CAPITOLO 2: LA FOLLIA DI DIONISO
2.3 L’EREDITÀ DI DIONISO
2.3.2 MIMESI ED ETERNO RITORNO
Secondo la prospettiva girardiana, il desiderio di emulare Dio conduce Nietzsche a immolare la sua coscienza.
Consapevole della necessità di sacrificarsi per essere divinizzato, egli decide di ricoprire il ruolo sia del persecutore sia della vittima:
Nietzsche è dio e vittima insieme, re e scarto umano. […] Solo il sacrificio permette di spiegare a fondo la compresenza di opposti che caratterizza la “divinizzazione” di Nietzsche, permette di ricostruire una loro precisa sequenza, che il soggetto impazzito ripete ormai macchinalmente, in una rotazione insensata. Il filosofo è il sacrificatore e il sacrificato, l’esecutore del rito e chi lo subisce venendone trasfigurato, venendone divinizzato
177.
Per Girard e Fornari, a causa delle rivalità non superate con Wagner e Cristo, Nietzsche, dopo ogni sconfitta, alza la posta della sua ambizione mimetica rendendo sempre più cruenta l’immolazione mentale di se stesso. Egli introietta la ciclicità del meccanismo del capro espiatorio e la ricorrenza periodica del rituale. La temporalità di queste istituzioni sancisce quella della follia. Secondo Fornari, la concettualizzazione dell’Ewige Wiederkunft, dell’eterno ritorno, si deve a tale concordanza temporale:
Il primo “ritorno” ad essere “eterno” in Nietzsche è quello del problema irrisolto del suo desiderio, della sua identità mai trovata […]. Nello stesso tempo l’eterno ritorno è quello dei cicli rituali, delle rifondazioni sacrificali. L’eterno ritorno è la speranza di trovare un ciclo stabile di tipo pagano, col risultato di ottenere soltanto l’eterno ritorno della ciclotimia, dell’alternarsi spossante di euforia e depressione che è il tipico risultato dei rapporti rivalitari non superati 178.
L’eterno ritorno, quindi, è l’idealizzazione della ciclotimia, vale a dire dell’alternanza di esaltazione e angustia che caratterizza i rapporti di double bind. La necessità dell’eterno ritornare dell’Essere, di cui parla Nietzsche, tradizionalmente interpretata come una fede che vincolerebbe l’uomo al senso della terra, rinnegando ogni struttura metafisica e teleologica,
177 ivi, p. 144. 178 ibidem, p. 192.
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deve essere intesa, a detta di Fornari, in chiave mimetica e patologica, come reiterazione del sacrificio di se stesso, come coazione a ripetere del divoramento della ragione.
L’autodistruzione e il cannibalismo psichico, sostiene lo studioso italiano, vengono testimoniati dai documenti clinici del periodo di ricovero del filosofo, raccolti e pubblicati da Verrecchia:
3 febbraio. Imbrattato di escrementi […]
10 febbraio. Molto rumoroso. Spesso accessi di collera con grida inarticolate senza motivo esterno. […]
23 febbraio. Tira improvvisamente “calci” a un altro malato. «Da ultimo io sono stato Federico Guglielmo IV”. […]
10 marzo. Fame da lupo. Designa sempre giustamente i medici; se stesso, ora come il duca di Cumberland ora come imperatore ecc.
[…]
1 aprile. Imbrattato di escrementi. «Chiedo una veste da camera per la redenzione radicale. Di notte sono state da me ventiquattro puttane».
[…]
5 aprile. Piscia nello stivale e beve urina.
17 aprile. «Di notte, si è imprecato contro di me; si diceva che mia madre se l’era fatta addosso; contro di me si sono ordite le più orribili macchinazioni».
18 aprile. Mangia escremento. […]
16 maggio. «Io vengo sempre di nuovo avvelenato». […] 16 giugno. Chiede ripetutamente aiuto contro torture notturne. […]
2 luglio. Orina nel bicchiere per l’acqua.
4 luglio. Rompe un bicchiere per l’acqua, «per proteggere l’accesso a lui con schegge di vetro» […]
14 luglio. Cosparso di escrementi. 16 luglio. Cosparso di escrementi. 18 luglio. Unto di orina.
[…]
6 agosto. (Si è) sfregata una gamba con escremento. […]
14 agosto. Di nuovo molto rumoroso. Beve di nuovo l’urina.
16 agosto. Ha rotto improvvisamente alcuni vetri. Ritiene di aver visto una canna da fucile dietro la finestra. […]
20 agosto. Mette dello sterco avvolto nella carta nel cassetto del tavolo. […]
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10 settembre. Beve di nuovo urina. […]
2 dicembre. Afferma di aver visto nella notte donne completamente pazze.
9 dicembre. Vomito. Non riscontrabili errori di dieta, ma il paziente mangia spesso molto frettolosamente. 14 dicembre. Beve acqua di sciacquatura 179.
Per il critico, gli elementi principali della diagnosi girardiana sono tutti riscontrabili. Troviamo sia l’identificazione mimetica con i personaggi da Nietzsche adulati (gli uomini autorevoli, i signori della volontà di potenza, i condottieri e gli imperatori) sia i riferimenti al sacrificio (le torture notturne, le donne pazze che ricordano le baccanti di Dioniso, le armi nascoste). Ciò che più scandalizza, ad ogni modo, è il cibarsi dei propri escrementi. Un’azione apparentemente inspiegabile che, secondo Fornari, può comunque essere interpretata attraverso il concetto patologico dell’eterno ritorno della ciclotimia. Così come l’Ewige
Wiederkunft viene presenta da Nietzsche come l’eterna necessità dell’Essere di assimilare se
stesso, allo stesso modo, interpretando le sue parole attraverso la teoria mimetica, il pensatore deve periodicamente trangugiare se stesso, vale a dire le secrezioni del proprio corpo, all’interno del processo di autodivinizzazione:
Nietzsche deve assimilare una grande quantità di materia allo scopo di espandere il proprio essere, egli deve ingoiare, ingurgitare l’Essere di cui si sente mancare. L’ovvia conseguenza fisica però è che il corpo espelle ciò che è stato mangiato e bevuto, e così più il soggetto espelle materia con i suoi escrementi più deve mangiare e bere, e più egli ingurgita materia più è costretto a evacuarne. […] L’evacuazione, prima caricata di significati degradanti e grotteschi, diventa adesso il fallimento del cibo, la dimostrazione dell’inanità del suo scopo, il vero veleno che gli toglie efficacia ontologica, rovesciandolo nel suo contrario. L’unica soluzione è pertanto riassorbire in sé l’Essere che lo ha abbandonato, cioè mangiare il proprio sterco e bere la propria urina. Come un serpente che si mangia la coda, così il filosofo deve divorare se stesso per dimostrare la propria esistenza assoluta 180.
L’eterno ritorno, in definitiva, conclude Fornari, raffigura gli esiti disastrosi dell’esasperazione del desiderio mimetico. Un dramma di cui la filosofia di Nietzsche è sia espressione sia principio.
179 A. Verrecchia, La catastrofe di Nietzsche a Torino, Einaudi, Torino, 1978, pp. 275 – 278. 180 R. Girard, G. Fornari, Il caso Nietzsche, op. cit., p. 143.
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La critica di Girard e Fornari consente di formulare una prospettiva totalmente differente sul collasso mentale di Nietzsche, collegandolo al suo percorso filosofico. Per i due studiosi, le teorie tradizionali che vedono nella sifilide il motivo scatenante della pazzia si rivelano del tutto inadeguate nel rendere conto della complessità della questione: «Come ogni mito, la favola della sifilide ha subìto le manipolazioni più varie, tutte accomunate dallo stesso intento di negare e coprire una realtà fastidiosa» 181.
A loro parere, solo la dimensione religiosa e sacrale della dinamica mimetica fornisce l’unica possibile giustificazione. Il caso Nietzsche è definitivamente risolto.
Tuttavia, i due autori si pongono un’altra questione cruciale: com’è possibile che una visione di pensiero contrassegnata dalla follia abbia potuto influenzare l’intera cultura del Novecento?