettività organizzata che necessita di finanziamento. Il dovere contributivo nasce quindi dal fatto stesso dell'esistenza di un vivere organizzato e di esso è elemento costante e ineliminabile. Nell'attuale concezione del diritto tributario è il principio di capacità contributiva a essere la formula espressiva di un criterio di definizione della posizione dei consociati rispetto al dovere tributario stesso, nonché di soluzione dei conflitti che si potrebbero verificare tra i soggetti. Nonostante non sia stata sempre negata l'esistenza di un concetto analogo a quello del principio di capacità contributiva anche in altre
epoche storiche,376 l'attuale impostazione assume la sua rilevanza da un punto di vista
strettamente giuridico secondo un duplice profilo. Da un lato, detta nozione distingue il complesso di regole proprio delle forme di contribuzione di carattere pecuniario, rispetto alla più ampia categoria delle discipline inerenti ad altri tipi di doveri funzionali alla sussistenza della collettività, nonché rispetto ad altre regole specificatamente riferite all'attività finanziaria dello Stato. Dall'altro lato la concezione moderna del principio di capacità contributiva è necessariamente connaturato a una società egualitaria e, pertanto, essendo uno dei possibili criteri di riparto si considera giuridicamente irrilevante ogni altra forma di distinzione tra i singoli.
Il principio di capacità contributiva non comporta la mera dichiarazione dell'esistenza del dovere contributivo, ma aggiunge una qualificazione allo stesso da un triplice punto di vista: l'oggetto dell'imposizione, che riguarda il profilo dell'imposizione cui specificatamente si riferisce, i soggetti gravati, che secondo la tesi prescelta concerne primariamente il principio di territorialità, e la generalità del dovere tributario.
Da quest'ultima prospettiva, non si considera sufficiente il rinvio alla legge per considerarsi risolte tutte le necessità di definizione della potestà tributaria in ordine ai caratteri della generalità e dell'uguaglianza. Occorre invece che del carattere generale dell'obbligo venga sottolineato il profilo in forza del quale esso si distingue da tutti gli altri obblighi posti in funzione dell'esistenza della collettività. In tal modo emerge che la cosa pubblica è di tutti e tutti hanno l'obbligo di concorrere all'azione con il proprio sacrificio in una visione concorsuale del sostentamento delle relative spese. Il dovere tributario si realizza così attraverso l'azione convergente di tutti i consociati e si configura necessariamente come un obbligo di riparto per il sostentamento di una data collettività territorialmente determinata. In tale prospettiva si deve convenire che la definizione del dovere tributario, come interpretata, implica la sua collocazione tra i doveri di solidarietà politica, economica e sociale che l'articolo 2 della Costituzione italiana qualifica come inderogabili.
376FRANSONI 2004, a p. 203, afferma che «il vero distacco esistente fra teorie antiche e moderne non dipende dalla giustificazione ultima della partecipazione tutti alle esigenze collettive, ma nella individuazione del criterio di commisurazione di tale partecipazione e nella giustificazione delle diversificazioni individuali da esso necessariamente derivanti. Mentre, come si è detto, ad un determinato livello di organizzazione sociale il concorso costituisce un carattere strutturalmente ineliminabile e non si revoca in dubbio quindi il profilo dell'an, la soluzione del problema del quantum e del quomodo (quando siano ammesse contribuzioni non pecuniarie) e la sua giustificazione possono, a seconda dei casi e delle epoche, essere incentrate sul momento della coattività ed autoritatività, sull'idea dello scambio ovvero, in epoca più recente, su quello della comunanza di interessi.».
Si può poi affermare che il dovere tributario può inserirsi tra i doveri di solidarietà di carattere più specificatamente politico, poiché lo scopo verso il quale converge l'azione comune è la sussistenza della collettività in sé. Si può, infatti, escludere che esso rientri tra i doveri di solidarietà economica perché il dovere tributario non persegue tanto e subito il fine del benessere e del progresso economico della collettività, bensì immediatamente il sostentamento della spesa pubblica, che solo in via mediata da una destinazione costituzionalmente orientata comporterebbe il fine della realizzazione del progresso e del bene economico.
Nonostante tali affermazioni di principio, occorre analizzare la fattispecie nel suo precipitato effettivamente realizzatosi. Benché infatti si sia rifiutata la teoria più risalente, che fondava il dovere tributario nel suo legame con la sovranità dello Stato e che risolveva il problema dei limiti del potere di imposizione mediante il riferimento ai soli soggetti gravati da doveri corrispondenti a quella sovranità, non è detto che l'analisi della concreta realtà che dovrebbe ispirarsi alla moderna teoria conduca a valutazioni del tutto diverse. Anche la nuova e preferibile interpretazione del dovere tributario deve cercare dei limiti soggettivi, che ben potrebbero coincidere con quelli individuati in base alla precedente. Tuttavia ciò che cambia è la giustificazione della soluzione adottata, perché il problema diventa quello di determinare i criteri in base ai quali si può affermare l'esistenza di un rapporto tra un soggetto e una data collettività, sia essa lo Stato, un ente sub-statale o, ancora, un ente sovranazionale quale l'Unione europea.377 Qualsiasi collettività comporta che vi siano criteri idonei a definire
l'inclusione o l'esclusione dei soggetti dalla stessa. Il fatto stesso dell'esistenza di un gruppo organizzato implica necessariamente l'elaborazione di regole organizzative condivise tra i consociati, le quali devono riferirsi a un gruppo individuato.378
Ciascun istituto tributario comporta la partecipazione dei consociati al finanziamento delle pubbliche spese, in modo differenziato a secondo dell'indice di capacità contributiva prescelto. La valutazione unitaria del sistema tributario implica quindi la determinazione della complessiva nozione di capacità contributiva ritenuta rilevante e la modalità in cui quest'ultima è assunta ai fini della cernita dei consociati e della correlativa determinazione della misura del concorso di ciascuno di essi. In tale prospettiva, si può affermare che la nozione di “sistema” concernente il secondo comma dell'articolo 53 della Carta costituzionale
377FRANSONI 2004, pp. 165 e ss.. 378FRANSONI 2004, p. 222.
italiana emerge in modo ancora più determinante in base al terzo comma dell'articolo 117. L'attribuzione della potestà legislativa concorrente in relazione alla materia del
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e, più in particolare, la
responsabilità in capo allo Stato di determinare i principi fondamentali sono fattori che evidenziano non solo l'esigenza di porre regole comuni per l'effettiva disciplina della struttura formale dell'istituto tributario, ma soprattutto la necessità di operare un riparto dei carichi pubblici relativi ai diversi livelli di governo, nell'ambito dei quali si tenga conto della posizione complessiva del singolo appartenente sì ai vari enti sub-statali ma anche all'unico Stato. Tale posizione poi deve essere determinata in base alla capacità contributiva globalmente considerata a livello dell'intera comunità, nonché in relazione ai modi attraverso i quali detta nozione comporta una diversificazione del concorso di ciascuno alle spese pubbliche. In tale prospettiva, tra i principi fondamentali del sistema tributario attribuiti alla potestà legislativa dello Stato, deve rientrare anche la definizione dei principali indici di capacità contributiva assumibili per la disciplina dei singoli istituti tributari.379
Si può così affermare che, proprio in ragione della saldatura tra gli articoli 53 e 117, emerge a livello costituzionale una nozione unitaria di sistema tributario, il quale rileva, da un lato, per
379FRANSONI 2004, afferma a pp. 289 e 290, che «un'indicazione in tal senso, peraltro, ritrarre anche dalla previsione dell'art. 119, comma 3, Cost., secondo cui lo Stato deve istituire un fondo perequativo per i «territori con minore capacità fiscale per abitante» presupponendo, quindi, un confronto fra “territori” il cui parametro di riferimento è la “capacità fiscale”. Poiché tale nozione, per effetto della scelta terminologica adoperata dal legislatore, non sembra potersi far coincidere con nessuna specifica grandezza economica (come p. es. il “reddito pro-capite”), essa dovrebbe farsi consistere in una misura delle possibilità di concorso dei consociati. Ed in effetti, la nozione di “capacità fiscale” risulta positivamente disciplinata dal D. Lgs. n. 56 del 2000 e definita in rapporto al “gettito pro capite” dei tributi propri calcolato applicando un'aliquota standard alle basi imponibili teoriche. Siffatta nozione di “base imponibile teorica”, a sua volta, non può essere determinata indipendentemente dagli indici di capacità contributiva assunti a presupposto o, comunque, giuridicamente adottabili, non essendo possibile attribuire “capacità fiscale” ad un territorio in relazione a parametri e caratteristiche che siano per definizione (ossia in relazione alla conformazione del “sistema” tributario) irrilevanti quale indice dell'attitudine alla contribuzione. Si deve ritenere, quindi, che la “capacità fiscale” rappresenti una sintesi del complesso degli indici di capacità contributiva applicati o, quantomeno, applicabili in ciascun territorio. Così impostato il discorso, la rilevanza della nozione di sistema discende dal fatto che, ai sensi dell'art. 119, comma 3, Cost., la capacità fiscale costituisce un metro di misura della diversa situazione dei “territori”. Sicché, per potersi concretamente operare il confronto tra le diverse “capacità fiscali” dei diversi “territori”, si deve presupporre necessariamente l'omogeneità dei termini di paragone e, quindi, nel complesso degli indici di capacità contributiva per la generalità degli enti territoriali. Il che non può avvenire se non in presenza di una definizione, sul piano dei principi fondamentali del sistema tributario, anche dei criteri generali ai quali esso si ispira con riguardo ai presupposti assumibili ad indici di capacità contributiva dei tributi propri di ciascun livello di governo. Anzi, proprio in questa fase, dovrebbe anche risultare possibile un vaglio della congruità delle scelte di vertice rispetto al principio di cui all'art. 53, comma 2, Cost., poiché i principi fondamentali del sistema, in questo modo, risultano determinanti e sufficienti al fine di delineare il complessivo assetto degli istituti tributari e, quindi, di far emergere l'esistenza o meno della tendenza alla progressività richiesta dalla norma costituzionale.».
la ripartizione della potestà legislativa tra i vari enti sub-statali, e, dall'altro lato, per la definizione del complessivo ordinamento del sistema medesimo; in entrambe le accezioni la nozione di sistema rimanda a una complessiva definizione dei criteri di differenziazione tra i consociati che sono stati assunti come rilevanti e del relativo collegamento con la diversa misura di concorso alle spese pubbliche.
Se gli indici di capacità contributiva incidenti sui vari presupposti dei tributi devono risolversi in criteri di differenziazione tra i singoli sulla base di un sistema coerente, il giudizio deve essere operato sulla base della rappresentazione dell'insieme stesso dei consociati. La razionalità del criterio ordinatore, proprio del principio di capacità contributiva rilevante a livello di sistema, non può essere valutata astraendo dall'oggetto in concreto rappresentato dalla posizione dei singoli consociati, poiché se così non fosse esso si risolverebbe in una condizione meramente formale e, quindi, incoerente con le esigenze di uguaglianza sostanziale. La dottrina ha pertanto evidenziato come non sia possibile esigere che il legislatore ordinario, titolare del potere impositivo, assoggetti ai vari tributi tutti i soggetti astrattamente titolari del dovere di contribuzione senza adottare particolari cautele.
Il diverso grado di appartenenza a una certa collettività assume quindi il ruolo di criterio di differenziazione della misura della contribuzione. Se il fondamento dell'appartenenza si trova, come precedentemente affermato, nella varietà dei diritti e dei poteri riconosciuti dall'ordinamento per la realizzazione dei concreti interessi economici, sociali e politici dei soggetti, allora pare non sussistere alcuna violazione al principio di uguaglianza, proprio dal momento in cui la graduazione della misura del concorso è correttamente collegata alla diversa intensità del vincolo di appartenenza. Avendo aderito alle tesi che vede nei criteri di capacità contributiva uno stretto collegamento con i poteri di soddisfazione dei bisogni e di interessi dei singoli, si può ricavare che l'assunzione dell'appartenenza in sé a presupposto di un tributo è un modo per individuare la titolarità di alcuni poteri, nel senso che si è precedentemente indicato. In questa prospettiva si dovranno solamente ricercare i limiti che riguardano la razionalità delle scelte legislative nella selezione dei profili dell'appartenenza, che a loro volta devono individuare una particolare capacità di soddisfazione di bisogni e di interessi.
Un'eventuale e censurabile disparità di trattamento potrebbe cogliersi solo se l'insieme dei tributi gravanti su individui aventi un certo grado di appartenenza risultasse non