Altro elemento che permette di confrontare le due Convenzioni è l’importanza che assumono le comunità e come si stia evolvendo il loro ruolo nell’ambito della salvaguardia e gestione del patrimonio culturale.
Nella Convenzione UNESCO del 2003 si parla di “comunità e gruppi” come coloro che riconoscono le espressioni, le prassi, le conoscenze, i saperi tradizionali, ecc. (ossia il patrimonio culturale immateriale, come definito dal testo) come parte integrante del loro patrimonio culturale, che essi ricreano costantemente, adeguandolo anche ai cambiamenti dell’ambiente, della storia e della loro interazione con la natura (art. 2, paragrafo 1). Si fa riferimento dunque a comunità “naturali”, che si formano tendenzialmente sulla base dell’appartenenza ad un determinato gruppo etnico, ad un territorio, ad una storia o ad una tradizione che da sempre, e tuttora, le
195 ZAGATO L., “The Notion of ‘Heritage Community’ in the Council of Europe’s Faro Convention. Its impact on the European Legal Framework” in ADELL N., BENDIX R. F., BORTOLOTTO C., TAUSCHEK M. (eds.), Between Imagined Communities of Practice. Participation, Territory and the Making of Heritage, Gottingen University Press, Gottingen, 2015, pp. 141-168
196 ZAGATO L., “(In-)tangible Cultural Heritage ad a World of Rights?” in PINTON S., ZAGATO L. (a cura di), Cultural Heritage. Scenarios 2015-2017, Edizioni Ca’ Foscari, Venezia, 2017, pp. 521-537
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contraddistinguono197. La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa rafforza e
amplia il concetto delineato nel 2003 introducendo l’idea di “comunità patrimoniale”, ossia di aggregazioni di collettività in cui i membri riaffermano costantemente la loro adesione al gruppo, anche se si collocano in spazi transnazionali e discontinui198.
Rispetto quindi alla definizione precedente, gli individui e la società civile vengono posti ancora più al centro dell’azione sul patrimonio; è il senso di responsabilità collettiva che le comunità sono in grado di dimostrare nei confronti del patrimonio ciò che permette di delineare il valore stesso (che assume quindi importanza anche “sociale”) che viene attibuito a tale patrimonio. In questo modo, sono i cittadini a contribuire alla sopravvivenza di queste testimonianze e alla costruzione del patrimonio comune dell’Europa, favorendo la diffusione della diversità culturale, delle numerose interpretazioni del patrimonio e della democratizzazione dell’accesso, tutti aspetti che vengono introdotti dalla Convenzione UNESCO ma sono sviluppati soprattutto con le riflessioni del Consiglio d’Europa 199 . Un’autorevole fonte
antropologica ha sottolineato la differenza tra le definizioni di patrimonio, dal punto di vista dei soggetti che lo riconoscono: le comunità e i gruppi della Convenzione del 2003 sono coloro che “creano, mantengono e trasmettono” il patrimonio, identificato come proprio e gli stessi che legittimamente possono preventivamente dare un libero consenso all’implementazione delle misure di salvaguardia. Il patrimonio è quindi definito come un oggetto con un soggetto e ci si chiede se sia necessario stabilire di chi esso sia, ai fini pratici della sua attuazione; ma definirne la proprietà può favorire l’avvicinamento delle persone al processo decisionale e alle attività in merito. Invece, con la Convenzione di Faro il patrimonio acquisisce significato non solo per i portatori di interesse e di saperi o per i professionisti del settore, ma anche per gli “altri”, ossia
197 ZAGATO L., “The Notion of ‘Heritage Community’ in the Council of Europe’s Faro Convention. Its impact on the European Legal Framework” in ADELL N., BENDIX R. F., BORTOLOTTO C., TAUSCHEK M. (eds.), Between Imagined Communities of Practice. Participation, Territory and the Making of Heritage, Gottingen University Press, Gottingen, 2015, pp. 141-168.
198 BORTOLOTTO C., “Gli inventari del patrimonio cultural intangibile - quale ‘partecipazione’ per quale comunità?” in SCOVAZZI T., UBERTAZZI B. e ZAGATO L., Il patrimonio culturale nelle sue diverse
dimensioni, Giuffré Editore, Milano, 2012, pp. 75-91
199 LIÉVAUX P., “The Faro Convention, an original tool for building and managing Europe's heritage”
in CONSIGLIO D’EUROPA, Heritage and Beyond, Council of Europe Publishing, Strasbourg, 2009, p. 45
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le comunità vicine, i visitatori, gli acquirenti, i pubblici e i partecipanti agli spettacoli pubblici, ecc.; non coinvolge più solo un “tu ed io” nei confronti del patrimonio, ma stabilisce un dialogo con gli “altri”, che ispirano e si lasciano ispirare da loro200.
Da ciò emerge un differente approccio nei confronti delle comunità e del loro patrimonio; la Convenzione del 2003 attribuisce una sorta di “premio” alle comunità e agli individui che possiedono determinate conoscenze, abilità, saperi, sulla base di un valore universale riconosciuto al patrimonio culturale, mentre la Convenzione di
Faro riconosce i soggetti come fossero un’“agenzia della società civile”, ossia un
gruppo caratterizzato da un patrimonio ben definito, di cui ne rivendica il riconoscimento. Quest’ultima ipotesi offre alla società civile locale (anche ai singoli individui e non più ai soli esperti) la possibilità di sviluppare e promuovere in prima persona le politiche culturali sul patrimonio201, incentivando quello che viene definito
un processo di bottom-up. Al contrario, invece, con la Convenzione del 2003 rimane degli Stati Parte, seppure in collaborazione con le comunità e con i gruppi, la responsabilità della salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (art. 11); si richiede alle Parti “ogni sforzo per” coinvolgere attivamente le comunità e i gruppi nel processo di gestione, senza però prevedere alcun obbligo specifico a riguardo (art. 15). Sarà il Comitato intergovernativo in un secondo momento a suggerire all’Organo Sussidiario di elaborare un documento specifico su come includere e far partecipare le comunità, i gruppi e i singoli individui nell’implementazione della Convenzione a livello nazionale202.
La Convenzione del 2003 compie dunque un primo grande passo nel definire l’importanza dell’identificazione e della salvaguardia delle testimonianze immateriali del patrimonio, ma può essere letta nella logica di un processo di patrimonializzazione: attraverso la compilazione di liste e registri vengono “fissati” in elenchi gli elementi
200 ARANTES A.A., “Cultural Heritage Inspires” in Papers Preview - Cultural Heritage. Scenarios 2016, CESTUDIR, 2015
201 CLEMENTE P., “A Stone Above the Other” in PINTON S. e ZAGATO L., Cultural Heritage. Scenarios
2015-2017, Edizioni Ca’ Foscari, Venezia, 2017, pp. 49-52
202 ZAGATO L., “The Notion of ‘Heritage Community’ in the Council of Europe’s Faro Convention. Its impact on the European Legal Framework” in ADELL N., BENDIX R. F., BORTOLOTTO C., TAUSCHEK M. (eds.), Between Imagined Communities of Practice. Participation, Territory and the Making of Heritage, Gottingen University Press, Gottingen, 2015, pp. 141-168
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che compongono il patrimonio. La Convenzione di Faro invece ha presentato un sistema più dinamico, in cui le espressioni culturali nelle quali le comunità si rispecchiano sono le stesse che esse producono: non ci si limita solo ad identificare e elencare le testimonianze per garantirne la sopravvivenza e la conservazione, ma ci si adopera per gestirle e tutelarle attivamente in prima persona203.