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Riconsiderando i principi e le definizioni proposte dalla Convenzione di Faro del 2005 alla luce di quanto si è detto sulle caratteristiche dell’ecomuseo, si potrà notare che le analogie non sono poche e soprattutto che la direzione in cui si muovono gli ecomusei non è tanto lontana dall’idea di politica culturale sviluppata dal Consiglio d’Europa. Innanzitutto, la Convenzione - come abbiamo visto - definisce il patrimonio culturale in senso olistico, includendo i saperi come le arti e i mestieri tradizionali e infine tutti gli aspetti dell’ambiente che una comunità riconosce come parte integrante della propria identità. Allo stesso modo, le riflessioni che cinquant’anni fa hanno fatto nascere il concetto di ecomuseo, volevano prendere le distanze dal museo tradizionale, come culla di oggetti della memoria, tolti dal loro contesto e presentati per il loro aspetto unicamente storico-estetico (per quanto è fondamentale riconoscere che già vi sono esempi di innovazione ed evoluzione da parte di alcuni di questi musei); il patrimonio oggetto della ricerca ecomuseale è composto di oggetti, costruzioni e opere, ma soprattutto di tutti quegli aspetti immateriali della cultura, legati all’identità di una comunità e che si radicano in un territorio264. A conferma di

ciò, l’istituzione di buona parte degli ecomusei tuttora esistenti è nata proprio dall’esigenza di singoli gruppi di una comunità di salvare dall’estinzione e allo stesso

263 ibidem;

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tempo valorizzare le tradizioni, i saperi artigianali o le testimonianze di vita contadina, domestica o industriale della zona in cui essi si riconoscono, per garantirne la trasmissione e conoscenza futura, che iniziavano a vedere compromessa.

Per quanto riguarda il rapporto tra l’ambiente e il patrimonio, si è visto che la

Convenzione di Faro include a pieno titolo gli aspetti ambientali nella sua definizione

di patrimonio invitando, all’articolo 8, gli Stati a sviluppare un approccio integrato delle politiche economiche, politiche, sociali e culturali nella pianificazione d’uso del territorio e a rispettare i valori e l’integrità dei luoghi. Il concetto di territorio è cambiato anche nella logica ecomuseale: prima era inteso come una zona delimitata da un punto di vista geo-morfologico, politico-amministrativo o economico, mentre, negli ultimi anni si è arricchito sempre più di elementi culturali e di legami con il sapere popolare. Si percepisce quindi ora un ambiente dove la conformazione naturale si è mescolata alla trasformazione che l’uomo ha operato su di esso: si parla di un ambiente antropizzato265.

La comunità considerata come elemento imprescindibile per l’istituzione e lo sviluppo di un ecomuseo sembra richiamare anche la definizione, contenuta nella Convenzione, di comunità patrimoniale: essa è chiamata ad operare nell’ambito di un’azione pubblica, a partecipare cioè direttamente alle attività di conservazione e valorizzazione del proprio patrimonio. L’ecomuseo è stato definito anche come “un patto attraverso cui la comunità si prende cura di un territorio”266; vi sarà bisogno di

persone ed esperti (facilitatori) che supportano e guidano il processo di formazione ecomuseale, ma solo la comunità di appartenenza potrà orientare le scelte sulle direzioni da prendere, o da non prendere. Dal momento che si parla di un patrimonio territoriale di peculiarità, che appartiene alla comunità che lo abita, lo sviluppo e la cura di tale patrimonio può dipendere unicamente dalla volontà che hanno in questo senso i componenti della comunità267. Lo stesso De Varine, riconoscendo la diffusione

che ha avuto il termine ecomuseo, ha dichiarato dopo anni di aver rimpianto la scelta

265 ibidem;

266 MAGGI M., FALLETTI V., Gli ecomusei. Che cosa sono, che cosa possono diventare, Umberto Allemandi & C., Torino, 2001

267 ZANOVELLO P., CAGNONI G., “Ecomusei: stato dell’arte” in Ecomusei. Stato dell’arte e prospettive -

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e che, pensandoci meglio, sarebbe stato più adatto parlare di “museo comunitario”268.

Gli Stati parte alla Convenzione, come si evince dall’articolo 12, dovrebbero favorire l’accesso al patrimonio e sorvegliare sulla formazione e diffusione della sua conoscenza, come presupposto fondamentale per stimolare la partecipazione dei singoli individui e delle comunità nelle fasi di individuazione, studio, protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio, attivando così veri e propri processi di bottom-up. Affinché le comunità siano messe nelle condizioni di prendere parte direttamente alla gestione del patrimonio, occorre però che gli Stati si impegnino a collaborare e cooperare a tutti i livelli, limitando le restrizioni burocratiche o favorendo alcuni processi amministrativi, ma anche creando forme di partnership con organizzazioni di volontariato, visto il ruolo di mediazione che possono vantare nel rapporto con le autorità. Lo stesso ecomuseo, che dipende dalle reti interne alla comunità e al territorio, non può pensare di perseguire nel progetto senza fare riferimento ad una rete anche esterna di partners, sostenitori, finanziatori o altri portatori di interesse, come ricercatori, insegnanti, agenzie turistiche, imprese o gli stessi enti pubblici, che a diversi livelli possono cooperare con la comunità che gestisce l’ecomuseo. Inoltre, sono importanti le reti e i rapporti che si creano tra gli ecomusei presenti in un determinato territorio, come ad esempio le reti regionali: possono infatti condividere informazioni ed esperienze tra loro, cooperare nella formazione degli operatori o nell’ambito delle risorse umane e mostrarsi a titolo più ufficiale di fronte alle amministrazioni pubbliche269.

Infine, altro elemento che stimola il confronto tra il concetto di ecomuseo e lo spirito della Convenzione di Faro è l’idea di una possibile gestione del patrimonio che favorisca uno sviluppo sostenibile. Le “microeconomie di mercato” riferite all’operato degli ecomusei sono ritenute buone pratiche capaci di promuovere lo sviluppo del territorio, senza che venga meno il rispetto dell’ambiente o della cultura del luogo; non si parla però solo di uno sviluppo di tipo economico, ma a tutti i livelli di cui un

268 DE VARINE H., “Gli ecomusei. Una risorsa per il futuro” in REINA G. (a cura di), Gli ecomusei. Una

risorsa per il futuro, Marsilio Editori, Padova, 2014, pp. 7-19

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ecomuseo vuole farsi portatore270. Valorizzando e mettendo in rete le dinamiche

culturali locali e creando sinergie con il contesto economico e il settore turistico, l’ecomuseo può infatti favorire uno sviluppo sostenibile, ossia “aumentare il valore del territorio anziché consumarlo”271. L’articolo 9 della Convenzione, consapevole del

ruolo del patrimonio culturale nei confronti dello sviluppo umano, raccomanda agli Stati di farne un uso sostenibile, promuovendo il rispetto dell’integrità e dei valori e monitorando il perseguimento di un’alta qualità negli interventi che ne vengono fatti. Se tralasciamo, perché meno sviluppati nelle riflessioni sugli ecomusei, gli aspetti - presenti nella Convenzione - relativi al diritto al patrimonio culturale e l’importanza di sviluppare politiche culturali in cooperazione con gli Stati membri per valorizzare il “patrimonio comune europeo”, si può concludere considerando l’ecomuseologia molto in linea con lo spirito di Faro e i principi di applicazione alla Convenzione. Ci si potrebbe addirittura spingere ad affermare che l’ecomuseo potrebbe rientrare nelle buone pratiche che sono riconosciute, valutate e studiate nell’ambito della Faro

Convention in Action.