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1. Origini ed entrata in vigore

1.1. Gli strumenti precedenti

L’iter normativo e diplomatico necessario ad arrivare alla Convenzione è durato circa un trentennio. I primi passi sono stati mossi con le discussioni sull’inefficacia della precedente Convenzione per la protezione del patrimonio culturale mondiale del 1972

89 DE VARINE H., “Introduzione politica. Il patrimonio, un capitale per lo sviluppo, un fattore di coscienza collettiva” in JALLA D. (a cura di), Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo

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a rappresentare alcune parti del mondo, il cui patrimonio è costituito da testimonianze intangibili, non annoverate tra i beni riconosciuti e protetti da tale Convenzione. Nel 1973, a seguito della richiesta della Bolivia di aggiungere a questo strumento un protocollo sulla protezione delle arti popolari e dei patrimoni della cultura tradizionale di tutte le nazioni, fu firmato un primo documento ufficiale dell’UNESCO sul tema:

Possibility of Establishing an International Instrument for the Protection of Folklore (la

bozza era del 1971)90, ma non ebbe molto seguito perché si è ritenuto irrealistico

pensare di applicare la logica del diritto d’autore alla protezione del folklore, come questo documento proponeva91.

Nel 1980 vennero richiesti (in occasione della XXI sessione della Conferenza Generale) degli studi sull’istituzione di un regolamento internazionale per la protezione del folklore; furono prodotti dei documenti di studio, ma nessuno di quelli si ritenne avere ancora le potenzialità per diventare un vero strumento internazionale. Due anni dopo venne organizzato dall’UNESCO un primo incontro governativo con esperti del settore, il cui unico esito fu una nuova e più appropriata definizione di ‘folklore’, staccata dal concetto dei diritti di proprietà intellettuale. Parallelamente a questo, durante la Conferenza mondiale sulle politiche culturali, alla nozione di patrimonio è stata inclusa la tradizione culturale e ne è emersa una primitiva definizione di patrimonio immateriale; all’interno dell’UNESCO inoltre fu costituita una sezione per il “patrimonio non fisico” (che diventerà la Sezione per il patrimonio immateriale nel 1993) 92 . Nel 1985, un secondo incontro di esperti governativiabbandonò

definitivamente il riferimento relativo ai diritti di proprietà intellettuale. In quello stesso anno la Conferenza Generale dell’UNESCO decise che lo strumento da preparare doveva essere una Raccomandazione: gli studi proseguirono e portarono

90 Possibility of Establishing an International Instrument for the Protection of Folklore, preparata dal Segretariato dell’UNESCO nel 1971, documento B/EC/IX/1l 1-IGC/XR.1115

91 AIKAWA N., “An Historical Overview of the Preparation of the UNESCO International Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage” in Museum International, n. 221-222, vol. 56, Blackwell Publishing, 2004, pp. 137-149

92 BORTOLOTTO C., “Il processo di definizione del concetto di ‘patrimonio culturale immateriale’. Elementi per una riflessione” in BORTOLOTTO C. (a cura di), Il patrimonio immateriale secondo l’UNESCO:

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quindi all’adozione della Raccomandazione sulla salvaguardia della cultura

tradizionale e del folklore del 1989, di cui si è già discusso precedentemente.

Il 1992 rappresenta un primo anno di svolta. Dopo aver valutato scientificamente le attività portate avanti nell’ambito del patrimonio immateriale nei due decenni precedenti, sono state stilate dall’UNESCO delle linee guida di azione che confluirono nel progetto Intangible Cultural Heritage Program. Esso si proponeva di ribadire l’importanza della conoscenza, della preservazione e della diffusione del patrimonio, sottolineando la particolare priorità della rivitalizzazione e della trasmissione di queste testimonianze della cultura tradizionale, da portare avanti soprattutto con il coinvolgimento dei creatori e dei custodi di tale cultura. Il criterio di precedenza era stabilito ora dal “pericolo di scomparsa”, a ribadire l’attenzione da porre per evitare il rischio di cristallizzare il patrimonio, di portare fuori dal suo contesto una determinata tradizione (folklorizzazione) o di adottare metodologie diverse nei confronti del patrimonio tangibile e di quello intangibile.

L’anno successivo è stata introdotta la prima parte del programma, dal titolo Living

Human Treasures: a seguito di una proposta coreana presentata al Consiglio Esecutivo

dell’UNESCO quello stesso anno, e prendendo come modello la rigida legislazione sui beni culturali in vigore in Giappone (che da molto tempo riconosce la differenza tra beni tangibili e intangibili), si incoraggiava ogni Stato ad identificare i portatori della cultura tradizionale e popolare e preservare le loro tradizioni per permetterne la trasmissione e la conoscenza93. Per fare questo, si prevedeva la compilazione di una

Lista dei “portatori umani” di specifiche competenze, abilità o conoscenze tradizionali. Il programma ha avuto successo, anche grazie all’impulso dato dal Giappone stesso attraverso un contributo finanziario annuale in favore del progetto (UNESCO/Japan Fund-in-Trust for the Safeguarding and Promotion of the Intangible Cultural Heritage)94.

93 ZAGATO L., “I nuovi strumenti a tutela della identità/diversità culturale in ZAGATO L., PINTON S., GIAMPIERETTI M., Lezioni di diritto internazionale ed europeo del patrimonio culturale. Protezione e

salvaguardia, Libreria Editrice Cafoscarina, Venezia, 2017, pp. 95-135

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Il Centro per il patrimonio mondiale dell’UNESCO ha lanciato nel 1994 il programma

The Global Strategy for a Balanced Representative and Credible World Heritage List95,

con il quale sono state introdotte le categorie dei paesaggi e degli itinerari culturali tra gli aspetti del patrimonio culturale, dando prevalenza così anche al carattere storico- antropologico di un bene, più che solo ai valori estetici ed artistici. È rimasto tuttavia ancora il concetto di “valore universale eccezionale”, che affidava ad un criterio di eccellenza la classificazione del patrimonio immateriale96.

Nel frattempo, nel 1995, è uscito un rapporto della Commissione mondiale sulla cultura e sullo sviluppo dal titolo Our creative diversity97, che va ricordata per aver introdotto il concetto di “spazio condiviso”, ossia quello spazio costituito dai valori incarnati e celebrati nei processi di interpretazione della storia e delle opere d’arte, che viene identificato con le grandi istituzioni culturali, come anche con gli spazi pubblici aperti o quelli spazi virtuali moderni (i media)98.

Un secondo programma, denominato Proclamazione dei capolavori del patrimonio

orale e intangibile dell’umanità99 è stato sviluppato nel 1997, grazie alla proposta

presentata da una cordata di Stati quali Arabia Saudita, Capo Verde, Libano, Spagna, Emirati Arabi Uniti e Venezuela. Prevedeva la proclamazione, a scadenza biennale, di espressioni della cultura tradizionale e popolare e di spazi culturali (espressione di cui si era già parlato nella Raccomandazione del 1989) come capolavori del patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Fu eletta dall’UNESCO una giuria internazionale che proclamò diciannove capolavori nel 2001 e ventotto nel 2003. Da subito questo

95 Il programma The Global Strategy for a Representative, Balanced and Credible World Heritage List fu lanciato nel 1994 dalla Commissione per il patrimonio mondiale con l’intento di garantire la validità della Lista per il patrimonio mondiale (prevista dalla Convenzione del 1972) e la sua diffusione a livello mondiale, dal momento che si era riscontrata una grande presenza di soli monumenti storici, artistici, mentre mancavano testimonianze delle culture tradizionali e, di conseguenza, una parte del mondo non ne era rappresentata.

96 MUNJERI D., “Tangible and Intangible Heritage: from difference to convergence” in Museum

International, n. 221-222, vol. 56, Blackwell Publishing, 2004, pp. 12-19

97 Our creative diversity: report of the World Commission on Culture and Development, Parigi, 1996, CLT.96/WS/6 REV

98 KHAN N., “Lo spazio condiviso: opportunità e sfide per uno Stato multiculturale” in BODO S., CIFARELLI M. (a cura di), Quando la cultura fa la differenza: patrimonio, arti e media nella società multiculturale, Meltemi, Roma, 2005, pp. 77-89

99 Il programma UNESCO’s Proclamation of Masterpieces of the Oral and Intangible Heritage of

Humanity (atto 29 C/DR.64) è stato sottoscritto dal Marocco, con il supporto di altri stati, sulla base di

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strumento suscitò numerosi dibattiti sulle definizioni e sul significato di “patrimonio intangibile”, di “capolavoro”, ma anche sui criteri di selezione e altri meccanismi operativi del progetto; tuttavia, ha permesso di testare per la prima volta alcuni metodi e aspetti che sarebbero poi stati alla base del disegno della futura Convenzione. Infatti, la Lista dei capolavori e la Lista dei portatori umani perderanno inevitabilmente la loro utilità con l’istituzione del sistema delle liste previsto dalla Convenzione sulla

salvaguardia del patrimonio intangibile del 2003, ma sono stati utili esperimenti per

segnare un primo e importante passo verso la volontà di raccogliere in maniera sistematica (fissando in elenchi) le testimonianze di questo patrimonio che, rispetto a quello materiale, richiede metodi diversi (talora più difficili) per essere identificato, ma anche per la sua conservazione e divulgazione. Gli esiti di tutti questi programmi hanno portato la Conferenza Generale UNESCO, nel corso della sua XXX sessione, ad emanare, nell’ottobre 1999, una Risoluzione100 per invitare ad intraprendere un

lavoro di studio finalizzato ad elaborare uno strumento adatto dedicato unicamente al patrimonio culturale intangibile.

Mentre i lavori procedevano, è stato pubblicato nel 2001 il Report on the Preliminary

Study on the Advisability of Regulating Internationally, trough a New Standard-setting

Instrument, the Protection of Traditional Culture and Folklore101. Il focus era sul

sostegno delle tradizioni culturali grazie al supporto di chi le mette in pratica, più che sui folkloristi professionali e le istituzioni del folklore; si passa così dagli artefatti (storie, canzoni, usanze) alle persone (performers, artigiani), alla loro conoscenza e abilità, ed anche al loro “habitus” e “habitat”, ossia rispettivamente il loro spazio vitale e mondo sociale. Ancora una volta si è aperta per l’UNESCO la strada per una definizione sempre più precisa di patrimonio intangibile, che mira a stabilire un’implicita gerarchia culturale, se si tiene conto del fatto che per molte popolazioni (specialmente i gruppi di minoranza e le popolazioni indigene) il patrimonio intangibile è fonte vitale della loro identità, profondamente radicata nella storia102. In quella sede venne proposto di

100 La Risoluzione [con atto 30 C/25 B.2(a)(iii)] è stata firmata nell’ottobre 1999 a seguito di una bozza (30 C/DR.84) presentata dalla Repubblica Ceca, Lituania e Bolivia, con il supporto della Bulgaria. 101 UNESCO, Executive Board, 2001, 161 EX/15

102 KIRSHENBLATT-GIMBLETT B., “Intangible Heritage as Metacultural Production” in Museum

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stilare un Protocollo addizionale alla Convenzione del patrimonio mondiale; l’idea venne immediatamente scartata perché avrebbe comportato modifiche sostanziali ad alcuni punti cardine della Convenzione del 1972, a partire dalla definizione di patrimonio culturale su cui si basa. È stato invece deciso di procedere con uno strumento ad hoc per stabilire un nuovo approccio di salvaguardia del patrimonio intangibile, eliminando le confusioni che nei decenni erano state create con altre normative, come quella sui diritti di proprietà intellettuale103.