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Il Ddl Moratti e le mobilitazioni contro la precarietà

PARTE II – LA RICERCA EMPIRICA

6.2 Il Ddl Moratti e le mobilitazioni contro la precarietà

È esattamente nel quadro del processo di aziendalizzazione dell’università che va collocato il Disegno di legge delega sul «riordino dello stato giuridico e del reclutamento dei professori universitari» avanzato dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca Letizia Moratti e approvato il 16 gennaio 2004 dal Consiglio dei ministri23. Esso ha scatenato un largo dissenso nel mondo universitario. Molti tra rettori, docenti, ricercatori, le varie figure di precari, fino ad arrivare agli studenti, hanno espresso posizioni particolarmente critiche nei confronti del progetto ministeriale, o addirittura di risoluta opposizione, dando vita a mobilitazioni di piazza e diversificate iniziative di protesta, a pochi mesi di distanza dall’inizio delle lotte dei ricercatori francesi contro analoghi provvedimenti legislativi24.

In estrema sintesi, i punti più contestati del Ddl riguardano la messa ad esaurimento del ruolo di ricercatore, sostituito con contratti di collaborazione coordinata e continuativa e a tempo determinato rinnovabili una sola volta (eventualmente trasformabili in contratti a tempo indeterminato previa valutazione del docente in base a criteri definiti dalle università); l’abolizione per i professori della distinzione tra tempo pieno e tempo determinato, così che il rapporto di lavoro dei docenti sia compatibile con lo svolgimento di attività professionali e di consulenza esterna; l’aperta incentivazione della possibilità di realizzare specifici programmi di ricerca sulla base di convenzioni con imprese, fondazioni o enti privati, tali da permettere ai singoli atenei di procacciarsi fondi anche per sostenere le spese relative agli incarichi di docenza.

Nell’articolata e composita opposizione al Ddl, la nostra attenzione si è concentrata in particolare su quella parte che si è riconosciuta nella definizione di «ricercatore precario», riconducibile principalmente alle figure di dottorandi, specializzandi, assegnisti, docenti a contratto, ricercatori non confermati. Si tratta di una costellazione indubbiamente variegata, che tuttavia è unita – oggettivamente e ora anche soggettivamente – dal dato della precarietà delle proprie condizioni di lavoro e di vita, non come minaccia di un futuro prossimo, ma come cifra della propria quotidianità. Questi soggetti hanno sostenuto la propria attività di mobilitazione attraverso la costruzione di una Rete Nazionale dei Ricercatori Precari (RNRP), alla cui fase costituente hanno preso parte molti studenti, spesso portandovi l’apporto di collettivi già esistenti. Proprio riforma e precarietà sono considerati i punti di unificazione tra le rivendicazioni dei ricercatori e le istanze

23 http://www2.cipur.it/MIUR/comunicato16gen04.htm 24 http://recherche-en-danger.apinc.org/

degli studenti, a partire dal cambiamento della figura di questi ultimi25. Come viene evidenziato dagli intervistati, infatti, nel passaggio ai già descritti modelli di inclusione differenziale cambiano anche i claims principali della mobilitazione rispetto alle lotte studentesche dei decenni trascorsi: la rivendicazione del diritto allo studio (in quanto allargamento dell’accesso all’università) sicuramente non scompare, tuttavia deve fare i conti con un processo di trasformazione del sistema dell’istruzione superiore. Potremmo parlare di un passaggio dalla battaglia tra inclusione ed esclusione, a un conflitto sulla qualità dell’inclusione.

Le figure che hanno dato vita alla Rete costituiscono solo una fetta di coloro che hanno contestato il Ddl Moratti. Al contempo, l’analisi di queste figure può essere interessante e paradigmatica nella misura in cui si tratta di una parte (minoritaria, ma non certo esigua) della fascia generazionale che ha attraversato, in toto o solo nella sua fase più recente, il lungo processo di trasformazione dell’università che è ancora oggi dispiegato sotto i nostri occhi. Soprattutto, la nostra ricerca si è concentrata su questi soggetti in quanto si tratta di quelli che in modo più sistematico hanno messo in evidenza il legame tra il Disegno di legge e il processo di aziendalizzazione. Come vedremo, molti sottolineano come lo stesso Ddl sia un semplice prodotto di un trend di precarizzazione di lungo periodo e di una più generale trasformazione dell’università.

Coloro che hanno dato vita all’esperienza della RNRP (di cui le interviste tentano di restituire un quadro realistico) è infatti compreso in un arco di età che va dai 24-25 ai 39-40 anni, con una media che si aggira intorno ai 30-35 anni. All’interno della Rete vi sono persone senza un background politico strutturato, che hanno avuto qui una delle prime occasioni di affacciarsi alla «vita pubblica»26. È interessante come diversi ricercatori precari mettano in evidenza l’importanza avuta dei movimenti negli ultimi anni, dalle grandi mobilitazioni contro i vertici internazionali e la guerra alle esperienze dei social forum o di altri luoghi di discussione allargati. Ciò, insieme alla percezione di un contesto comune e generalizzato della precarietà, segna un punto di diversità rispetto ad analoghe forme di mobilitazione del passato, impedendo – almeno in partenza – un’immediata chiusura corporativa e settoriale della protesta. Troviamo poi figure che hanno avuto esperienze politiche in passato, per le quali la mobilitazione dei ricercatori precari ha rappresentato l’occasione per «riattivarsi». C’è chi aveva partecipato alle attività dei collettivi studenteschi, altri vengono dalle lotte della Pantera nel ’90, magari nella stessa università in cui sono tornati a mobilitarsi da precari della ricerca. La Rete dei ricercatori precari ha dunque rappresentato un luogo per costruire nuove relazioni, o per riallacciare quelle passate, aprendo quindi uno spazio di

25 «Alcuni intendono la precarietà come ciò che comincia dopo il dottorato, mentre a mio avviso inizia prima, già il

dottorato e la stessa attività dello studente è un lavoro, per quanto sia una fase di formazione» (Intervista a Daniele, Pisa, 17 luglio 2004).

26 Laddove non ci sono esplicite citazioni, in questa parte empirica le virgolette basse sono impiegate per riportare

incontro, confronto e ibridazione di esperienze e linguaggi differenti. Infine, ci sono attivisti e militanti – soprattutto dottorandi, assegnisti, contrattisti – che fino a qui, tuttavia, avevano riversato il proprio impegno politico al di fuori del lavoro accademico.

La RNRP, pur essendo costituita principalmente da dottorandi, contrattisti e assegnisti, non è certamente rappresentativa dell’insieme di queste figure. Da una parte per le proprie dimensioni tutto sommato ridotte, benché sufficientemente diffusa negli atenei nazionali (è presente in una dozzina di regioni, abbastanza distribuite per area geografica27), tanto da meritare attenzione analitica in quanto prima esperienza di network autorganizzato tra tali soggetti. Dall’altra parte, si potrebbe dire che la non-rappresentatività è tra gli obiettivi e le ragioni d’essere della Rete stessa, segnando un punto di diversità sostanziale rispetto alla forma-partito e alla forma-sindacato (anche nella sua versione autorganizzata). Nel repertorio di attività della Rete, troviamo certo le pratiche più propriamente sindacali o le azioni di lobbying, ad esempio la contrattazione con i singoli atenei e le audizioni con i parlamentari della maggioranza e soprattutto dell’opposizione sensibili al problema del Ddl; ma si possono anche individuare altri tipi di pratiche (ad esempio la costruzione dei «seminari di autoformazione», il ragionamento critico sulla «trasmissione dei saperi», la partecipazione alle mobilitazioni del «precariato sociale») che configurano l’ambizione di collocarsi in una dimensione politica complessiva e non semplicemente settoriale. Su questa base, oltre che attorno alla comune percezione della precarietà, si è costruito il rapporto con gli studenti.

Dopo l’approvazione del Ddl Moratti, le tappe principali del percorso di mobilitazione della Rete sono comprese nel periodo che va dal 17 febbraio 2004 al 25 ottobre 2005. La prima è la data di convocazione di una mobilitazione nazionale dell’università a “La Sapienza” di Roma da parte di CGIL-CISL-UIL, che – secondo i racconti degli attivisti della Rete – sfuggì di mano ai sindacati che l’avevano promossa, portando alla ribalta il protagonismo di studenti e ricercatori precari. Da lì nacque il percorso della RNRP. Dopo aver convocato blocchi della didattica per un’intera settimana in tutti gli atenei italiani (come avvenne dall’1 al 5 marzo 2004), o condotto blocchi stradali (è successo il 29 settembre 2005 davanti al Senato, mentre si stava votando il Disegno di legge), il Ddl è diventato legge Moratti il 25 ottobre 2005. In quella giornata, dopo diverse settimane di occupazione, circa 150.000 persone hanno manifestato da “La Sapienza” fin sotto al Parlamento, assediandolo, dopo aver respinto diverse cariche da parte della polizia28. La composizione della

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All’interno della RNRP, i singoli nodi hanno scelto percorsi in parte diversi. Ad esempio, il nodo romano si è strutturato, a partire dal novembre 2005, nell’Associazione PreCat (http://www.precat.it/joomla/), che si propone di superare la distinzione tra azione politica e sindacale sperimentando un nuovo modello organizzativo, mentre gli attivisti del nodo napoletano hanno scelto di entrare nell’FLC-CGIL nel tentativo di «utilizzarne le strutture».

28 Per l’analisi di queste mobilitazioni ci avvaliamo, oltre che del metodo dell’osservazione partecipante, anche dei

materiali di una ricerca “autogestita” da studenti e precari sulle occupazioni e sui movimenti dell’autunno 2005 all’università di Roma. I materiali sono discussi in Brancaccio, F. – Fredda, S. (a cura di, 2006), Il tempo dei saperi. Tavola rotonda, in Posse, Roma.

mobilitazione a quel punto era mutata: gli studenti sono stati la parte non solo maggioritaria ma politicamente trainante, mentre successivamente il rapporto con i ricercatori precari si è parzialmente indebolito.

La non definizione della Rete secondo parametri sindacali e politici è stata anche foriera di evidenti difficoltà. Soprattutto a partire dall’autunno 2004, con il passaggio dalle grandi assemblee e mobilitazioni di piazza ai mezzi di lotta più propriamente diretti all’ambito lavorativo (ad esempio non accettazione degli incarichi, delle supplenze e degli affidamenti, oppure i blocchi della didattica e degli esami), i precari della ricerca si sono scontrati con l’incapacità di trovare adeguate forme di protesta che fossero il corrispettivo dello sciopero tradizionale (reso problematico dalle forme stesse del precariato) ed efficaci strumenti di pressione vertenziale. Non a caso, è proprio in questo periodo che la visibilità dei «soggetti precari» tende ad offuscarsi, per lasciare parzialmente il posto nella protesta alle figure universitarie strutturate e alla CRUI, che ha sempre avuto un atteggiamento critico – seppur dialogante – rispetto al Ddl Moratti. Ciò costituisce uno dei problemi che verranno indagati, in quanto limite delle mobilitazioni stesse nel contesto italiano.

6.3 Precarietà di lavoro e precarietà dell’autonomia: una griglia di analisi della