PARTE I – IL CONTESTO TEORICO
3.4 La produzione del sapere vivo: processi di costituzione materiale della soggettività
Sulla base di quanto fin qui argomentato, possiamo concordare con Read quando osserva che al centro del modo di produzione capitalistico ci sono dei rapporti di cooperazione che sono produttivi non solo di capitale, ma anche delle possibilità materiali di eccederlo102. L’eccedenza di cui parliamo non è caratteristica esclusiva di quello che abbiamo definito come lavoro cognitivo o della produzione di saperi, come fa notare De Angelis: «This “excess” emerges in the contradictory nature of what is of value for capital and what is of value for waged and unwaged workers. […] In other words, the production of excess is not the prerogative of “cognitive labour” and therefore of contemporary form of capitalism. The “excess” is the outcome of the struggle of situated workers facing the frontline and contesting the reduction of their life-activity to “human power expended without regard to the form of its expenditure” because subordinated to the priority of balance sheets»103. Il problema, come lo stesso De Angelis riconosce, è cogliere le peculiarità
dell’eccedenza e le specifiche forme di «cattura capitalistica» all’interno della contingenza dei rapporti di produzione e di potere, cioè nel momento in cui il sapere diventa prodotto e mezzo di produzione centrale.
Da questo punto di vista parliamo di sapere vivo, contrapponendolo in prima istanza al «sapere morto», per indicare il processo di formazione del cervello sociale, dell’intelligenza collettiva e della soggettività al centro dei processi contemporanei di cooperazione e produzione. Proprio su questa dinamica conflittuale, secondo Vercellone, si riconfigurano le nuove forme di lotta nel capitalismo cognitivo:
«L’opposizione tradizionale lavoro morto/lavoro vivo, propria del capitalismo industriale, cede il passo a una nuova forma di antagonismo, quella tra il sapere morto del capitale e il “sapere vivo” del lavoro. Così, “si potrebbe riassumere la mutazione moderna … in una formula: passiamo dalla gestione statica delle risorse alla gestione dinamica dei saperi. La scienza produttiva non più ‘incapsulata’ nella logica rigida incorporata nelle macchine”. Si basa al contrario sempre più, all’interno dell’impresa come nella società, sulla mobilitazione e la cooperazione dei saperi collettivi, i soli in grado di scatenare e controllare una dinamica di cambiamento accelerato»104.
Il sapere non è irriducibile alla valorizzazione capitalistica e all’appropriazione privata per sua essenza, né in quanto risorsa oggettivamente data in natura, quindi da conservare, ma lo diviene in quanto prodotto dal lavoro vivo. Da questa angolazione può essere ripensata la questione dei commons, su cui si è animato un vivace dibattito negli ultimi anni105: «Occorre prendere congedo da
102 Read, J. (2003), The Micro-Politics of Capital. Marx and the Prehistory of the Present, op. cit., p. 101. 103 De Angelis, M. (2007), Measure, excess and translation: some notes on “cognitive capitalism”, op. cit. 104 Vercellone, C. (2006), Elementi per una lettura marxiana dell’ipotesi del capitalismo cognitivo, op. cit., p. 55. 105 Si veda in merito il sito «The Commoner» (http://www.commoner.org.uk/).
un’immagine dei commons come qualcosa di esclusivamente già dato ed esistente, e lavorare all’ipotesi che il comune sia qualcosa che deve essere prodotto, costruito da un soggetto collettivo capace, nel processo della sua stessa costituzione, di distruggere le basi dello sfruttamento e di reinventare le condizioni comuni di una produzione finalmente libera»106.
Il sapere/lavoro astratto, contrapposto al sapere/lavoro concreto, ne indica la condizione giuridicamente libera, ma al contempo il suo carattere sociale di sfruttamento. Il sapere/lavoro astratto combina dunque le tematiche illuministiche della libertà giuridica (diritti, cittadinanza, ecc.) e il concetto dell’essere umano universale e astratto che ne è il portatore107. Parafrasando Marx,
potremmo dire che il sapere astratto corrisponde all’indifferenza per ogni specifica forma di lavoro: è sapere in generale, sapere sans phrase. In questo quadro la resistenza – come Chakrabarty evidenzia – è all’interno della logica stessa del capitale. Per quanto il potere disciplinare tenti di ridurlo a corpo docile108, il corpo vivente è una delle fonti irriducibili della resistenza alla disciplina. Questo è il punto cruciale: «Queste forze vitali sono lo scenario di un’incessante resistenza contro il capitale. Sono il lavoro vivo astratto – un insieme di muscoli, nervi e coscienza/volontà – posto, secondo Marx, dal capitale come suo contraddittorio punto di partenza. Nell’interpretazione vitalistica, la vita, nella sua piena facoltà biologica/cosciente di attività volontaria (il “gioco multilaterale dei muscoli”), è l’eccesso di cui il capitale, con tutte le sue procedure disciplinari, necessita sempre, ma che non può mai totalmente controllare o addomesticare»109. Dunque, per quanto astratto, il sapere/lavoro è vivo: ciò lo rende fonte di irriducibile resistenza rispetto all’astrazione capitalistica.
Andando oltre al significato letterale di sapere/lavoro vivo in quanto contrapposto al sapere/lavoro morto, lo possiamo allora interpretare nella sua connessione ai bisogni e desideri dei soggetti viventi della produzione. Il sapere/lavoro astratto è innervato di sapere/lavoro vivo, potenza che il capitale deve usare, ma che lo eccede continuamente: «Living labor is labor power defined in opposition, or better, in antagonistic relation to, capital. If the capitalist mode of production is founded on valorization, the increase of surplus value, then living labor is self-valorization. As capital seeks to reduce necessary labor and increase surplus value, living labor seeks to increase necessary labor and thus increase the effectivity of needs and desire»110. Data la sua costitutiva eccedenza, la riduzione del sapere/lavoro vivo a sapere/lavoro astratto non può essere risolta una volta per tutte: «Living labor confronts abstract labor as its internal condition and its costitutive
106 Mezzadra, S., Attualità della preistoria. Per una rilettura del capitolo 24 del primo libro del Capitale, «La
cosiddetta accumulazione originaria», op. cit.
107 Chakrabarty, D. (2004), Provincializzare l’Europa, op. cit.
108 Cfr. Foucault, M. (1975), Sorvegliare e punire. La nascita della prigione, Einaudi, Torino. 109 Chakrabarty, D. (2004), Provincializzare l’Europa, op. cit., p. 89.
outside. […] Marx presents abstract labor, the equalization and reduction of diverse labors and practices to the same standard, as a problem that is continually reposed»111.
Possiamo approcciare la questione della soggettività proprio a partire dal conflitto tra sapere/lavoro vivo e sapere/lavoro astratto112. Innanzitutto, va precisato che tale categoria si differenzia dai concetti di ideologia e coscienza: una parte della letteratura marxista, secondo Chakrabarty, riduce infatti il primo ad elemento sovrastrutturale, mentre colloca il secondo in una lineare progressione storica113. In altri termini, la coscienza di classe è interpretata come una misteriosa essenza preesistente al capitalismo e da questo alienata, che viene ricomposta dal soggetto storico della trasformazione e dalla sua avanguardia organizzata. La categoria di soggettività si differenzia anche da quella di cultura, spesso congelata in un dato essenzialistico, immutabile e primordiale; privata dunque dei suoi costitutivi elementi dinamici e conflittuali114.
La questione della soggettività mette in discussione l’assunto di fondo di molte teorie critiche che, secondo Aglietta, postulano un a priori del comportamento dei soggetti definito dalla supposta condotta economica razionale. Ciò che è un dato storico e relazionale viene così interpretato come una caratteristica permanente e immutabile della natura umana, in ciò che l’economista francese definisce una «filosofia idealista dell’uomo astratto»115. Il problema è allora indagare non solo come il capitale produce, ma anche come il capitale è prodotto, evitando quindi di considerare la riduzione del lavoro vivo a lavoro astratto come un dato oggettivo piuttosto che come una permanente fonte di tensione conflittuale: «What is overlooked is the manner in which the capitalist mode of production must be made and remade, not just at the level of economic relations but also at the intimate level of power relations affecting the body, habitus, and subjectivity of the worker»116. Bisogna fare attenzione, come Read correttamente osserva, a non confondere l’analisi del rapporto tra soggettività e modo di produzione con un’immagine funzionalista della società, secondo cui il capitale produrrebbe inevitabilmente una soggettività funzionale alla propria autoriproduzione. Per questa strada, ogni antagonismo non fa altro che riprodurre esclusivamente il sistema, dipingendo un circolo chiuso che preclude l’identificazione dei potenziali punti di rottura e fuoriuscita. Indagando i processi di costituzione materiale della soggettività, è quindi necessario soffermarsi sul duplice significato del genitivo presente nel titolo della tesi e già illustrato nella
111 Ivi, pp. 82-83.
112 Chakrabarty, D. (1989), Rethinking Working-Class History. Bengal 1890 to 1940, Princeton University Press,
Princeton, pp. 225-226.
113 Ivi, p. 224. 114 Ivi, p. 218.
115 Aglietta, M. (2000), A Theory of Capitalist Regulation. The US Experience, op. cit., p. 14.
Nota metodologica. La soggettività – nella forma di saperi, bisogni, desideri e affetti117 – non è semplicemente prodotta dal capitale, ma al contempo produce, condiziona e continuamente mette in discussione il modo di produzione capitalistico118. La costituzione materiale della soggettività e del
sapere vivo si sviluppano nella tensione permanente del rapporto tra «subjection» e «subjectification», tra assoggettamento capitalistico e processo di soggettivazione irriducibile al lavoro astratto119.
Su questa base, Read individua il carattere ambivalente della produzione di soggettività, che in sé non è funzionale né ai bisogni del lavoro vivo, né alle domande di valorizzazione capitalistica: «There is a production of subjectivity for capital – docile, individual, flexible and productive – and there is the counterproduction of another subjectivity. This counter-subjectivity is also produced in some sense for capital in that it is a necessary element of the valorization of capital, but it contains a supplement irreducible to the demands of capitalist valorization»120. In questo senso abbiamo definito il processo di soggettivazione come un campo di battaglia immanente alla logica dell’accumulazione capitalistica121. Lo stesso carattere ambivalente del processo è rintracciabile in un noto passaggio del Marx dei Grundrisse, quando osserva come l’accresciuta capacità produttiva e di consumo, il risparmio del tempo di lavoro e l’aumento del tempo libero trasformino i soggetti stessi. Ciò che dal lato del capitale è una forma di disciplinamento e di aumento del capitale fisso, dal punto di vista del lavoro vivo è il dischiudersi della potenza materiale della libera cooperazione e del sapere sociale122.
Il capitale si trova quindi di fronte una cooperazione sociale e una soggettività collettiva che esso stesso ha contribuito a creare, ma che non è del tutto riducibile alle sue esigenze123. Ciò non significa che tale soggettività sia immediatamente antagonistica; piuttosto, per dirla con Chakrabarty, vuol dire che la «Storia 1», cioè il passato posto dal capitale come propria condizione di esistenza, non può completamente assoggettare e sciogliere al proprio interno la «Storia 2», che
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Anche l’espansione della sfera dei bisogni, afferma Read, non è interamente prodotta o imposta dal capitale: «Thus, the tendency for needs to increase cannot be entirely explained by capital’s drive to create artificial needs because capital is caught in a conflict of drives working in the opposite direction» (Ivi, p. 81). In altri termini, chi appunta la propria attenzione esclusivamente sulle forme di alienazione, mercificazione e induzione dei bisogni nell’analisi dei consumi e degli stili di vita rischia di perdere di vista proprio la dinamica conflittuale sottesa al modo di produzione capitalistico.
118 Ivi, p. 9. 119 Ivi, p. 119. 120 Ivi, p. 100. 121
In questa prospettiva, a una logica che interpreta il modo di produzione capitalistico e la mercificazione del lavoro vivo come dato di fatto, processo ormai compiuto e concluso, Read contrappone una ricerca sulla formazione del modo di produzione capitalistico come processo in atto, bisognoso di riprodursi continuamente, e sempre messo in discussione dalla potenza della soggettività. In altri termini, la riproduzione dei rapporti di produzione e delle forze produttive implica l’incessante produzione e normalizzazione di credenze, bisogni e desideri, di particolari pratiche quotidiane, abitudini e comportamenti soggettivi (Ivi, pp. 34, 41).
122 Marx, K. (1968-1970), Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, op. cit.
contiene i presupposti del capitale, ma anche altri rapporti che non appartengono al suo ciclo di vita e non si prestano alla riproduzione della sua logica, che lo eccedono strutturalmente, in quanto storie della molteplicità di forme di vita e di resistenza124. È in questa eccedenza ed in questi
interstizi che si trovano le strade della potenziale rottura, ciò che permette di scrivere la storia nei termini della spaccatura, delle fratture, delle interruzioni che aprono – all’interno dell’orizzonte temporale del capitale – dei divenire differenti125. Una storia in cui, avverte lo storico bengalese, nessuna sintesi dialettica è possibile: «La Storia 2 non propone di scrivere storie alternative alla narrazione del capitale. In altre parole, la Storia 2 non costituisce un altro dialettico della logica necessaria della Storia 1. Pensarlo equivarrebbe a sussumere la Storia 2 nella Storia 1. È più proficuo pensare la Storia 2 come una categoria dotata del compito di interrompere costantemente le pulsioni totalizzanti della Storia 1»126. Poggiando su queste basi teoriche, possiamo leggere i processi produttivi contemporanei come tensione continua e conflitto tra sapere vivo e sua oggettivazione, tra general intellect incarnato nei corpi e sua riduzione al «sistema automatico di macchine»127 di cui parla Marx nelle già citate pagine del Frammento128.
124 Chakrabarty, D. (2004), Provincializzare l’Europa, op. cit., p. 94. 125 Ivi, p. 133.
126 Ivi, pp. 95-96. 127
Marx, K. (1968-1970), Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, op. cit., Vol. II, pp. 389-390.
128 A queste considerazioni conduce anche l’analisi di Franco Bifo Berardi: «Soggetto del sapere non è più la persona
umana ma la rete degli automatismi di cui le persone non sono che i prestatori di tempo astratto di attenzione. Il Capitale si costituisce in principio trascendente della conoscenza e dell’innovazione tecnica, e il sapere si produce e riproduce in condizioni di dipendenza automatica. In questo senso il sapere si precarizza, perché perde contatto con la continuità esperienziale, vissuta, sociale, del soggetto di conoscenza. In questo senso l’economia capitalistica diviene una sorta di fondamento neo-teologico dell’azione conoscitiva e tecnica» (Berardi, F. (2005), Per l’autonomia del conoscere, in DeriveApprodi, Roma, n. 25, p. 38).