PARTE I – IL CONTESTO TEORICO
2.3 Reti, tecnologie sociali e loro sovversione
Continuando ad osservare le tecnologie come cristallizzazione di rapporti sociali, innervate dal sapere vivo e continuamente aperte alla loro trasformazione, cerchiamo ora di allargarne il concetto. Assumendo le tecnologie in quanto strumenti per la gestione della vita, come Aihwa Ong in modo convincente suggerisce, la formazione – argomento centrale del presente lavoro – può essere considerata una tecnologia sociale per produrre soggetti in spazi differenziati, funzionalmente al «neoliberalismo» analizzato a sua volta come tecnologia di governo32. Ciò ci permette di mettere ulteriormente in evidenza il nesso, genealogico e dinamico, tra scienza, tecnologia e società: la produzione dei saperi e i rapporti sociali sono dunque la trama, nonché gli agenti di vivificazione e trasformazione continua dello sviluppo tecnologico. Pensiamo ancora alla rete telematica. Con la possibilità di creare e negoziare le relazioni sociali on-line, secondo Guido Martinotti33, viene superata la classica dicotomia tra comunità e società. Con il passaggio alla
società delle reti, argomenta Martinotti, per la prima volta le interazioni sociali sono private di ogni contenuto biotico. Dunque, è l’interazione che crea la società, non la fisicità della relazione: i confini tra reale e virtuale si sono così completamente ridefiniti, perché anche il secondo termine diventa produttore di una socialità non meno vera di quella “fisica”, e anche potenziale vettore di corporeità.
Assumere l’ipotesi di Martinotti, infatti, non significa disincarnare le relazioni sociali: al contrario, riteniamo che vada posto con forza il nesso tra l’interazione in rete e l’emergenza dei corpi. Può esserci d’aiuto il caso del flash mob, pratica relazionale e reticolare di carattere peculiarmente metropolitano che si sta diffondendo negli ultimi anni. Più precisamente, «con il termine flash mob (dall'inglese flash – breve esperienza e mob – moltitudine) si indica un gruppo di persone che si riunisce all'improvviso in uno spazio pubblico, mette in pratica un'azione insolita generalmente per un breve periodo di tempo per poi successivamente disperdersi. Il raduno viene generalmente organizzato attraverso comunicazioni via internet o tramite telefoni cellulari. In molti casi, le regole dell'azione vengono illustrate ai partecipanti pochi minuti prima che l'azione abbia luogo. Nella maggior parte dei casi, il flash mob non ha alcuna motivazione se non quella di rompere l’ordinarietà dell'esistente. I partecipanti all'azione (flashmobbers) si incontrano in un punto prestabilito per realizzare assieme un’azione corale che non ha alcun senso, se non
32 Ong, A. (2006), Neoliberalism as Exception. Mutations in Citizenship and Sovereignty, op. cit.
33 Lezione tenuta da Guido Martinotti all’Università della Calabria il 22 gennaio 2007 dal titolo Urbs Hospitalis:
contestualizzato in quei brevi istanti di evento»34. L’interazione in rete, dunque, produce – per dirla con Roland Barthes – l’evento di un incontro, qualcosa in rapporto a cui la singolarità è unica e insostituibile35. Un altro esempio, che assume un carattere immediatamente politico, è quanto
avvenuto a Madrid nei giorni immediatamente successivi all’attentato terroristico dell’11 marzo 2004. I fatti sono noti: di fronte alle falsificazioni del governo Aznar, che attribuiva la responsabilità all’organizzazione separatista basca ETA per occultare le responsabilità del suo esecutivo di fronte alla guerra in Iraq, nel giro di poche ore centinaia di migliaia di persone si sono mobilitate per protestare nelle piazze della capitale spagnola attraverso l’utilizzo delle tecnologie informatiche, in particolare gli sms. Anche in questo caso, per così dire, le relazioni in rete si sono fatte carne, determinando addirittura la caduta del governo di centro-destra nelle elezioni dei giorni seguenti. In quella che Toni Negri chiama la «Comune di Madrid», si è creata una vera e propria «relazione corporea di Rete»36. Dunque, approfondendo e articolando la feconda ipotesi di Martinotti, potremmo dire che la comunicazione in rete diventa il prisma attraverso cui si rimodella l’intero spettro delle relazioni sociali. È una forma di interazione mobile e flessibile, che rispecchia le forme della produzione contemporanea. La nuova corporeità non assume più i tratti del ritorno alla comunità. O meglio, laddove ciò avviene, spesso tale ritorno assume i tratti della comunità immaginata37 o della comunità terribile, di sangue e di suolo38, come negli ultimi quindici anni almeno si sono incaricati di dimostrare i linguaggi della territorializzazione identitaria, precipitati nelle retoriche di piccole o grandi patrie cementate da mitiche radici escludenti l’altro (si pensi solo alla guerra nella ex Jugoslavia). Si tratta, anche in questo caso, non di un ritorno al passato, ma di fenomeni completamente inscritti nella modernità, o nella postmodernità se si preferisce.
All’interno della rivoluzione spaziale che ha determinato l’emergere della metropoli produttiva, le interazioni in rete scandiscono le temporalità differenziate al cui interno si collocano i flussi di saperi, le pratiche di territorializzazione e deterritorializzazione, il nesso tra l’evento di un incontro e l’irrompere dei corpo. Dentro cui si pongono anche i problemi delle forme di organizzazione politica in generale. Nella produzione nei e sui movimenti sociali, infatti, è ormai da diverso tempo un leit motiv l’affermazione della rete non solo come forma tecnica e infrastruttura della comunicazione e del coordinamento, ma immediatamente come modello organizzativo39. L’idea non è nuova: già Lenin teorizzava il ribaltamento della forma dell’organizzazione produttiva
34
http://it.wikipedia.org/wiki/Flash_mob
35 Cfr. Ponzio, J. (2005), Il ritmo e le nuances: la dimensione musicale del testo in Roland Barthes, in Rivista
dell'Associazione Italiana di Studi Semiotici on-line, disponibile su http://www.associazionesemiotica.it/ec/pdf/ponzio_31_12_05.pdf
36 Negri, A. (a cura di Raf Valvola, 2006), Goodbye Mr. Socialism, Feltrinelli, Milano, p. 107.
37 Anderson, B. (1996), Comunità immaginate. Origine e diffusione dei nazionalismi, Manifestolibri, Roma. 38 Žižek, S. (2002), Benvenuti nel deserto del reale. Cinque saggi sull’11 settembre e date simili, Meltemi, Roma. 39 Cfr. Castells, M. (2003), Il potere delle identità, Università Bocconi Editore, Milano.
in forma dell’organizzazione politica sovversiva, secondo la celebre affermazione per cui il partito bolscevico deve essere organizzato come una banca. Risulta invece discutibile l’idea per cui la rete rappresenterebbe una forma per sua stessa natura orizzontale e non-gerarchica. L’emergere del modello di impresa a rete postfordista è spesso infatti interpretato come processo di de- verticalizzazione e orizzontalizzazione dei rapporti40, o di affermazione di un «capitalismo molecolare»41. L’ipotizzata orizzontalità dell’essenza della rete è spesso specularmente proposta nella discussione all’interno dei movimenti sociali e da una parte della sociologia che si occupa di studiarli. Tale prospettiva è invece criticata da Ned Rossiter, che si è incaricato di smentire in modo convincente non solo tale presupposto, ma anche l’insistente preoccupazione per qualsiasi forma di gerarchia e centralizzazione nelle dinamiche relazionali dei movimenti:
«There is a prevailing consensus that experiences of sharing, feedback, flexibility, and friendship are primary to the culture of networks. I wouldn’t dispute the importance of such social-technical dynamics. However, it is a mistake to think the horizontal, decentralizing and distributive capacities of digital networks as immune from a tendency to fall back into hierarchical and centralizing modes of organizations and patterns of behaviour. Indeed, there are times when such a move is necessary. Decisions have to be made. […] The so-called ‘open’ systems of communication are frequently not only not open, they also elide hierarchical operations that enable networks to become organized. Let us not forget that flexibility is also the operative mode of post-Fordist labour and its attendant double-edged sword of economic precarity and ontological precariousness»42.
La forma-rete nella gerarchia capitalistica e di governo andrebbe quindi meglio inquadrata come risposta all’impossibilità di un comando sul lavoro vivo impostato secondo i classici modelli top-down. Quindi, l’orizzontalizzazione dei rapporti e la messa in discussione delle gerarchie esistenti non è il punto di partenza, ma è piuttosto la posta in palio. Date queste premesse, particolare rilevanza assume il nesso rete-organizzazione per le forme di attivismo che hanno il proprio baricentro nel rapporto tra università e metropoli in particolare, tra cui si inscrivono anche le mobilitazioni dei precari che verranno analizzate nei due case studies. Il rapporto quotidiano che i lavoratori cognitivi hanno con la rete telematica fa parte, secondo Aronowitz, di un processo di occultamento del carattere di oggettivazione macchinica dell’attività umana, che mistifica – in misura addirittura maggiore rispetto alle fabbriche del periodo taylorista-fordista – i rapporti tra lavoro vivo e lavoro morto: «Mentre gli operai nell’industria automobilistica possono ancora bloccare la catena di montaggio, rivelando così la sua natura di lavoro oggettivato, mera estensione delle loro capacità produttive, il computer che regola la produzione della macchina appare
40 Romano, L. – Rullani, E. (1999), Il postfordismo. Idee per il capitalismo prossimo venturo, op. cit. 41 Bonomi, A. (1997), Il capitalismo molecolare. La società al lavoro nel Nord Italia, Einaudi, Torino. 42 Rossiter, N. (2006), Organized Networks. Media Theory, Creative Labour, New Institutions, NAi Publishers,
autonomo rispetto al lavoro umano»43. Ciò che Aronowitz legge, con accenti che potremmo definire marcusiani, nei termini dell’alienazione e dell’autonomizzazione della macchina rispetto al lavoro vivo, potrebbe essere interpretato da un altro punto di vista, quello della potenza e di un nuovo campo del possibile. La “telematizzazione” dell’attività umana colloca infatti le forme organizzative su un piano immediatamente reticolare, eccedendo così i tempi formalmente dedicati al lavoro. Ross illustra con chiarezza i contorni del processo:
«Gli attivisti hanno spesso relazioni con l’industria della conoscenza, ma è difficile dire ciò che costituisce tempo di lavoro o tempo libero. Ovunque i lavoratori spendono quotidianamente sempre più tempo con e-mail o blog, attività assolutamente rilevanti per il lavoro per cui sono pagati. Molta dell’attività politica viene fatta da persone con alte capacità, che allungano la propria giornata lavorativa per includervi qualcosa di politicamente significativo. Ma non lo fanno in quanto knowledge workers, bensì in quanto lavoratori che hanno accesso alle tecnologie e che hanno il tempo per l’attività organizzativa»44.
In merito al rapporto tra tecnologia e università, l’emergere (in Italia ancora stentato, negli Stati Uniti da diverso tempo pienamente sviluppato) dell’e-learning, o meglio del «technical- enhance-learning o digital-enhance-learning»45, si situa all’interno del campo di ambivalenza sopra tratteggiato. Se da una parte, infatti, le tecnologie di insegnamento a distanza producono un taglio dei costi, innanzitutto quelli della forza-lavoro e dunque un ulteriore processo di precarizzazione, oltre al rischio per i lavoratori cognitivi di divenire «forzati della rete»46, dall’altra vivono all’interno delle pratiche quotidiane del lavoro vivo, della gestione dei tempi e dell’attività, dischiudendo anche nuove possibilità per costruire percorsi di formazione alternativi a quelli accademici, capaci di abitare produttivamente le frontiere tra università e flussi metropolitani. È questo il caso delle reti di «autoformazione» e di «università nomadi» che – ancora piccole e frammentarie, ma potenzialmente dotate di un carattere di esemplarità e riproducibilità – negli ultimi anni si sono diffuse in varie parti del mondo. Inoltre, come Silver fa notare rispetto all’«industria della formazione», le stesse innovazioni tecnologiche che sembrano apparentemente indebolire la posizione dei lavoratori sul mercato, possono al contrario da questi essere utilizzate per aumentare la propria forza contrattuale47. È ciò che è successo in una singolare vertenza condotta dai sindacati dei portuali, che hanno accettato che le compagnie di stivaggio introducessero la containerizzazione, forma di automazione che riduce la necessità di forza-lavoro, in cambio di un reddito annuo garantito per una parte dei dipendenti, disposti a scambiare il controllo sul luogo di lavoro con tempo libero e reddito per goderne48.
43 Aronowitz, S. (2006), Post-Work. Per la fine del lavoro senza fine, op. cit., p. 154. 44 Intervista ad Andrew Ross, New York City, 26 maggio 2006.
45 Intervista a Guido Martinotti, New York City, 18 aprile 2006.
46 Lessard, B. – Baldwin, S. (2001), Netslaves. I forzati della rete, Fazi, Roma.
47 Silver, B. J. (2003), Forces of Labor. Workers’ Movement and Globalization since 1870, p. 119. 48 Aronowitz, S. (2006), Post-Work. Per la fine del lavoro senza fine, op. cit.
Complessivamente, la rete diventa anche il modello di produzione dei saperi e di formazione dell’intelligenza collettiva: tra i molti esempi che si potrebbero citare, ci limitiamo a segnalare il caso di Wikipedia, enciclopedia costruita in modo processuale e cooperativo attraverso i liberi contributi dei soggetti interconnessi, sottoposti a valutazione collettiva, il che ne garantisce l’adeguata scientificità49. Si potrebbe dire che la produzione di innovazione e conoscenze è sempre più open source, «in flagrante contraddizione con l’affermarsi dell’economia della proprietà intellettuale privata»50. In questo framework, a partire dai nostri due casi di studio e dal contesto universitario, verrà approfondito il nesso tra rete ed emergenza dei corpi, così come il rapporto – carico di problemi e nodi irrisolti – tra forma-rete, forma dell’organizzazione politica e decisione. Ovvero, ci interessa analizzare come – una volta assunta la forma-rete come forma dell’organizzazione politica – ciò sia stato tradotto nelle esperienze di conflitto sui saperi.
49 http://it.wikipedia.org/