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NIETZSCHE E WAGNER

Nel documento Il doppio vincolo di Cristo. (pagine 67-71)

CAPITOLO 2: LA FOLLIA DI DIONISO

2.1 NIETZSCHE E IL DESIDERIO MIMETICO

2.1.2 NIETZSCHE E WAGNER

Secondo la prospettiva girardiana, il rapporto con il celebre musicista Richard Wagner costituisce l’apice della malattia mimetica di Friedrich Nietzsche:

La vicenda del rapporto di Nietzsche con Wagner corrisponde in maniera perfetta ai vari stadi del processo che nasce dall’imitazione di un modello, il processo imitativo o mimetico. All’inizio Wagner è il modello esplicitamente riconosciuto, la divinità apertamente adorata, il mediatore che insegna che cosa desiderare con la sua personalità prestigiosa. Poi egli diviene un ostacolo e un rivale, senza cessare di essere per questo un modello 119.

L’intera vita emotiva e intellettuale del filosofo è segnata traumaticamente dalla relazione ambigua con l’artista, corrispondente per Girard alla dinamica del doppio vincolo, da sempre fondamento nascosto di tutte le amicizie-rivalità in campo intellettuale:

Mentre sta rapidamente diventando l’eroe culturale della nazione tedesca, Wagner proibisce al suo discepolo di raggiungere lo scopo che pure è lui stesso a porgli davanti. Si tratta del medesimo “doppio vincolo” imitativo, della medesima ingiunzione contraddittoria («Imitami!» - «Guai a te se mi imiti!») che ritroviamo nel rapporto tra Schiller e Hölderlin o fra Rimbaud e Verlaine 120.

L’intero percorso filosofico di Nietzsche testimonia, nella prospettiva girardiana, la degenerazione graduale delle fasi del doppio vincolo. Ne La nascita della tragedia 121, il musicista tedesco viene presentato come l’unico artista eroico in grado di riportare in vita, attraverso la propria opera, l’autentico spirito della musica dionisiaca, permettendo, al contempo, la rinascita della cultura germanica. Tuttavia, all’entusiasmo iniziale si sostituisce una crescente diffidenza che spinge il giovane Nietzsche ad abbandonare le idee e i propositi

119 ivi, p. 14. 120 ibidem, p. 14.

121 F. Nietzsche, Die Geburt der Tragödie (1872), tr. di S. Giametta: La nascita della tragedia, Adelphi, Milano,

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del maestro. La rottura costituisce, a detta del pensatore, una delle decisioni più importanti della sua vita. Da quel momento in poi, la figura di Wagner, soprattutto nell’ultimo periodo della sua attività intellettuale, incarna l’emblema della decadenza della modernità, un fenomeno da analizzare e da respingere. Un personaggio che, proprio per questo, desta un forte interesse e provoca una morbosa dipendenza in Nietzsche:

Voltare le spalle a Wagner fu per me un destino; essere tornato in seguito a sentire propensione per una qualsiasi cosa fu per me una vittoria. Forse nessuno ebbe in maniera più pericolosa a concrescere col wagnerismo, nessuno si è con maggior durezza difeso da esso, nessuno ha maggiormente gioito dell’essersene liberato. Una lunga storia! […] La più grande esperienza della mia vita fu una guarigione. Wagner appartiene semplicemente alle mie malattie. […] Senza Wagner, del resto, è forse possibile cavarsela: ma il filosofo non è libero di poter fare a meno di Wagner. Egli deve essere la cattiva coscienza del suo tempo – a tal fine deve possedere di esso il massimo sapere. Ma dove troverebbe, per il labirinto dell’anima moderna, una guida meglio iniziata di Wagner, un più eloquente conoscitore di anime? Attraverso Wagner la modernità parla il suo più intimo linguaggio: non cela né il suo bene, né il suo male, ha disimparato ogni pudore di se stessa. E viceversa, si è quasi fatto un bilancio sul valore della modernità, quando si è messo in chiaro, dentro se stessi, il bene e il male di Wagner 122.

Nelle sue ultime opere, Nietzsche non si stanca mai di porre l’accento sulla sua opposizione a Wagner: «Noi siamo antipodi» 123. Ciò nonostante, non mancano numerose parole di

apprezzamento per la sua inimitabile sensibilità nel cogliere i moti più minuziosi dell’animo umano, «dell’estremamente piccolo»:

Nessuno è pari a lui nei colori dell’autunno inoltrato, a questa gioia indicibilmente commovente di un estremo godimento, ultimo e più breve di tutti; egli sa il suono di quelle mezzanotti dell’anima quietamente inquietanti, in cui causa ed effetto sembrano aver perduto il loro nesso e a ogni momento qualcosa può scaturire «dal nulla». […] sì, in quanto Orfeo di tutte le segrete miserie è più grande di qualsiasi altro, e per mezzo suo furono aggiunte all’arte molte cose che fino a oggi parevano inesprimibili e perfino indegne di essa […] sì, è il maestro dell’estremamente piccolo 124.

122 F. Nietzsche, Der Fall Wagner (1888), tr. di F. Masini: Il caso Wagner, in Opere di Friedrich Nietzsche, Vol. VI,

tomo III, Adelphi, Milano, 1970, pp. 3-4.

123 F. Nietzsche, Nietzsche contra Wagner (1888-1889), tr. di F. Masini: Nietzsche contra Wagner in Opere di

Friedrich Nietzsche, Vol. VI, tomo III, Adelphi, Milano, 1970, p. 363.

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Automaticamente seguite, ad ogni modo, da forti critiche circa lo spiccato istrionismo del musicista che renderebbe la sua arte un misero strumento in vista della celebrità, dell’atteggiarsi compiaciuto e ricercato:

in sostanza è un uomo di teatro e un attore, il più esaltato mitomane che sia forse mai esistito, anche come

musicista…E sia detto per inciso: se questa fu la teoria wagneriana: «il dramma è lo scopo, la musica sempre

soltanto il suo strumento» - la sua prassi, al contrario, fu dal principio alla fine: «l’atteggiarsi è lo scopo, il dramma e anche la musica sempre null’altro che il suo mezzo». La musica come mezzo per sottolineare, irrobustire, interiorizzare la mimica drammatica e l’evidenza sensibile dell’attore: e il dramma wagneriano costituisce soltanto un’occasione per molti interessanti atteggiamenti! 125

Le contraddittorie considerazioni filosofiche sulla figura di Wagner tradiscono, per Girard, la disperazione di un’invidia mimetica a malapena celata. Per lo studioso francese, Wagner è il dio che Nietzsche vorrebbe essere. Per quanto si sforzi di negare ogni sua fascinazione per il rivale, il filosofo tedesco non può che soccombere dinanzi all’aura accecante di un prestigio di cui, in fondo, per tutta l’esistenza si sentirà privo. Egli non può fare a meno di coltivare, di là dell’ostilità dichiarata, una segreta devozione per il suo idolo. Una parte di sé che, tuttavia, tenta freneticamente di reprimere. In ciò Nietzsche si caratterizza come scrittore romantico: misconosce ogni forma di mediazione, per quanto pressante possa essere, ricorrendo alla scrittura come feroce e implacabile mezzo di soppressione emotiva. La confusione esistenziale che ne consegue non permette a Nietzsche di distinguere tra cosa è veramente suo e cosa derivato dal modello indicibile:

Noi ascoltiamo la voce che in Nietzsche parla contro Wagner. Ma vi è in lui un’altra voce che parla in favore di Wagner, una voce che deve farsi sempre più forte verso la fine della vita di Nietzsche, visto che la voce ufficiale sta diventando addirittura esagitata nel vano sforzo di zittire quella favorevole al compositore. […] Nietzsche non è mai riuscito a concedere davvero spazio all’altra voce dentro di sé. Questo è probabilmente il motivo per cui il filosofo ha perso la ragione e non è mai diventato un romanziere. Nietzsche è fondamentalmente quello che potrei chiamare uno scrittore “romantico”, e la scrittura è innanzi tutto uno strumento di repressione. Egli stesso afferma che, per molto tempo, gli era stato difficile distinguere dentro di sé ciò che apparteneva a Wagner da ciò che apparteneva a Friedrich Nietzsche. Scrivere era per lui il mezzo per raggiungere questa distinzione 126.

125 ivi, pp. 365-366.

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Perfino in campo amoroso, in sintonia con quello che abbiamo visto in precedenza, Nietzsche viene totalmente condizionato dal carisma di Wagner, finendo, come esige il processo del doppio vincolo, analizzato nel primo capitolo, per subire l’ennesima bruciante sconfitta. In tal senso, nell’ottica di Girard e Fornari, il terzo polo del triangolo, l’oggetto bramato e conteso, è Cosima Wagner. Nietzsche cova dei forti sentimenti per la donna. Pur di conquistarla si destreggia con la musica, intento a rivaleggiare con il mediatore-Wagner proprio nel suo campo. Tuttavia, rispetto al carisma del riformatore culturale e artistico della Germania, non può che costatare, umiliato e deriso, la sua inferiorità. Da tale consapevolezza, segue il definitivo distacco dal maestro e da tutto l’ambiente wagneriano:

Mai innamoramento ebbe meno chances: se anche ha compreso (e appare difficile che il suo intuito femminile non abbia compreso) quali tempeste aveva suscitato nell’introverso e polemico amico del marito, è facile immaginare la reazione dell’arrogante e calcolatrice Cosima, che finalmente aveva trovato in Wagner il “cavallo” vincente, il genio da lei tanto agognato […]. Il vero contrasto che dobbiamo immaginare fra i due non è di natura sottilmente psicologica o filosoficamente ideale, è il brutale, elementare contrasto fra il debole, nevrotico, innamorato Nietzsche che deve rimanere nell’ombra, e il ciclonico, egocentrico Wagner che, oltre a essere circonfuso della grandezza della sua musica, riceve gli omaggi dei potenti di Germania e d’Europa 127.

Si potrebbe pensare che con la morte del mediatore nemico la rivalità mimetica di Nietzsche possa giungere al termine, consentendogli di placare le sue tensioni emotive una volta per tutte. In realtà, come suggerisce Fornari, la dipartita di Wagner fomenta ancora di più il senso d’inferiorità di Nietzsche. La morte suggella definitivamente la posizione dominante dell’avversario: una volta morto, non è più possibile eguagliarlo né scalzarlo, egli diviene un’entità astratta con cui ogni competizione è vana, la sua vittoria è ormai decretata. Al discepolo-imitatore non rimane che capacitarsi del proprio fallimento e convivere con la frustrazione:

Se la morte di Wagner fosse stata per Nietzsche «il più importante sollievo», non dovremmo registrare un comportamento di segno opposto? Il fatto è che la morte del rivale può rendere il rapporto rivalitario

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definitivamente insanabile: il rivale diviene ormai imprendibile, l’imitatore non potrà più dimostrargli alcunché, la sentenza di inferiorità costitutiva, ontologica passa, per così dire, in giudicato. Nulla potrà dare sollievo all’ulcera da cui è piagato il filosofo […] 128.

Nella prospettiva di Girard e Fornari, tale mancanza di sollievo, oltre a sconvolgere la vita, influenza tragicamente anche il pensiero di Nietzsche.

Nel documento Il doppio vincolo di Cristo. (pagine 67-71)