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Il concetto di indipendenza degli organi di amministrazione e controllo nell’ordinamento

Nel documento Le operazioni con parti correlate (pagine 102-106)

Sezione 2 Il ruolo degli amministratori indipendenti nelle operazioni con part

2.1 Introduzione alla figura dell’ “amministratore indipendente” ed alle molteplici definizioni d

2.1.1 Il concetto di indipendenza degli organi di amministrazione e controllo nell’ordinamento

La stratificazione normativa relativa all’istituto dell’amministratore indipendente ha generato una disciplina multilivello, parzialmente flessibile in funzione dell’autonomia statutaria, ma certamente complessa da ricostruire. La dottrina, ormai copiosa sull’argomento, si è divisa su due tesi principali. La prima, intende l’indipendenza come un criterio di natura psicologica, dando maggior valore al fattore reputazionale, in modo da basarsi prevalentemente sulle qualità morali del soggetto da nominare quale amministratore indipendente. La seconda tesi vede l’indipendenza come un criterio oggettivo, da valutarsi in base ai rapporti (lavorativi, personali, familiari) che il supposto amministratore indipendente intrattiene o ha intrattenuto con la società o con i soggetti che la possiedono (azionisti di controllo) o la gestiscono (manager e altri amministratori). Entrambe le interpretazioni generano dubbi. La prima poiché si basa su un criterio chiaramente non oggettivo e molto difficile da provare o anche solo da accertare in costanza di carica (si dovrebbe rivalutare l’indipendenza in base al comportamento dell’amministratore indipendente o in base al suo essere o meno compiacente nei confronti di questo o quell’attore della governance societaria). La seconda in quanto, non esistendo, come si vedrà a breve, una classificazione tassativa e univoca delle relazioni che determinano la non indipendenza, non permette all’interprete una classificazione sistematica non solo dei casi di “indipendenza”, ma nemmeno di quelli di “non indipendenza”.

Nonostante i superiori dubbi, la tesi qui preferita, tra le due proposte, è certamente la seconda, essendo l’unica che consente un minimo di certezza del diritto ed essendo, peraltro, quella che meno si presta a elusioni210.

210 Per un approfondimento sul tema della definizione di indipendenza e sulle due tesi sopra proposte si

rinvia ai numerosi contributi in dottrina. Si vedano, tra gli altri, R. RODORF, “Gli amministratori indipendenti”, in Giur. Comm., 2, 2007, 146, il quale definisce l’indipendenza come “autonomia di giudizio,

che attribuisce a chi la possiede la capacità di esprimere valutazioni critiche non condizionate da vincoli o legami di rilievo”;

P.FERRO-LUZZI, “Indipendente... da chi; da cosa?”, in Riv. Soc., 2008, 204, il quale in chiave critica afferma che “[i]ndipendente significa: non dipendente; ogni definizione al negativo è peraltro certamente insufficiente; in

effetti dire ciò che una cosa non è poco significa per identificare ciò che una cosa è, il problema essendo infatti ad un tempo identificare la «fattispecie»: cosa determina in un soggetto l’indipendenza e, in stretta connessione, individuare anche quale valore aggiunto, ulteriore e diverso in ordine allo svolgimento della funzione amministrativa la qualifica di amministratore indipendente comporti rispetto chi amministratore indipendente è, ma non è, o non si qualifica, «indipendente».”, per poi

tentare di individuare una definizione dell’indipendente come (p. 207) “l’amministratore che ha un valore di

reputazione proprio superiore della carica, valore ovviamente da intendersi non nel senso del valore marginale della moneta, ma valore professionale e personale proprio.”, e ancora (p. 209): “la sempre più minuziosa, analitica, dettagliata classificazione delle situazioni impeditive del requisito di indipendenza [...] al limite conduce a ritenere che veramente indipendente sia chi con il mondo degli affari poco ha avuto a che fare [...].”; A. PERICU, “Il ruolo degli amministratori indipendenti nei paesi dell’Europa continentale”, in AGE, 2003, 122, il quale parla di

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Non resta, dunque, che tentare un inquadramento delle norme dedicate al fenomeno dell’indipendenza e degli amministratori indipendenti. Si potrebbe operare, alla stregua della migliore dottrina, una distinzione sulla base del tipo di fonte utilizzata (leggi, regolamenti, soft law)211. Tuttavia, da un punto di vista squisitamente empirico,

pare più agevole distinguere fra tre principali categorie di regole (termine quest’ultimo da intendersi in senso lato, ossia indipendentemente dalla fonte utilizzata).

Un primo gruppo di norme si riferisce alle regole contenenti una definizione di

“indipendenza”212: (i) art. 2399 c.c.213, che elenca una serie di cause di ineleggibilità dei

consiglio di amministrazione degli emittenti”, in Riv. Soc., 4, 2014, 831 secondo il quale “un

amministratore non è indipendente se versa in una delle situazioni ostative che prevede il Codice di autodisciplina, non già se il “atteggiamento” viene ritenuto connotato da una mancanza di indipendenza”, avvertendo inoltre che “qualora queste relazioni personali [ndr l’autore si riferisce ai rapporti di amicizia tra l’amministratore con i soci o il management della società in cui assume la carica] venissero ritenute ostative rispetto alla sussistenza dell’indipendenza dell’amministratore in questione, la valutazione di questo requisito sconfinerebbe, di fatto, nell’accertamento dello “stato mentale individuale”, ossia sarebbe relativa a un profilo che, per sua natura, non è in alcun modo misurabile né, soprattutto, dimostrabile, se non a prezzo di considerare rilevanti veri e propri pregiudizi o giudizi a priori, se non mere opinioni soggettive (no, peraltro, disinteressate”, ed esprimendo analogo giudizio negativo sulla “pretesa di assegnare rilevanza, nell’ambito della valutazione periodica dell’indipendenza, alla “condotta” di un determinato amministratore nella vita societaria”, offrendo infine una serie di criteri de iure condendo per una futura

maggiormente certa individuazione del requisito di indipendenza; A.CAPRARA, “La clausola generale dell’indipendenza: nozione e declinazioni operative”, in “Le clausole generali nel diritto societario” a cura di G. MERUZZI e G. TANTINI, nel Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia diretto da F. GALGANO, 320, secondo il quale “l’indipendenza non è un mero stato psicologico,

un modo di essere e di relazionarsi, ma è una condizione percepibile e misurabile e, quindi, giuridicamente oggettivizzabile.”; tali posizioni sono condivise anche da G. STRAMPELLI, “Sistemi di controllo e indipendenza nelle società per azioni”, Milano, 2013. Nonostante le varie definizioni offerte vi è chi in dottrina, correttamente, afferma che “È chiaro peraltro che nessuna definizione sarà tanto precisa (e nessuna

procedura sarà tanto efficace) da garantire che alla qualifica di indipendenza consegua nei fatti autonomia di giudizio: in questo senso, i veri presidi a tutela del rischio di cattura rimangono quelli di carattere reputazionale che incombono, o dovrebbero incombere, sull’amministratore che non svolga adeguatamente le proprie funzioni” (così si è espresso L.

ENRIQUES, “La corporate governance delle società quotate italiane: sfide e opportunità”, in Giur. Comm, 4, 2012, 493.

211 Il riferimento è a D.REGOLI, “Gli amministratori indipendenti e i codici di autodisciplina”, in “La

governance delle società di capitali, a dieci anni dalla riforma”, M.VIETTI (a cura di), Egea, 2013, 138. Secondo l’autore, il c.d. statuto dell’amministratore indipendente è il risultato di “a) disposizioni ad hoc di

fonte legale, essenzialmente di rango primario, le quali «fissano» nell’ordinamento la previsione dell’istituto e disciplinano i casi in cui la sua adozione è obbligatoria. A tali previsioni si sono aggiunte – e continuano ad aggiungersi – disposizioni di livello secondario (regolamentare) che […] contribuiscono a delineare specifiche funzioni degli amministratori indipendenti; b) norme di fonte privata, principalmente contenute nei codici di autodisciplina o, in misura minore, negli statuti e in altri regolamenti contrattuali o di governance (come i regolamenti dei comitati interni alle singole società), dedite prevalentemente alla disciplina dei profili applicativi dell’istituto; c) norme «di sistema», ossia previsioni di fonte primaria alle quali è necessario/opportuno ricorrere al fine di integrare la disciplina e rendere più efficace il funzionamento dell’istituto: essenzialmente, le norme sulla nomina, la durata del mandato, i compensi, la cessazione, i doveri e le responsabilità.”. Sul tema si veda anche N.MICHIELI, “Gli amministratori indipendenti nel comitato parti correlate”, in Giur. Comm., 5, 2014, 1027.

212 Occorre anticipare che l’ordinamento italiano non offre di certo criteri risolutivi circa

l’individuazione del criterio di indipendenza, considerato che i requisiti per potersi definire “indipendente” “sono mantenuti nella più assoluta e voluta vaghezza” (così F.DENOZZA, “L’“amministratore di minoranza” e i suoi critici”, in Giur. Comm., 6, 2005). Peraltro, fino alla normativizzazione degli amministratori indipendenti, il requisito dell’indipendenza era utilizzato solo con riferimento ai sindaci, in quanto ritenuto “indispensabile per svolgere funzioni di controllo, come quelle riservate ai sindaci, ma non certo

amministrative.” (in tal senso si è espresso R. RODORF, “Gli amministratori indipendenti”, in Giur. Comm., 2, 2007, 143).

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sindaci che, per molti versi, costituiscono il sostrato per le definizioni di indipendenza contenute nella normativa speciale214; (ii) artt. 13 e 18-bis TUF che rinviano ai requisiti

di indipendenza stabiliti dal ministero dell’economia e delle finanze, rispettivamente, dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso Sim, società di gestione del risparmio, Sicav e Sicaf e dei consulenti finanziari abilitati; art. 148, comma 3, TUF, che individua le cause di ineleggibilità dei sindaci nelle società sottoposte a vigilanza215; art. 26 TUB, che stabilisce, tra l’altro, i requisiti di

indipendenza degli esponenti aziendali degli enti creditizi rinviando ad un regolamento del ministero dell’economia e delle finanze, adottato sentita la Banca d’Italia; principio 3.P.1 del Codice di Autodisciplina (versione luglio 2015) secondo cui gli amministratori indipendenti sono coloro i quali “non intrattengono, né hanno di recente

intrattenuto, neppure indirettamente, con l’emittente o con soggetti legati all’emittente, relazioni tali da condizionarne attualmente l’autonomia di giudizio”. Tale principio va letto insieme ai criteri di

cui al punto 3.C.1 del Codice di Autodisciplina (versione luglio 2015) che individua una serie di ipotesi in cui un soggetto non può definirsi indipendente. Infine è bene citare, quale ideale complemento e sintesi della molteplicità di definizioni esistenti, la Raccomandazione della Commissione UE sul ruolo degli amministratori senza incarichi esecutivi, in cui anche le istituzioni europee prendono atto che “non è possibile

stendere un elenco esaustivo di tuto ciò che può costituire una minaccia all’indipendenza degli amministratori”216.

coloro che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 2382; b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza.

La cancellazione o la sospensione dal registro dei revisori legali e delle società di revisione legale e la perdita dei requisiti previsti dall’ultimo comma dell’art. 2397 c.c. sono causa di decadenza dall’ufficio di sindaco.

Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità o decadenza, nonché cause di incompatibilità e limiti e criteri per il cumulo degli incarichi.”

214 A tale norma fanno rinvio altre disposizioni del codice civile: art. 2403-bis, comma 4, relativo

all’indipendenza dei collaboratori del sindaco; per il sistema monistico, art. 2409-septiesdecies relativo ai requisiti di almeno un terzo dei componenti del consiglio di amministrazione e art. 2409-octiesdecies relativo ai requisiti dei componenti del comitato per il controllo interno; art. 2417 c.c., relativo ai requisiti di eleggibilità del rappresentante comune degli obbligazionisti.

215 Norma cui rinviano, tra l’altro, l’art. 147-ter, comma 4, TUF, per i requisiti degli amministratori

indipendenti nelle società quotate e l’art. 3 del Regolamento per identificare i requisiti degli amministratori indipendenti nelle procedure opc.

216 Si veda l’Allegato II (“Profilo degli amministratori senza incarichi esecutivi o dei membri del

consiglio di sorveglianza indipendenti”) della Raccomandazione della Commissione UE del 15 febbraio 2005 (2005/162/CE).

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Un secondo gruppo di norme, contiene regole che identificano specifiche funzioni del

soggetto indipendente, delineandone meglio i confini operativi: art. 21, comma 1, lett. c) TUF,

relativo alle modalità con cui i soggetti abilitati allo svolgimento di servizi di investimento devono svolgere il proprio incarico (“svolgono una gestione indipendente, sana e

prudente”); artt. 7, comma 1, lett. a) e 8, comma 1, lett. b) e c), Regolamento, con cui si

individua la funzione specifica degli indipendenti nel contesto di una opc (“esprima un

motivato parere non vincolante sull’interesse della società al compimento dell’operazione nonché sulla convenienza e sulla correttezza sostanziale delle relative condizioni” e, per le operazioni di

maggiore rilevanza, “siano coinvolti nella fase delle trattative e nella fase istruttoria attraverso la

ricezione di un flusso informativo completo e tempestivo e con la facoltà di richiedere informazioni e di formulare osservazioni agli organi delegati e ai soggetti incaricati della conduzione delle trattative o dell’istruttoria”); principi 2.C.3 e 2.C.4 del Codice di Autodisciplina (versione luglio 2015)

relativi alla nomina ed alle funzioni del lead independent director; principio 3.C.6 del Codice di Autodisciplina (versione luglio 2015) secondo cui gli amministratori indipendenti si riuniscono almeno una volta l’anno in assenza degli altri amministratori.

Infine, un terzo gruppo di norme, contenente regole che si limitano a fare riferimento

al criterio di indipendenza, senza specificarne i contorni e senza fornire indizi circa le funzioni che dovrebbero essere svolte: art. 2351, ult. comma, c.c., secondo cui ai titolari degli strumenti

finanziari di cui agli art. 2346, comma 6, e 2349, comma 2, c.c., può essere riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco; art. 2343-

ter c.c., relativo alla stima dei conferimenti in natura effettuata dall’esperto

indipendente per evitare la stima operata dal soggetto designato dal tribunale ai sensi dell’art. 2343 c.c.; art. 135-decies, comma 2, lett. f), TUF, disciplinante il caso di conflitto di interessi del rappresentato cui è conferita una delega di voto nel caso in cui questi sia legato alla società (da rapporti di lavoro o patrimoniali) o ai soggetti che la controllano o amministrano in modo tale da comprometterne l’indipendenza; art. 1, sezione IV, Cap I, Titolo I, Parte Prima delle nuove disposizioni di vigilanza per le banche di cui alla Circolare Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013, ove si fa riferimento generico ai requisiti degli organi di supervisione strategica e di gestione217.

Dal citato quadro normativo e, specialmente, dalle regole rientranti nel primo

217 La disposizione citata statuisce che tra gli organi di supervisione strategica e gestione vi siano soggetti

“pienamente consapevoli dei poteri e degli obblighi inerenti alle funzioni che ciascuno di essi è chiamato a svolgere (funzione di supervisione o gestione; funzioni esecutive e non; componenti indipendenti, ecc.)”.

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gruppo, si deduce l’assenza, nel nostro ordinamento, di una definizione di indipendenza astratta e valevole per tutte le situazioni in cui sia richiesto il supporto di un soggetto indipendente. La differenziazione tra “regole sul criterio dell’indipendenza” e “regole sulla funzione dell’indipendenza” serve dunque a delineare meglio e più concretamente la figura dell’amministratore indipendente che non è tale in quanto “ontologicamente indipendente” 218 , ma solo in quanto “funzionalmente

indipendente”219, ossia considerando la specifica funzione che lo stesso è chiamato a

svolgere220.

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