• Non ci sono risultati.

Il parere degli amministratori indipendenti ai fini dell’esclusione della responsabilità degl

Nel documento Le operazioni con parti correlate (pagine 135-143)

Sezione 2 Il ruolo degli amministratori indipendenti nelle operazioni con part

2.4 Il parere degli amministratori indipendenti come fairness test

2.4.1 Il parere degli amministratori indipendenti ai fini dell’esclusione della responsabilità degl

Le norme in esame prevedono entrambe un obbligo di disclosure per l’amministratore in relazione all’esistenza di un interesse altro rispetto all’interesse della società amministrata. Poco rileva, in tale sede, se l’obbligo in questione sia preventivo (art. 2391 c.c.) o successivo (art. 2497-ter c.c.) poiché entrambe le disposizioni tendono al soddisfacimento della correttezza da parte dell’amministratore interessato nell’espletamento del suo incarico, ponendo a carico dello stesso un obbligo

- 136 -

informativo riconducibile al generale dovere di buona fede. Il parere degli amministratori indipendenti ha ad oggetto “mediato” proprio il rispetto di tale dovere. Infatti, il parere serve a garantire che, nonostante la situazione di conflitto di interessi connaturata all’operazione, questa venga negoziata ed approvata comunque nell’interesse della società e senza che la situazione di conflitto ne influenzi i termini commerciali. Gli indipendenti, a differenza dei sindaci, non svolgono un controllo sulla diligenza degli amministratori esecutivi, infatti la valutazione (di merito) dei termini dell’operazione (prezzo, controparti, condizioni, tempistiche) serve non tanto a capire se l’operazione sia condotta in maniera esemplare (i.e. due care), quanto se la stessa sia portata a termine senza che gli amministratori si facciano influenzare dalla situazione di conflitto in cui versano. Quella degli indipendenti è, pertanto, una valutazione sul rispetto del generale dovere di buona fede da parte degli amministratori esecutivi che negoziano l’operazione.

Se tale ragionamento è corretto, ove l’operazione risulti comunque dannosa per la società, nonostante il parere favorevole degli amministratori indipendenti, l’origine del danno non dovrebbe ricercarsi tanto nella carenza di buona fede degli amministratori esecutivi quanto, forse, nella loro incapacità gestionale. In tal caso, avremmo che l’amministratore esecutivo, forte del parere favorevole degli indipendenti, potrà andare esente da una responsabilità per violazione dei suoi doveri fiduciari (art. 2391, comma 4, c.c.), ma potrebbe comunque essere responsabile ex art. 2392 c.c. per mancanza di diligenza.

Tuttavia, al fine di offrire un quadro completo, vanno anche considerati gli obblighi degli amministratori esecutivi ai sensi del Regolamento, in particolare quelli concernenti le informazioni da fornire agli amministratori indipendenti al fine del rilascio del parere. Infatti, benché l’amministratore interessato faccia disclosure della sua situazione di conflitto ai sensi dell’art. 2391, comma 1, c.c., non vi è certezza che gli indipendenti abbiano un quadro completo dell’operazione in corso di negoziazione. A tal proposito, si rileva che gli amministratori interessati, pur effettuando la disclosure sull’interesse “laterale”, non vanno esenti da responsabilità per violazione dei loro doveri fiduciari, qualora non forniscano volontariamente agli indipendenti le informazioni necessarie al rilascio del parere. Ciò in quanto, il fatto stesso di aver taciuto sui dettagli dell’operazione genera una presunzione circa la mala fede degli esecutivi.

- 137 -

comma 1, c.c.) è stato rispettato, ma è anche vero che non è stato rispettato il secondo precetto di buona fede (disclosure sui termini dell’operazione ai sensi del Regolamento). In una situazione simile, i possibili quadri sono due: (i) gli amministratori indipendenti rilasciano un parere negativo ed in tal caso è plausibile che la condanna investa solo gli amministratori esecutivi che hanno posto in essere l’operazione nonostante il parere negativo degli indipendenti268; (ii) gli amministratori indipendenti rilasciano un parere

positivo269 ed in tal caso vi sarebbe di certo una responsabilità solidale degli esecutivi e

degli indipendenti per violazione dei rispettivi obblighi fiduciari.

In entrambe le ipotesi su citate, si è in presenza di una violazione degli obblighi fiduciari degli amministratori (infatti sia gli indipendenti che gli esecutivi sono consapevoli del danno che l’operazione potrebbe arrecare alla società ma, dolosamente, decidono di darvi comunque corso) nel cui caso non verrà applicata la regola del c.d. giudizio imprenditoriale (o business judgment rule)270, che impedisce l’ingerenza delle corti

nelle scelte di opportunità economica operate dagli amministratori271. Nel caso di

268 Ciò è palese nelle operazioni di minore rilevanza dove il comitato esecutivo può concludere

l’operazione anche in presenza di parere negativo degli indipendenti. Meno ovvio nelle operazioni di maggiore rilevanza dove, comunque, bisogna valutare la condotta deliberativa di ciascun componente del CdA, inclusi gli amministratori indipendenti che potrebbero cambiare opinione e votare a favore nonostante il precedente parere negativo, esponendosi in tal caso ad un più severo giudizio di responsabilità.

269 Simile circostanza si verifica, ad esempio, nelle ipotesi di “cattura” dell’amministratore indipendente

da parte degli amministratori esecutivi che riescono ad influenzare l’opinione dei primi. Si vedano sul tema, U.TOMBARI, “Amministratori indipendenti, sistema dei controlli e corporate governance: quale futuro??”, in Banca Borsa e Tit. Cred., 2012, 5, 506, il quale, riprendendo un contributo di Jonathan Macey sul celebre caso Smith v. Van Gorkon del 1985, conferma che “il problema degli indipendenti è legato

alla circostanza che non riescono al contempo a svolgere funzioni gestionali e funzioni di controllo, ossia quella funzione duale che ogni componente del c.d.a. deve assolvere; il rischio è naturalmente che siano catturati dagli esecutivi, come è accaduto nel celebre caso Smith v. Van Gorkom del 1985, allorquando il consiglio di amministrazione della Transunion decise in poco tempo (due ore circa) su un’operazione complessa e dannosa per la società, solo perché fu catturato dal CEO interessato nell’operazione (van Gorkom, appunto)”; C. D’ERCOLE, “Amministratori non esecutivi, indipendenti, di minoranza”, Università Cattolica del Sacro Cuore, seminario sulla struttura del CdA nelle quotate fra diritto e soft law (Pisa, 1-2 dicembre 2006); R. RODORF, “Gli amministratori indipendenti”, in Giur. Comm., 2, 2007, 143.

270 Sul punto si precisa che l’applicazione della business judgment rule alle operazioni con parti correlate è

dibattuta in dottrina, essendoci chi ne sostiene l’inapplicabilità (A. MAZZONI, “Operazioni con parti correlate e abusi”, testo della relazione al Convegno «A quindici anni dal T.U.F.. Bilanci e prospettive », 13 e 14 giugno 2013, Università Bocconi di Milano) e chi, al contrario, la ritiene pacificamente applicabile (P. MONTALENTI, “Le operazioni con parti correlate: questioni sistematiche e problemi applicativi”, in Riv. Dir. Comm. 1, 2015, 70), seppur nella sua accezione “all’italiana”.

271 Il criterio offerto dalla business judgment rule è ormai ben noto nel nostro ordinamento e ancor più negli

ordinamenti anglosassoni dove, per l’appunto, è nato. Senza pretese di completezza, dati gli ampi contributi sul tema, si vedano S.A. RADIN, “The Business Judgment Rule – Fiduciary Duties of Corporate Directors”, Aspen Publishers, 2009. In giurisprudenza, uno dei primi casi in cui tale regola viene applicata è il procedimento inglese Charitable Corp. v. Sutton, 2 Atk. 400, 404 (1742). Nel nostro ordinamento, pregiata analisi della bjr è condotta daC.ANGELICI, “Diligentia quam in suis e business judgment rule”, in Riv. Dir. Comm., 2006, 675 ss.; si veda anche il contributo di P.PISCITELLO, “La responsabilità degli amministratori di società di capitali tra discrezionalità del giudice e business judgement rule”, in Riv. Soc., 6, 2012, 1167. In giurisprudenza, dove la bjr ha avuto ampio riconoscimento, si vedano Cass., 28 aprile 1997, n. 3652; Trib. Milano 3 settembre 2003; Trib. Milano

- 138 -

violazione del precetto di buona fede, il tribunale estende la sua valutazione anche al merito dell’operazione, inteso non tanto come merito commerciale – valutazione per la quale il tribunale non avrebbe alcuna specifica competenza – quanto come merito sull’opportunità di compiere quella determinata operazione stante la situazione di conflitto di interessi272. La valutazione si appunta dunque sulla correttezza della scelta

imprenditoriale più che sul suo contenuto, ossia sull’an piuttosto che sul quomodo273.

Con ciò, tornando al tema qui trattato – se il parere degli indipendenti costituisca esonero di responsabilità degli amministratori esecutivi – si vuol dire che in presenza 14 aprile 2004; Trib. Milano 29 maggio 2004; più recentemente si vedano Trib. Milano, 3 giugno 2008, in cui i giudici di merito affermano che “l’organo giudicante [...] ha solo il compito di valutare le conseguenze lesive

degli di violazioni ai doveri imposti dalla legge o dallo statuto agli amministratori, senza in alcun modo potersi spingere a sindacare l’operato ed il merito degli atti posti in essere dagli stessi, se non in caso di manifesta irragionevolezza delle scelte operate”, e ancora nella stessa sentenza si afferma che “la legge non impone agli amministratori di gestire la società senza commettere errori, anche nel caso in cui si tratti di errori gravi ed eventualmente evitabili da altri amministratori più competenti e capaci, ma prevede solo il rispetto dei numerosi obblighi di comportamento di amministrare con diligenza e di non agire in conflitto di interessi. È questo il contenuto della cosiddetta business judgment rule, secondo la quale la responsabilità degli amministratori è una responsabilità per violazione di obblighi connessi alla funzione e non per l’insuccesso economico della società ascrivibile ad errori di gestione. In base a tale regola, infatti, occorre tenere conto del fatto che nello svolgimento di un’attività imprenditoriale, e quindi nell’operato degli amministratori, è connaturata una rilevante discrezionalità”; Trib. Napoli, 20 giugno 2008, secondo cui “le scelte gestorie – cui è connaturato un rischio – non possono tradursi in consequenziali ipotesi di responsabilità degli amministratori quando il rischio si avvera, dovendo invece considerarsi se la scelta a suo tempo compiuta sia riconducibile a canoni di razionalità secondo le regole del business judgment rule”; Trib. Milano 14 gennaio 2010. Per una pronuncia più recente della Suprema Corte si

rinvia a Cass., 28 agosto 2009, n. 18231, la cui massima dispone che “nell’azione di responsabilità […] non

sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali, anche se presentino profili di alea economica superiori alla norma, ma resta invece valutabile la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite, altrimenti prevedibili”. Tuttavia, in alcuni casi

il giudice si è spinto oltre il criterio del giudizio imprenditoriale, sindacando il merito delle operazioni, (si vedano Trib. Milano 26 giugno 1983; Trib. Milano, 14 aprile 2004; Cass., n. 5718 del 2004).

272 Come rilevato di recente da Trib. Parma, ordinanza del 28 marzo 2013, “il Tribunale può sindacare anche

il merito delle scelte economiche compiute dagli amministratori in conflitto di interessi, e segnatamente quelle in pregiudizio della società da loro amministrata, ma conformi all’interesse del socio di maggioranza, a condizione che ricorra l’ulteriore presupposto della potenzialità del danno per la società stessa. […] In altre parole, il limite derivante dalla cd. business judgement rule non opera laddove si tratti di sindacare non tanto l’osservanza del dovere di diligenza (cd. duty of care) quanto dell’obbligo di fedeltà (cd. duty of loyalty).”. Tesi peraltro già sostenuta da C. App. Brescia decreto dell’8

febbraio 2001.

273 Esemplare la ricostruzione di tale tema offerta da C.ANGELICI, “Diligentia quam in suis e business

judgment rule”, in Riv. Dir. Comm., 2006, 688, ove l’autore afferma che, in presenza di una violazione del duty of loyalty, “il problema non si esaurisce in quello dei limiti di un sindacato avente per oggetto scelte

imprenditoriali (ovvero, considerando l’altro lato della medaglia, dello spazio di discrezionalità in cui esse devono potersi compiere), ma riguarda pure la diversa valutazione se il secondo obbligo [ndr duty of loyalty] è stato correttamente adempiuto; ed in tal caso non è più questione d’autonomia in quelle scelte, bensì di verificare la loro correttezza. […]. Ed in tal modo si spiega anche, a ben guardare, la previsione di una specifica ipotesi di responsabilità nell’art. 2391, quarto comma, c.c. per i danni derivanti dalla violazione di obblighi che la norma pone a carico dell’amministratore «interessato». […] se si trattasse semplicemente di applicare il criterio generale di responsabilità previsto dall’art. 2392 c.c., la norma sarebbe quanto meno inutile. […] è quasi inevitabile dedurne che con essa [ndr art. 2391, comma 4, c.c.] si sia voluto in certo modo aggravare la responsabilità dell’amministratore «interessato»: nel senso, a ben guardare, che in presenza

di un suo «interesse» ed essendosi verificati danni a carico della società (poiché il problema solo in tal caso si pone) diviene

plausibile un’analisi la quale, anche nel contesto di scelte propriamente imprenditoriali, sia volta ad accertare se e come il loro esito negativo sia stato influenzato dalla violazione di quegli obblighi. […]. Sotto questo profilo non è forse azzardato ritenere che la riforma abbia ripreso uno dei postulati che più diffusamente si ritengono caratterizzare la business judgment rule […]: quello che richiede di distinguere tra duty of care e duty of loyalty e di adottare distinti criteri di responsabilità per l’uno e per l’altro”.

- 139 -

di una violazione di specifici precetti normativi, esplicativi del principio di buona fede (art. 2391, comma 1, artt. 7 e 8, Regolamento)274, il parere favorevole degli

amministratori indipendenti non si ritiene comunque idoneo ad escludere che il giudice effettui una valutazione approfondita sul merito se compiere o meno l’operazione e, in caso di giudizio negativo, ad evitare la condanna dell’amministratore esecutivo (ed eventualmente del comitato indipendenti) al risarcimento dei danni ex art. 2391, comma 4, c.c..

2.4.2 Il parere degli amministratori indipendenti ai fini dell’esclusione della responsabilità degli amministratori ai sensi degli artt. 2392 e ss. del codice civile

L’art. 2392 c.c., a differenza degli artt. 2391 e 2497-ter c.c. precedentemente analizzati, contiene una regola di diligenza per gli amministratori, statuendo che gli stessi “devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta

dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”. La regola imposta rientra dunque

nel canone generale del c.d. duty of care. Ciò ha evidenti riflessi in termini di applicazione della business judgment rule, in quanto la stessa risulta pienamente operativa qualora la violazione dell’amministratore non ricada nell’ambito della correttezza.

Occorre dunque valutare che efficacia abbia il parere degli indipendenti nel caso in cui l’operazione deliberata si riveli dannosa per la società, laddove tale danno sia dovuto ad una mera incompetenza gestionale degli amministratori e non ad un loro comportamento scorretto.

In generale, si è già detto che il parere favorevole degli indipendenti assume, nei confronti degli amministratori che approvano l’operazione, una funzione di garanzia, in quanto idoneo ad alleggerire, in sede giudiziale, l’onere della prova gravante sugli stessi. Tuttavia, anche per tale ipotesi vanno fatte alcune opportune distinzioni:

274 Occorre comunque notare come in dottrina si sia sostenuto che gli obblighi previsti dal Regolamento

siano più una specificazione del dovere di diligenza, benché anche in tal caso la soluzione della disapplicazione della business judgment rule sia stata ritenuta pienamente valida. Per tale tesi si veda M. MIOLA, “Le operazioni con parti correlate”, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società, 2010, 650, il quale, prima che il Regolamento venisse emanato, affermava che il risultato della delega ex art. 2391-bis c.c. sarebbe stato “una specificazione del dovere di diligenza, in particolare sotto il profilo delle cautele da

adottare sul piano dell’informazione, dell’istruttoria e della ponderazione della decisione, e dunque, in sostanza, delle condizioni per potere beneficiare, anche nelle fattispecie in questione ed in specie alla luce delle scelte operate dalla riforma del diritto societario della business judgment rule.”. Una soluzione simile sembra essere condivisa anche da F.

GIORGIANNI, “Responsabilità dei gestori di S.P.A. e dovere di fedeltà: variazioni sul tema”, in Riv. Dir. Comm., 2010, I, 152, secondo il quale l’onestà e la lealtà dell’amministratore sono “principi che i sistemi

anglosassoni normalmente compendiano nella espressione duty of fidelity o duty of loyalty, che arricchisce ed integra the duty of care, principi che nel nostro sistema – per sottolinearne la matrice fiduciaria della gestione di patrimoni altrui – sono indicati quali “aspetti” di un generale “obbligo di fedeltà” o, più di recente, quale “puntualizzazione” del più generale (ed ampio) “dovere di fedeltà” degli amministratori.”.

- 140 -

(i) OPC di maggiore rilevanza con parere positivo degli indipendenti: come ampiamente esposto, tali operazioni devono essere approvate, in ultima istanza, dal CdA nel suo plenum. Ciò determina la possibilità che una responsabilità solidale ex art. 2392, comma 1, c.c., venga effettivamente ascritta a tutti i membri del CdA. Tuttavia, in sede giudiziale, il giudicante dovrà considerare una serie di aspetti prima di ritenere responsabili tutti gli amministratori: (a) in primo luogo, sono pur sempre gli amministratori delegati (o il comitato da essi costituito) a condurre le negoziazioni e, dunque, stabilire i termini dell’operazione. Tali soggetti, pertanto, dovrebbero comunque essere passibili di un più severo giudizio di responsabilità; (b) gli amministratori non esecutivi che non fanno parte del comitato indipendenti hanno spesso un ruolo marginale, in quanto sono informati sull’operazione attraverso il filtro degli amministratori indipendenti, da un lato, e degli amministratori esecutivi, dall’altro. È pur vero che, nella prassi, una volta in CdA, salvo manifestare espressamente il loro dissenso e votare negativamente, sono inclini ad avallare l’operazione qualora il comitato indipendenti abbia rilasciato un parere positivo. Pertanto anche gli amministratori non esecutivi potranno essere passibili di responsabilità per carente diligenza, ma la stessa andrà oculatamente graduata sulla base delle asimmetrie informative cui vanno incontro275; (c) il parere degli indipendenti,

come si è in precedenza sostenuto, non ha un contenuto meramente formale, ma prende in considerazione gli essenziali aspetti commerciali dell’operazione, pertanto è un parere di merito, rilasciato da amministratori super partes (dunque, in astratto, non influenzati da alcun elemento esogeno rispetto all’emittente). Il giudice dovrà tenere conto del parere che avalla le scelte degli amministratori esecutivi, proprio al fine di limitare la responsabilità di questi ultimi e rendere la condanna solidale con gli amministratori indipendenti (questa è la c.d. “funzione di garanzia” del parere)276. Una simile conclusione si ritiene ancora più

275 Infatti, come rilevato da V. DI CATALDO, “Problemi nuovi in tema di responsabilità di

amministratori di società per azioni: dal possibile affievolimento della solidarietà all’incerto destino dell’azione della minoranza”, in Giur. Comm., I, 2004, 649, “in presenza di più fatti del consiglio di

amministrazione che integrano inadempimento ai doveri gestori si dovrebbe distinguere se questi fatti sono imputabili a tutti gli amministratori, o meno; si dovrebbe poi identificare il danno (ed il nesso causale) riferibile a ciascuno dei fatti; e, in conclusione, singoli componenti del consiglio potrebbero risultare esenti da responsabilità; ed il danno risarcibile da imputare ad un singolo componente del consiglio che venga ritenuto responsabile potrebbe essere maggiore o minore di quello imputabile ad altri.”.

276 Qui la solidarietà, eventualmente con diversa graduazione del risarcimento, pare l’unica soluzione.

- 141 -

ragionevole alla luce del fatto che, nelle operazioni di maggiore rilevanza, il parere degli indipendenti non è solo obbligatorio ma anche vincolante, dunque i restanti componenti del CdA (inclusi i delegati) non possono discostarsene se non attivando l’eventuale procedura di whitewash277.

(ii) OPC di maggiore rilevanza con parere negativo degli indipendenti: in tal caso valgono pienamente le considerazioni sopra esposte al punto (i). Tuttavia, in presenza di un parere negativo, qualora l’operazione dovesse comunque ottenere l’approvazione in CdA, si avrebbe una responsabilità solidale (differentemente graduata) degli amministratori delegati e degli amministratori non esecutivi (non facenti parte del comitato OPC) che votino a favore. Al contrario, gli amministratori indipendenti non potrebbero essere ritenuti responsabili – potendosi assimilare, almeno negli effetti, il parere negativo all’annotazione del dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni prevista dall’art. 2392, comma 3, c.c. per l’esenzione da responsabilità – salvo il caso in cui votino a favore dell’operazione in CdA contraddicendo il loro precedenze giudizio negativo.

(iii) OPC di minore rilevanza con parere positivo degli indipendenti: in tal caso, l’operazione è normalmente compiuta direttamente dagli amministratori delegati, considerato anche il fatto che il parere degli indipendenti, pur essendo obbligatorio, non è vincolante. In caso di parere positivo e di successivo compimento di un’operazione poi rivelatasi dannosa, è plausibile che, in sede giudiziale, la responsabilità venga ascritta in primo luogo ai delegati e, in second’ordine, al comitato indipendenti. Si potrebbe obiettare che tale soluzione non tiene conto esecutivi del CdA (e non indipendenti), solo perché il comitato indipendenti ha rilasciato un parere favorevole. Di questo avviso anche A. POMELLI, “La disciplina Consob delle operazioni con parti correlate”, in Nuove Leggi Civili Commentate, 2010 ed E. PUCCI, “Il parere degli amministratori indipendenti nelle operazioni con parti correlate: profili funzionali” in Riv. Soc., 2, 2014, anche se, quest’ultima, secondo l’argomentazione che il parere degli indipendenti ha valore meramente procedurale dunque è solo uno dei tanti elementi da considerare ai fini della responsabilità degli altri componenti del CdA.

277 Simili conclusioni sono maggiormente valide qualora il parere sia negativo. Tuttavia, ci si potrebbe

Nel documento Le operazioni con parti correlate (pagine 135-143)

Outline

Documenti correlati