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Il whitewash e il diritto del socio interessato a partecipare alle deliberazioni assembleari ai sens

Nel documento Le operazioni con parti correlate (pagine 168-176)

Sezione 2 Il ruolo degli amministratori indipendenti nelle operazioni con part

3.3 Il whitewash e il diritto del socio interessato a partecipare alle deliberazioni assembleari ai sens

dell’art. 2373 del codice civile

L’introduzione del meccanismo del whitewash ha indotto alcuni a sostenere che vi fosse un contrasto tra quanto previsto dal Regolamento (“le procedure, fermo quanto

previsto dagli articoli 2368, 2369 e 2373 del codice civile e salve le previsioni statutarie eventualmente richieste dalla legge, contengono regole volte ad impedire il compimento dell’operazione qualora la maggioranza dei soci non correlati votanti esprima voto contrario all’operazione”) e quanto stabilito

dall’art. 2373 c.c. in materia di partecipazione del socio interessato alle deliberazioni. Infatti, l’art. 2373 c.c. non vieta al socio in conflitto di interessi di votare disponendo solo che “la deliberazione approvata con il voto determinante di soci che abbiano, per conto proprio o

di terzi, un interesse in conflitto con quello della società è impugnabile a norma dell’art 2377 qualora possa recarle danno”326. E, del resto, non può essere contestato un principio simile

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considerato che ogni socio è portatore di proprie istanze e può disporre della partecipazione come preferisce, con il limite di non arrecare un pregiudizio all’interesse sociale327.

esercitato dal socio nelle deliberazioni in cui egli ha, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società.

In caso d’inosservanza della disposizione del comma precedente, la deliberazione, qualora possa recare danno alla società, è impugnabile a norma dell’articolo 2377 se, senza il voto dei soci che avrebbero dovuto astenersi dalla votazione, non si sarebbe raggiunta la necessaria maggioranza.”.

327 Il conflitto di interessi rilevante ai sensi dell’art. 2373 c.c. è infatti quello tra socio e società e non

anche quello tra due gruppi di soci. Affinché per l’impugnabilità della deliberazione rilevi il conflitto tra due o più soci è necessario che l’intento fraudolento del socio in conflitto che determina l’approvazione della deliberazione. In tal senso la ben nota Cass. Civ., Sez. I, 12 dicembre 2005, n. 27387, ove si legge che “Non può ravvisarsi violazione dei doveri di correttezza e buona fede qualora il socio di maggioranza abbia

perseguito l’interesse al disinvestimento, votando a favore dello scioglimento anticipato, a meno che non si dimostri — tenendo conto del contegno complessivo, anche successivo alla deliberazione — che il diritto di voto sia stato esercitato fraudolentemente allo scopo di ledere interessi degli altri soci ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza.”. Ancor più limpido sul punto Trib.

Milano 26 giugno 2004 secondo cui “Il presidente del consiglio di amministrazione di una società per azioni non ha

la facoltà di escludere dal diritto di voto il socio che si trovi - asseritamente - in conflitto di interessi.”. Conferma il

punto anche il Consiglio Nazionale del Notariato, Quesito di Impresa n. 720.2013/I, “Soci in conflitto di interessi, poteri del presidente dell’assemblea”, in CNN Notizie 6 giugno 2014 e richiamato in A. BUSANI (a cura di) “Massime notartili e orientamenti professionali. Il voto nella S.r.l.” in Le Società, 4, 2015, 483, secondo cui “[…] il nuovo testo dell’art. 2373, comma 1, c.c., invece, nel sancire l’impugnabilità della

delibera in cui abbia votato il socio in conflitto di interessi, attribuisce piena legittimazione al voto del predetto socio, al quale è consentito di perseguire, con il proprio voto, un interesse particolare anche se iverso da quello sociale, ferma restando la sua possibilità di astenersi dal voto, secondo quanto previsto dall’art. 2368 c.c., che computa le azioni di chi voti in conflitto di interessi nel quorum costitutivo, ma non in quello deliberativo […]. Dal combinato disposto dell’art. 2368, comma 3, c.c. e 2373, comma 1, c.c., ne consegue, quindi, che il socio portatore di un interesse in conflitto con quello della società non è obbligato né ad astenersi dal voto, né ad informare preventivamente gli altri soci della propria situazione […]. Conseguentemente, il legislatore della riforma avrebbe inteso sanzionare lo scorretto esercizio del voto da parte del socio in conflitto di interessi prevedendo esclusivamnte l’annullabilità della delibera, rendendo così insostenibile la tesi di un potere del presiente di escludere dal voto il socio in conflitto […]. Non sembra quindi possibile che il presidente dell’assemblea abbia il potere di impedire il voto ai soci che abbiano in conflitto di interessi rispetto all’assunzione di una determinata delibera.”.

Il tema del conflitto di interessi del socio è particolarmente complesso e si intreccia con quello dell’abuso del diritto, dell’eccesso di potere e della clausola generale di buona fede nel diritto societario. Non potendo offrire una trattazione completa in questa sede, senza pretese di completezza, si rinvia a A. ASQUINI, “Conflitto d’interessi tra il socio e la società nelle deliberazioni di assemblee delle società per azioni”, in Riv. Dir. Comm., 1919, II, 653; G.FERRI, “Poteri della maggioranza e diritti del socio”, in banca Borsa e Tit. Cred., 1952, II, 162 ss.; L.MENGONI, “Appunti per una revisione della teoria sul conflitto di interessi nelle deliberazioni di assemblea delle società per azioni”, in Riv. Soc., 1956, 446; A. MIGNOLI, “L’interesse sociale”, in Riv. Soc., 1958, 740 ss.; A. GAMBINO, “La disciplina del conflitto di interessi del socio” in Riv. Dir. Comm., 1969, 384 ss.; A. GAMBINO, “Il principio di correttezza nell’ordinamento delle spa”, Giuffrè, 1987; A.FERRARI, “L’abuso del diritto nelle società”, Cedam, 1998; F. GUERRERA, “Abuso del voto e controllo “di correttezza” sul procedimento deliberativo assembleare”,

in Riv. Soc., 1, 2002, 181; A.VICARI, “Gli azionisti nella fusione di società”, Giuffrè, 2004 (in particolare i capitoli I e V con riferimento ai procedimenti di fusione); F.DI SABATO, “Diritto delle società”, Milano, 2011, 335 ss.; A.DE PRA, “Deliberazione negativa votata in conflitto d’interessi e divieto di voto del socio-amministratore”, in Giur. Comm. 5, 2010, 922 ss.; E. LA MARCA, “Alla ricerca dell’interesse della società al suo scioglimento tra conflitto di interessi e abuso di potere”, in Banca Borsa e Tit. Cred., 5, 2014, 590 ss.; F.DENOZZA, “Quattro variazioni sul tema: “contratto, impresa e società” nel pensiero di Carlo Angelici”, in Giur. Comm., 3, 2013, 480 ss.; M.LIBERTINI, “Ancora in tema di contratto, impresa e società. Un commento a Francesco Denozza, in difesa dello “Istituzionalismo debole””, in Giur. Comm., 4, 2014, 669 ss..

Il punto è ampiamente confermato in giurisprudenza: Trib. Milano 12 febbraio 2014 (“Il conflitto

di interessi non rappresenta ex se una condizione in grado di inficiare la votazione, sia essa una delibera dell’assemblea dei soci o del consiglio di amministrazione; in dette ipotesi, infatti, l’invalidità dell’atto è subordinata non solo al fatto che il voto determinante per il raggiungimento della maggioranza necessaria per l’approvazione della delibera sia espressione del

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soggetto in capo al quale si configura una situazione di conflitto d’interessi, ma anche alla condizione che tale delibera possa recare alla società un danno, seppur in via solo potenziale.”), il medesimo principio è confermato anche in Cass.

Civ., sez. I, 17 luglio 2007, n. 15950; Cass. Civ. Sez. I, 22 aprile 2013, n. 9680 (“A questo riguardo occorre

chiarire che il voto espresso dal socio in assemblea è di per sé funzionale al suo interesse individuale, e non direttamene e immediatamente a quello della società, che di regola si definisce solo attraverso la formazione delle maggioranze assembleari. Vero è, soltanto, che l’interesse sociale costituisce il limite all’esercizio del diritto di voto nell’interesse individuale del socio, nel senso che in caso di conflitto non potrebbe spingersi legittimamente al punto di danneggiare la società.”); Trib. Roma

19 marzo 2013, che si spinge anche oltre sostenendo che “Non è configurabile l’abuso di potere se la

deliberazione è l’effetto di una accidentale coincidenza di voti.” e che “Si ha conflitto di interessi del socio rilevante quando vi è, di fatto, un conflitto tra un interesse non sociale - quindi un interesse che non è in alcun modo riconducibile al contratto di società - e uno qualsiasi degli interessi che sono riconducibili a tale contratto.”; Trib. Bari 20 ottobre 2008,

n. 2392, ove si precisa che “L’interesse della società è quello volto a conseguire l’oggetto sociale attraverso

un’organizzazione aziendale ed un’autonomia finanziaria idonea a realizzare il massimo profitto dell’ente. Conseguentemente, se l’interesse individuale del socio è in contrasto con l’interesse sociale, assume giuridica rilevanza il conflitto d’interessi ex art. 2373, c.c., che si concretizza nel far adottare all’assemblea una decisione in contrasto con lo scopo sociale a vantaggio di interessi individuali dei soci o di terzi, in danno degli interessi societari. Pertanto, non può non ritenersi che la situazione di conflitto d’interessi si ravvisi quando l’interesse espresso dal socio, quale relazione fra la deliberazione dell’assemblea ed il bisogno personale od altrui da lui sentito, si ponga in contrasto con quello della società, anch’esso consistente nella relazione tra un determinato bisogno e la deliberazione. A tal fine, non è necessario che il contrasto riguardi una posizione personale del socio con l’interesse della società, essendo sufficiente che esso dipenda da un confronto dell’interesse della società con un interesse altrui, anche non dei singoli soci, ma relativo a terzi, di cui però i soci si fanno portatori in assemblea, o che in rappresentanza dei medesimi soci partecipano all’assemblea della società.”; Trib.

Chieti, 6 febbraio 2008, n. 74, secondo cui “La delibera assembleare concernente un’operazione societaria può essere

ritenuta adottata in violazione della regola della maggioranza e, come tale, annullabile - solo qualora non rispecchi l’interesse della società o sia il risultato di un’intenzionale attività fraudolenta posta in essere dai soci maggioritari al solo scopo di arrecare pregiudizio ai soci di minoranza.”; Cass. Civ. Sez. I, 12 dicembre 2005, n. 27387 (“Ai fini dell’annullamento per conflitto di interessi ai sensi dell’art. 2373 c.c., è essenziale che la delibera sia idonea a ledere l’interesse sociale, inteso come l’insieme di quegli interessi che sono comuni ai soci, in quanto parti del contratto di società, e che concernono la produzione del lucro, la massimizzazione del profitto sociale (ovverosia del valore globale delle azioni o delle quote), il controllo della gestione dell’attività sociale, la distribuzione dell’utile, l’alienabilità della propria partecipazione sociale e la determinazione della durata del proprio investimento. Pertanto, si ha conflitto di interessi rilevante quale causa di annullabilità delle delibere assembleari quando vi è, di fatto, un conflitto tra un interesse non sociale e uno qualsiasi degli interessi che sono riconducibili al contratto di società.”); Trib. Roma 4 giugno 2014, n.

12216; il principio era valido anche prima della riforma quando l’art. 2373 vietava al socio in conflitto l’esercizio del voto: Cass. Civ. Sez. I, 21 marzo 2000, n. 3312 secondo cui “Ai fini dell’annullamento di una

delibera assembleare di una società di capitali per conflitto di interessi ex art. 2373 c.c., deve ritenersi del tutto irrilevante la circostanza che la delibera stessa consenta al socio il conseguimento (anche) di un suo personale interesse se, nel contempo, non risulti pregiudicato l’interesse sociale. Il socio, pertanto, può legittimamente avvalersi del proprio diritto di voto per realizzare (anche) un fine personale, qualora, attraverso il voto stesso, egli non sacrifichi, a proprio favore, l’interesse sociale.”. Da ultimo, si veda la recentissima sentenza del Trib. Milano, Sez. Impresa del 22 gennaio 2015,

con nota di V. SALAFIA, “L’eccesso di potere nell’approvazione delle delibere assembleari”, in Le Società 7, 2015, 831, ove l’autore precisa che, nei casi di deliberazioni assembleare viziata da eccesso di potere “il vantaggio del socio di maggioranza assumerà valore di esimente soltanto se legittimo o giustificato sul piano

societario, con ciò rendendosi ipso facto giustificato anche il danno al socio di minoranza.”.

Anche nel diritto inglese è pacifico che il singolo socio possa essere portatore di istanze proprie. In tal senso si vedano H.FLEISCHER -P.AGSTNER, “L’invalidità delle deliberazioni assembleari di S.p.A. Comparazione di sistemi tra path dependency e prospettive di riforma”, in Riv. Soc., 6, 2014, 1217, secondo i quali “le corti inglesi, in base all’assunto che le azioni costituiscono meri oggetti di proprietà privata, reputano

che l’esercizio del diritto di voto possa avvenire secondo la libera determinazione volitiva del singolo socio; inoltre, sino ai tempi odierni, la giurisprudenza di common law ha sempre negato l’esistenza di obblighi fiduciari tra i soci.”; P.L.

DAVIES -S.WORTHINGTON, “Gower and Davies’ Principles of Modern Company Law”, London, 2012, 691 ss., 19-9, dove gli autori affermano che “Thus, it is wrong to see the voting powers of shareholders as being of a

fiduciary character. Unlike directors’ powers, shareholders’ voting rights are not conferred upon them in order that they shall be exercised in the best interests of others, whether those others are seen to be «the company» or the minority shareholders or, indeed, any other group”). Resta fermo, anche nel diritto inglese, il diritto dei soci di

minoranza di agire in giudizio nel caso in cui il socio di maggioranza abbia posto in essere un atto a carattere fraudolento (c.d. fraud on the minority), come statuito in giurisprudenza (MacDougall v Gardiner

(1875) 1 ChD 13; Menier v Hooper’s Telegraph Works (1874) LR 9 Ch App 350; Arrow Nominess Inc v Blackledge [2000] 2 BCLC 167, in cui è chiaramente sancito che “equity imposes on majority shareholders an obligation not to use the powers attached to their shares to obtain a benefit at the expense of the compnay or the minority”)

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Secondo la lettera della succitata norma codicistica, anche in materia di operazioni con parti correlate, sarebbe legittima una votazione cui partecipino tutti i soci, inclusi quelli correlati, salvo poi consentire ai soci non correlati di impugnare la deliberazione qualora la stessa sia approvata con il voto determinante del (o dei) soci in conflitto, secondo la procedura descritta agli artt. 2377 e 2378 c.c..

Sulla base di tale interpretazione, in dottrina si è sostenuto che il meccanismo del

whitewash è in contrasto con il disposto di cui all’art. 2373 c.c., giacché impedisce al

socio in conflitto (i.e. il socio correlato) di votare sulla deliberazione328. Benché tale

preoccupazione sia legittima, il tema del contrasto può essere aggirato considerando che l’art. 11, comma 3, del Regolamento fa espressamente salva l’applicazione degli artt. 2368, 2369 e 2373 c.c., ribadendo dunque che la disciplina dei quorum assembleari deve comunque essere applicata e che il socio in conflitto può prendere parte alla deliberazione, Inoltre, all’interno delle procedure, devono essere inserite “regole volte ad

impedire il compimento dell’operazione” in presenza del voto contrario dei soci non correlati.

Tali regole non necessariamente devono risolversi in una previsione (inserita nelle procedure o in statuto) che vieti al socio correlato di votare la deliberazione, anche perché una simile previsione sarebbe apertamente in contrasto con il disposto dell’art. 2373 c.c.329. Al contrario, il meccanismo di tutela elaborato dalla Consob, può essere

e confermato anche nella manualistica (D.FRENCH –S.MAYSON –C.RYAN, “Company Law”, Oxford, 2014, 399).

328 M. BAGLIONI -G.GRASSO, “Operazioni con parti correlate: il Regolamento Consob”, in Le Società,

6, 2010.

329 Tale assunto sembra confermato da Corte App. Perugia, 31 gennaio 2013 (che conferma la decisione

del Trib. Perugia del 25 giugno 2008), laddove si specifica che “È invalida la previsione statutaria della

sospensione dall’esercizio del diritto di voto per il socio che eserciti attività concorrente con quella sociale, essendo tale particolare situazione già espressamente prevista e regolamentata dall’art. 2373 c.c., che prevede una limitazione al diritto di voto del socio in conflitto di interessi, ma non lo priva del relativo diritto né ne sospende l’esercizio.”. In dottrina,

conferma il punto A.DE PRA, “Deliberazione negativa votata in conflitto d’interessi e divieto di voto del socio-amministratore”, in Giur. Comm. 5, 2010, 922 ss, secondo il quale “La scelta del legislatore di

eliminare ogni riferimento al divieto di voto in capo al socio in conflitto mi pare abbia parimenti rimosso ogni incertezza sul fatto che, dinanzi a deliberazioni assembleari pregiudizievoli dell’interesse sociale — alle quali può ciò non ostante e in taluni limitati casi contribuire validamente il voto del socio in conflitto — la regola generale è che un altro socio (o organo a ciò legittimato) ha la facoltà di impugnare la deliberazione sussistendone i presupposti. Ogni diversa disposizione volta, con il fine della tutela dell’interesse della società, a limitare il diritto di voto in capo al socio non può che essere considerata quale eccezione rispetto alla regola generale proprio perché pone un elemento di disuguaglianza nel trattamento (imponendo il divieto di voto) in capo ai soci che, pur in conflitto ma non rivestendo la carica di amministratore, sarebbero certamente destinatari delle sola norma generale, ovvero della facoltà di votare consentita dall’art. 2373, comma 1, c.c.”. Il principio

applicato dalla corte d’appello di Perugia per il divieto di concorrenza, è pienamente valido anche in altri casi di conflitto di interesse del socio, incluso il caso del socio interessato in quanto correlato alla controparte dell’operazione.

Sempre sul tema, non pare condivisibile quanto affermato da ASSONIME, “La disciplina della Consob in materia di operazioni con parti correlate”, circolare n. 38/2010, 81, dove si legge che “l’istituto

del whitewash […] interviene nella fase di approvazione della delibera assembleare introducendo un ulteriore quorum deliberativo e, se del caso, costitutivo.”. Ora, a meno che il riferimento al quorum costitutivo non debba

intendersi alla percentuale minima di capitale che i soci non correlati devono rappresentare per esercitare il veto, non si comprende come la disciplina regolamentare possa alterare i quorum costitutivi

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implementato mediante una diversa tecnica di computo dei voti in sede di deliberazione330.

A tal fine, si noti che la Consob non ha specificato in che modo debba avvenire la votazione assembleare né ha imposto l’inserimento di clausole statutarie limitative dei diritti dei soci correlati. Da ciò la conclusione, senz’altro corretta, che la sterilizzazione del voto dei soci correlati debba avvenire attraverso una modifica delle modalità di voto che sono “tecnicalità procedimentali [che] non hanno, all’evidenza, rilevanza

statutaria e possono, quindi, essere accolte nel regolamento dei lavori assembleari previsto dall’art. 2364, n. 6 c.c., o decise di volta in volta dal presidente dell’assemblea (art 2371, co. 1 c.c.)”331.

Agendo sulle modalità di computo dei voti vi sono due possibili soluzioni: 1) mediante una doppia votazione, la prima aperta a tutti i soci e la seconda riservata ai soci non correlati se questi abbiano raggiunto il quorum costitutivo previsto in statuto; 2) mediante una votazione unica seguita da un doppio conteggio dei voti, il primo per vagliare il raggiungimento dei quorum ordinari, il secondo per controllare se siano stati raggiunti i quorum richiesti dallo statuto per i soci non correlati ed eventualmente la loro posizione sull’operazione332.

Ulteriore possibilità, che non richiede alterazione del meccanismo di computo dei voti, è quella prevista dall’art. 2368, comma 3, c.c., secondo cui il presidente dell’assemblea sarebbe legittimato a non computare i voti collegati alle azioni nella titolarità di soci in conflitto di interessi, ciò tuttavia, solo qualora il conflitto di interessi sia dichiarato o, a parere di chi scrive, risulti assolutamente evidente333. Accogliendo

tale ultima soluzione, in tutti i casi in cui il socio in conflitto voti la deliberazione (i) avendo preventivamente dichiarato la sussistenza del conflitto; o (ii) trovandosi in una posizione di conflitto palese agli altri soci e agli organi sociali, il presidente assembleari, considerato che lo stesso Regolamento fa salvi gli artt. 2368 e 2369 c.c. e che in nessun caso si può vietare al socio interessato di partecipare alla votazione se non nei limiti di quanto previsto dall’art. 2373 c.c..

330 Tesi sostenuta da P. ABBADESSA, “Assemblea ed operazioni con parti correlate (prime riflessioni)”, in

“Le operazioni con parti correlate”, atti del convegno presso Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza, 2010.

331 In tal senso P.ABBADESSA, “Assemblea ed operazioni con parti correlate (prime riflessioni)”, in “Le

operazioni con parti correlate”, atti del convegno presso Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza, 2010, 29.

332 Tali soluzioni sono proposte da P. ABBADESSA, “Assemblea ed operazioni con parti correlate (prime

riflessioni)”, in “Le operazioni con parti correlate”, atti del convegno presso Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza, 2010; ASSONIME, “La disciplina della Consob in materia di operazioni con parti correlate”, circolare n. 38/2010.

333 Ad esempio, nel caso che ha visto coinvolta Fondiaria-Sai nel 2012, i sindaci hanno rilevato come il

socio di controllo, presidente del CdA, non aveva effettuato la disclosure ex art. 2391 c.c.. Ciononostante, gli stessi sindaci hanno ritenuto comunque adempiuto il precetto della norma citata in quanto il conflitto del socio di controllo, nel caso di specie, risultava palese.

Nel documento Le operazioni con parti correlate (pagine 168-176)

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