• Non ci sono risultati.

PARTE I – IL CONTESTO TEORICO

1.6 Sul concetto di ambivalenza

Nella costruzione della griglia di discussione sull’ipotizzato passaggio al capitalismo cognitivo, merita un breve approfondimento un concetto già introdotto in apertura, quello di ambivalenza. Il noto sociologo Robert Merton già negli anni Settanta dedicava alla questione dell’ambivalenza un’importante raccolta di saggi, ponendosi l’obiettivo di strappare il concetto dal quasi esclusivo campo di indagine della psicologia, per metterlo al lavoro nell’analisi della struttura e dei fenomeni sociali. Merton presenta così differenti tipi di utilizzo della categoria e un ricco insieme di casi di studio empirico158. Si potrebbero fare molti esempi dell’utilizzo di tale concetto nelle scienze sociali e nel pensiero politico contemporaneo159.

Ambivalenza è una categoria produttivamente utilizzato da Paolo Virno, a partire da un significativo libro pubblicato nel 1990, nel vivo del cosiddetto “attacco neoliberista” e nel clima del rampantismo sociale. In esso si tentava di leggere i sentimenti dominanti della contemporaneità – opportunismo, paura, cinismo – come ambivalente espressione delle forme di vita dei nuovi soggetti produttivi, tra dominante acquiescenza e possibile conflitto, tra visibile asservimento e potenziali istanze di liberazione, tra una socializzazione e una formazione di soggettività sempre più autonoma dal lavoro, e la sua sussunzione e messa a valore nella sussunzione capitalistica. Il problema, per usare le parole di Virno, era rintracciare il «grado zero» del processo attraverso cui «il superamento della società del lavoro avviene nelle forme prescritte dal sistema sociale basato sul lavoro salariato»160, e da lì risalire alla possibilità di un pensiero radicale all’altezza dei tempi. Lo stesso Virno riprende il concetto di ambivalenza per elaborare una «teoria politica dell’esodo», evidenziandone l’irriducibilità nelle forme di vita e nei rapporti sociali: «Oscillazione e ambivalenza possono essere le categorie post-dialettiche che si basano sulla lacunosità istintuale dell’essere umano, che possono al contempo dare vita ad un'azione inventiva oppure ad un rischio estremo di autodistruzione. Dunque, gli stessi elementi che permettono la cooperazione intelligente, contengono sempre in sé, immancabilmente, il pericolo, la rischiosità e l'aggressività, che vanno governate»161.

158 Merton, R. K. (1976), Sociological Ambivalence and Other Essays, The Free Press, New York.

159 Commentando il concetto di «doppia coscienza» di W. E. B. Du Bois, ad esempio, Eddie S. Glaude, Jr. – in un

importante studio sull’iterpretazione del racconto biblico dell’esodo da parte degli afro-americani – osserva: «My use of structures of ambivalence references ambivalence “as a set, with specific internal relations, at once interlocking and in tension”. The phrase also refers to a quality of experience, something heartfelt that has the enduring effect of defining a particular moment or period» (Glaude, E. S. Jr. (2000), Exodus! Religion, Race, and Nation in Early Nineteenth- Century Black America, The University of Chicago Press, Chicago, p. 33).

160 Virno, P. (1990) Ambivalenza del disincanto, in AA.VV., Sentimenti dell’aldiqua. Opportunismo paura cinismo

nell’età del disincanto, Edizioni Teoria, Roma-Napoli, pp. 22-23.

Nella nostra ricerca il concetto di ambivalenza è utilizzato per analizzare le trasformazioni produttive e la costituzione materiale della soggettività nel suo rapporto conflittuale con il sistema capitalistico162. Per utilizzare il lessico marxiano, il problema è interpretare il capitale come

rapporto sociale e non come cosa, il che implica l’enucleazione del complesso intreccio di strategie di dominio, sfruttamento e resistenza163. Non si tratta evidentemente di un gioco a somma zero, in cui il prevalere di una delle due parti in lotta cancella e azzera l’autonomia dell’altra; piuttosto, è l’esplicazione della logica antagonista interna allo sviluppo del modo di produzione capitalistico. L’ambivalenza descrive dunque il campo di lotta e la permanente tensione nei rapporti sociali capitalistici, qualificandolo come conflitto tra autonomia e subordinazione, tra potenza produttiva della soggettività e sua sussunzione. A differenza della contraddizione per come è intesa in buona parte della letteratura marxista, la categoria di ambivalenza è genealogica e non dialettica: non indica cioè un lineare progresso della storia, ma rintraccia la matrice soggettiva di un processo determinato da un campo di forze antagoniste, descrivendo al contempo il nuovo terreno di conflitto e le possibilità in esso presenti, quantomeno su un livello latente o potenziale. Per essere più precisi, potremmo dire che la contraddizione è immanente all’ambivalenza, ma non ha un esito scontato: non si tratta dunque di una formula o una predizione del movimento oggettivo della storia, né di uno «statico principio di opposizione»164, ma descrive un’alternativa radicale e conflittuale tra potenza e potere costituito. L’ambivalenza permette così di spiegare la logica antagonista interna allo sviluppo capitalistico al di fuori di ogni presupposto determinismo, illustrandone la storicità e contingenza. Del resto, come Read sottolinea: «The political problem is not simply one of exploitation or domination, but of the necessary provocation of a “counter-power” – capitalism is dependent on the productivity of the labouring subject, which it must also control»165. Ciò permette di pensare l’immanenza della costituzione della soggettività all’interno dei rapporti sociali capitalistici, sia come prodotto, sia come forza che li produce; come subordinata a una struttura di dominio, ma anche come potenza autonoma di resistenza e conflitto.

Questa stessa prospettiva è impiegata da Tsing per analizzare la globalizzazione, nelle sue connessioni e frizioni. L’inequivocabile punto di partenza è il rifiuto ad osservare il capitalismo globale come una macchina di potere ben oliata, i cui esiti sono completamente interni alla propria logica di sviluppo:

162

Sostiene in merito Read: «In real subsumption, subjectivity is paradoxically placed in a position of both maximum power, as capital depends more and more on the cooperative networks of living labor, and maximum subjection, as this cooperative power is continually seen as the power of capital» (Read, J. (2003), The Micro-Politics of Capital. Marx and the Prehistory of the Present, op. cit., p. 18).

163 Balibar, E. (1991), From Class Struggle to Classless Struggle?, in Balibar, E. – Wallerstein, I., Race, Nation, Class:

Ambiguous Identities, Verso, London – New York, pp. 153-184.

164 Read, J. (2003), The Micro-Politics of Capital. Marx and the Prehistory of the Present, op. cit., p. 155. 165 Ivi, p. 67.

«The effects of encounters across difference can be compromising or empowering. Friction is not a synonym for resistance. Hegemony is made as well as unmade with friction. Consider rubber. Coerced out of indigenous Americans, rubber was stolen and planted around the world by peasants and plantations, mimicked and displaced by chemists and fashioned with or without unions into tires and, eventually, marketed for the latest craze in sports utility vehicles. Industrial rubber is made is made possible by the savagery of European conquest, the competitive passions of colonial botany, the resistance strategy of peasants, the confusion of war and technoscience, the struggle over industrial goals and hierarchies, and much more that would not be evident from a teleology of industrial progress. It is these vicissitudes that I am calling friction. Friction makes global connection powerful and effective. Meanwhile, without even trying, friction gets in the way of the smooth operation of global power. Difference can disrupt, causing everyday malfunctions as well as unexpected cataclysms. Friction refuses the lie that global power operates as a well-oiled machine. Furthermore, difference sometimes inspires insurrection»166.

Questa prospettiva permette di studiare categorie e lessici non come un dato a priori o riducibili a un oggettivo significato, quanto piuttosto come la posta in palio di possibilità molteplici di utilizzo, che si articolano dentro un campo di rapporti sociali e di potere: «Universalism is implicated in both imperial schemes to control the world and liberatory mobilizations for justice and empowerment. Universalism inspires expansion – for both the powerful and the powerless»167. Se in questo caso la categoria analizzata è quella di universalismo, nella nostra ricerca focalizzeremo la stessa prospettiva per indagare la flessibilità. Nell’introdurci al tema, Carlo Vercellone ne mette da subito in evidenza il doppio carattere:

«In this context, one understands why, alongside the term knowledge, flexibility became the key word for characterizing the transformations to the regulation of the wage relation. The concept of flexibility, however, is extremely ambiguous and can move in two very different, if not contradictory directions. On the one hand, it can refer to a policy that supports the training of the labour-force, taking into account increased education levels and privileging the competences of adaptability, mobility, creativity and reactivity to the unforeseen. From a neoliberal point of view, on the other hand, it indicates the need for calling into question 'rigidities' of the labour market which prevent wages and employment from adjusting themselves with fluctuations in economic activity. The term flexibility is here synonymous with a policy of generalized precarization of the labour force. This second type of flexibility is thus very different from the first. It can even have catastrophic effects on the mobilization of knowledge. The production of knowledge in fact requires a long term horizon and a safe income that allows workers to invest in continuous training»168.

Lungi dal significare una mera indecisione, un venir meno della scientificità e del rigore analitico, o un flettersi all’inestricabile complessità del presente, il concetto di ambivalenza è al contrario un’utile lente nella misura in cui ci permette di indagare i rapporti sociali e le forme di resistenza della contemporaneità, descrivendone il terreno di intrinseca tensione e il campo di alternative che essi dischiudono.

166 Tsing, A. L. (2005), Friction. An Ethnography of Global Connection, op. cit., p. 6. 167 Ivi, p. 9.

168 Vercellone, C. (2007), Anti-Cpe Movement and Cognitive Capitalism, consultabile su http://www.edu-

Capitolo 2

Reti e nuove tecnologie