PARTE I – IL CONTESTO TEORICO
2.2 Il rapporto tra capitale fisso e capitale variabile
Le nuove tecnologie sono anche uno dei vettori attraverso cui è passata la tendenziale indistinzione tra tempi di vita e di lavoro. Per i lavoratori cognitivi diventa sempre più difficile distinguere l’utilizzo delle nuove tecnologie per il tempo di lavoro e per il tempo libero, per l’occupazione e per il piacere: «For employees who consolidate office and home, who work and play in the same clothes, and whose social life draws heavily on their immediate colleagues, there are no longer any boundaries between work and leisure»17. Nell’ipotizzata transizione al capitalismo cognitivo il classico rapporto tra capitale fisso e capitale variabile va rideclinato. Infatti, a differenza delle conoscenze sottratte agli artigiani e agli operai nella fase del “capitalismo industriale” e incorporate nelle macchine, oggi i saperi – nella misura in cui diventano forza produttiva diretta e centrale – non possono essere completamente trasferiti né alla macchina né all’impresa. In altre parole, la conoscenza non viene ceduta completamente e quindi interamente strappata al suo detentore, ma gli resta appiccicata addosso. Le nuove tecnologie si basano infatti sulla produzione e gestione dinamica di conoscenze, linguaggi e informazioni, che non possono essere separati completamente dai soggetti della cooperazione sociale e staticamente incapsulati nelle macchine, pena bloccare il processo stesso dello sviluppo tecnologico. La separazione può avvenire su un piano formale e artificiale, il che – come suggerito da Joel Mokyr – finisce sul lungo periodo per portare alla crisi del flusso di innovazione. «Il principale capitale fisso diventa l’uomo stesso»18, afferma Vercellone parafrasando Marx.
Indagando il rapporto tra capitale fisso e capitale variabile, Christian Marazzi descrive l’emergenza di un «modello antropogenetico», cioè basato sulla produzione dell’uomo attraverso l’uomo, «in cui la possibilità della crescita endogena e cumulativa è data soprattutto dallo sviluppo del settore educativo (investimento nel capitale umano), del settore della sanità (evoluzione demografica, biotecnologie) e di quello della cultura (innovazione, comunicazione e creatività)»19. Nel modello antropogenetico, continua Marazzi, «la smaterializzazione del capitale-fisso e dei prodotti-servizio ha quale suo corrispettivo concreto la “messa al lavoro” delle facoltà umane […] che, interagendo con sistemi produttivi automatizzati e informatizzati, sono direttamente produttive di valore aggiunto. […] Nella nostra ipotesi, il corpo della forza-lavoro, oltre a contenere la facoltà di lavoro, funge anche da contenitore delle funzioni tipiche del capitale fisso, dei mezzi di
17 Ross, A. (2003), No-Collar. The Human Workplace and Its Hidden Costs, p. 19
18 Vercellone, C. (2006), Elementi per una lettura marxiana dell’ipotesi del capitalismo cognitivo, op. cit., p. 52. 19 Marazzi, C. (2005), Capitalismo digitale e modello antropogenetico di produzione, op. cit., p. 109.
produzione in quanto sedimentazione di saperi codificati, conoscenze storicamente acquisite, grammatiche produttive, esperienze, insomma lavoro passato»20.
Problematizzando il quadro, onde evitare di ritenere definitivamente superata una dinamica i cui effetti invece continuano, potremmo dire che il processo di cristallizzazione e oggettivazione del sapere nel sistema delle macchine non è completamente obsoleto, tuttavia si articola in modo nuovo e peculiare: il lavoro/sapere morto ha bisogno di essere vivificato con tempi estremamente più rapidi, da cui sfugge continuamente un eccesso di sapere vivo21 e sociale22. Proprio questo eccesso di sapere vivo, riproducendosi e sottraendosi alla cattura del sapere morto, determina una nuova temporalità attraverso cui indagare il rapporto sociale condensato nello sviluppo tecnologico.
Si prenda ad esempio il noto caso del conflitto tra open e free software da una parte, e software proprietario dall’altra. La cattura capitalistica attraverso il copyright, dunque la cristallizzazione del sapere vivo della cooperazione sociale nel sapere morto della tecnologia proprietaria, non solo rischia di bloccare il processo di innovazione, ma mette a repentaglio la sopravvivenza dello stesso sviluppo tecnologico. Tanto è vero che una grande corporation come la IBM ha optato per un’alleanza con Linux, software open source, mentre persino Microsoft – storico bastione della proprietà intellettuale – è costretta a rendere aperto una parte almeno del proprio codice sorgente, per permettere collaborazione e miglioramento continuo del proprio prodotto, e dunque una cattura più dinamica delle forme cooperative che eccedono la sua politica proprietaria23. Il fenomeno della new-net economy, ad esempio, spesso ridotto a semplice bolla speculativa leggibile attraverso le leggi dell'economia classica, è in realtà profondamente radicato in una lotta aperta – talvolta latente e talaltra esplicita, non sempre priva di inedite, contraddittorie e composite alleanze – tra i monopolisti dell'informazione e della comunicazione da una parte, e chi si schiera (per scelta libertaria o per interessi economici) per la libera circolazione dei saperi e delle tecnologie dall’altra. Cercando di fornire una lettura politica della recessione, Carlo Formenti ha tentato di dimostrare come i suoi meccanismi «riflettano nuove forme di conflitto sociale più che le leggi del mercato»24. Secondo Formenti, infatti, la rivoluzione digitale, lo sviluppo della Rete e conseguentemente della net economy è il risultato di un complesso quadro in cui si intrecciano
20
Ivi, p. 111.
21 Con sapere vivo, come specificheremo meglio nel prossimo capitolo, intendiamo i soggetti viventi e cooperanti della
produzione del sapere, prodotto e mezzo di produzione centrale nel capitalismo cognitivo.
22 Scrive Ricci: «Il lavoro “cognitivo” è un lavoro complesso, di natura intellettuale, frutto dei processi di
apprendimento e di formazione continua del lavoratore all’interno e all’esterno del momento produttivo. Il lavoratore deve imparare a pensare per la macchina, ne deve imparare le procedure, i codici, il linguaggio, deve imparare a capire cosa la macchina vuole. Questo processo di apprendimento intellettuale, di carattere continuo e processuale, richiede tempo, energie, dispendio di risorse maggiori dei processi di apprendimento manuali, di carattere discreto, richiesti al lavoratore “fordista”» (Ricci, A. (2004), Dopo il liberismo. Proposte per una politica economica di sinistra, op. cit., p. 230).
23 Himanen, P. (2001), L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione, Feltrinelli, Milano. 24 Formenti, C. (2002), Mercanti di futuro. Utopia e crisi della Net Economy, Einaudi, Torino, p. VII.
indissolubilmente etica hacker e nuove culture di impresa, «anarcocapitalismo» e «comunismo delle idee», utopia sociale e ricerca del business, empowerment dei consumatori e lavoratori net slaves. La sua crisi – inaugurata dal tonfo dell'indice Nasdaq nella primavera del 2000 e accelerata dal crollo delle Twin Towers l'11 settembre dell'anno successivo – avrebbe quindi aperto una fase di «controrivoluzione digitale», in cui lo scontro avviene sui campi della proprietà intellettuale, del copyright e dei brevetti.
Soffermiamoci a questo punto sul Frammento sulle macchine, testo con cui si misurano molte delle analisi sull’ipotizzato passaggio al capitalismo cognitivo. Il general intellect di cui Marx parlava era incardinato nel sistema di macchine, «messo in moto da un automa, forza motrice che muove se stessa; questo automa è costituito di numerosi organi meccanici e intellettuali, di modo che gli operai stessi sono determinati solo come organi coscienti di esso»25. La scienza e i saperi prodotti dal lavoro vivo sono dunque appropriati e catturati dal capitale, presentandosi come proprietà del capitale fisso, frantumando e sussumendo l’attività dell’operaio nel processo complessivo delle macchine:
«L’attività dell’operaio, ridotta a una semplice astrazione di attività, è determinata e regolata da tutte le parti dal movimento del macchinario, e non viceversa. La scienza, che costringe le membra inanimate delle macchine – grazie alla loro costruzione – ad agire conformemente ad uno scopo come un automa, non esiste nella coscienza dell’operaio, ma agisce, attraverso la macchina, come un potere estraneo su di lui, come potere della macchina stessa. La appropriazione del lavoro vivo ad opera del lavoro oggettivato – della forza o attività valorizzante ad opera del valore per se stante –, che è nel concetto stesso del capitale, è posta, nella produzione basata sulle macchine, come carattere del processo di produzione stesso, anche dal punto di vista dei suoi elementi materiali e del suo movimento materiale. […] L’accumulazione della scienza e dell’abilità, delle forze produttive generali del cervello sociale, rimane così, rispetto al lavoro, assorbita nel capitale, e si presenta perciò come proprietà del capitale, e più precisamente del capitale fisso, nella misura in cui esso entra nel processo produttivo come mezzo di produzione vero e proprio»26.
Conseguentemente, sostiene ancora Marx, «il modo di lavoro determinato si presenta dunque direttamente trasferito dall’operaio al capitale nella forma della macchina, e la sua propria forza-lavoro, svalutata da questa trasposizione. Donde la lotta degli operai contro le macchine. Ciò che era attività dell’operaio vivo diventa attività della macchina. Così l’appropriazione del lavoro da parte del capitale, il capitale che assorbe in sé il lavoro vivo – “come se in corpo ci avesse l’amore” – si contrappone tangibilmente all’operaio»27. Ma se la macchina ha bisogno di essere innovata continuamente dal sapere vivo, accorciando i tempi del suo sviluppo, ciò determina uno scarto tra la produzione di scienza e la sua cattura «al servizio del capitale»28. In altri termini, il sapere sociale generale viene tendenzialmente riappropriato dal corpo vivo del general intellect. Assumere questo
25 Marx, K. (1968-1970), Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, op. cit., Vol. II, p. 390. 26 Ivi, pp. 390-392.
27 Ivi, p. 400. 28 Ivi, p. 399.
non significa che il lavoro vivo cessi di essere oggettivato nel lavoro morto; piuttosto, si vuole indicare il suo continuo eccedere – nella struttura produttiva contemporanea – le forme di appropriazione. In altre parole, per utilizzare il lessico del Frammento, possiamo forse sostenere che si riduce l’autonomia del sistema di macchine, nella misura in cui cresce l’autonomia della cooperazione sociale. Analizzare la tendenza, del resto, significa individuare il campo del possibile immanente allo stato di cose presente, non la predizione di uno sviluppo lineare e oggettivo. Le rotture e deviazioni dalla linea di tendenza non solo possono avvenire, ma sono anzi altrettanto immanenti alle relazioni di forza e di potere del capitalismo, marxianamente inteso come rapporto sociale.
La stessa genealogia dello sviluppo tecnologico ci permette di leggerlo come risposta ai processi di lotta e frammentazione di un livello dato della composizione di classe29, ma anche come determinazione di un nuovo campo di conflitti e possibilità. In modo chiaro lo mette in evidenza Ross:
«The record of work restructuring shows how easily the original worker demands for liberation from boredom – dating to the 1970s ‘refusal of work’ – have been interpreted as opportunities to increase productivity and shed ‘surplus’ employees. Managerial innovations in the last three decades have been devoted to freeing up the workplace in ways somewhat different from the employees’ Utopia – by stripping away layers of security, protection, and accountability. So, too, technological innovations have also made it possible to prise work away from its fixed anchoring in a single job with a single job-holder; work tasks can now be broken down, reassigned all over the world, and the results recombined into e new whole through the use of work-flow platforms»30.
Dunque, le tecnologie non smarriscono la possibilità di aprirsi a un uso radicalmente alternativo per il solo fatto di essere sussunte nel capitale fisso. Sulla scorta dell’argomentazione qui svolta, assumiamo che la cristallizzazione del sapere vivo nel sapere morto sia oggi aperta ad una continua reversibilità, problematica e indispensabile per il sistema capitalistico, e al contempo terreno di potenzialità per il libero sviluppo della cooperazione sociale. Del resto, come già lo stesso Marx sottolineava: «Le macchine non perderebbero il loro valore d’uso quando cessassero di essere capitale. Del fatto che le macchine sono la forma più adeguata del valore d’uso del capitale fisso, non consegue minimamente che la sussunzione sotto il rapporto sociale del capitale sia il rapporto
29 Fiocco, L. (1998), Innovazione tecnologica e innovazione sociale. Le dinamiche del mutamento della società
capitalistica, Rubbettino, Soveria Mannelli. Già Marx evidenziava in modo estremamente chiaro il nesso tra lotte operaie e sviluppo tecnologico: «In Inghilterra gli scioperi hanno regolarmente dato luogo all’invenzione e
all’applicazione di qualche nuova macchina. Le macchine erano, si può dirlo, l’arma che impiegavano i capitalisti per abbattere il lavoro speciale in rivolta. La self acting mule, la più grande invenzione dell’industria moderna, mise fuori combattimento i filatori rivoltosi. Quando le coalizioni e gli scioperi non avessero altro effetto che di far reagire contro di essi gli sforzi del genio meccanico, sempre eserciterebbero una influenza immensa sullo sviluppo dell’industria» (Marx, K. (1922), Miseria della filosofia. Risposta alla filosofia della miseria del Sig. Proudhon, in Opere, vol. I, Società Editrice Avanti!, Milano, pp. 112-113).
30 Ross, A. (2006), Nice Work if You Can Get it: The Mercurial Career of Creative Industries Policy, in Work
sociale di produzione ultimo e più adeguato per l’impiego delle macchine»31. In questo senso, lungi dall’essere neutrali, le tecnologie non sono né buone né cattive: piuttosto, definiscono e sono definite da un terreno di scontro, tra potenziamento della cooperazione sociale e appropriazione capitalistica.