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Nei mesi a seguire le occupazioni e gli scioperi continuarono in decine di istituti professionali della regione e la mobilitazione rimase alta nelle principali categorie sindacali e in diversi cen-tri della Provincia, ma avrebbe progressivamente perso la spinta iniziale52.

Eboli nel 197454, ma anche in proteste storiograficamente meno note come quelle del maggio 1969 in provincia di Foggia per lo sfruttamento in loco del metano del Subappennino Dauno55. Ad accomunare queste manifestazioni di dissenso fu un inconsueto criterio di aggregazione delle forze sociali in campo, un senso di appartenenza territoriale, interclassista e ideologicamente tra-sversale56, ma soprattutto una causa comune nelle frustrazioni generate dalle disattese aspettative di sviluppo economico delle popolazioni meridionali57, nella paura o nella constatazione che progetti ritenuti fondamentali per migliorare le condizioni so-ciali ed economiche di una città, di un’area o di una provincia, potessero sfumare per mere contese politiche e a vantaggio di altri territori. È evidente che tutto ciò è riscontrabile nel febbraio lucano. C’è però un elemento di differenza non da poco tra le lot-te contro la decisione del Cipe e gli altri movimenti che scossero la società meridionale a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta: la capacità dei corpi intermedi di mediare e di incanalare le proteste. A differenza di quanto avvenne negli al-tri contesti citati, la capacità di sintesi politica e rivendicativa di-mostrata da sindacato e mondo cattolico del “dissenso” permise di riassorbire velocemente i robusti tratti qualunquisti e frenare sul nascere qualunque deriva violenta.

Dal punto di vista meramente quantitativo nel triennio 1967-70 nella sola provincia di Matera, dove insisteva il più grande polo chimico regionale, si passò dalle 190 mila ore di sciopero del 1967 alle 457 mila del 1969, per poi scendere alle 276 mila del 1970. Mentre sul piano qualitativo, le conquiste contrattuali furono indicative di un mutamento nei rapporti di forza tra

sin-54.  Alfonso Conte, La rivolta popolare di Eboli, Salerno, Plectica, 2014.

55.  Mario Giorgio, Lotte popolari e forze politiche nel mezzogiorno d’Italia (parte prima), in “La Capitanata”, 1976, 14, pp. 138-78.

56.  Luigi Ambrosi, Regionalizzazione e localismo. La rivolta di Reggio Calabria del 1970 e il ceto politico calabrese, in “Storicamente”, 2010, 6, 26.

57.  Cfr. Gaetano Cingari, Reggio Calabria, Roma-Bari, Laterza, 1988.

dacato e fronte padronale. Nell’industria si conseguì la settimana di 40 ore e aumenti salariali uguali per tutti, la parità normativa tra operai e impiegati e il riconoscimento dei diritti sindacali nel posto di lavoro. In pratica si chiudeva la fase di faticoso ma pro-gressivo radicamento del sindacato nelle realtà di fabbrica che aveva caratterizzato gli anni Sessanta e proprio a partire dalla chiusura, positiva in termini di conquiste, della lunga stagione di lotte del biennio 1968-70, si sarebbe avviato un processo di crescita numerica.

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Il mio contributo tenta di fornire uno spaccato d’insieme sul-le dinamiche che contrassegnarono la fine degli anni Sessanta, in particolar modo il 1969, con la finalità di approfondire alcuni aspetti dei movimenti di protesta del variegato scenario italiano.

A questo proposito ho tentato di esaminare, in termini qualitativi e quantitativi, il rapporto esistente tra la Sardegna e la dinamica conflittuale che si affermò sul finire degli anni Sessanta1. I cam-biamenti intercorsi nella società dell’epoca, infatti, hanno contri-buito alla nascita di forme di lotta indirizzate al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, in una società che auspicava un profondo cambiamento dei modelli politici, economici e so-ciali affermatisi all’indomani del secondo dopoguerra.

In questo contesto, l’esperienza del 1969 rappresentò un ri-ferimento per il successivo panorama delle lotte sindacali degli anni Settanta e diede vita a un rinnovamento del rapporto esi-stente tra il mondo sindacale e la base. Sergio Bologna ha sot-tolineato come nel 1969 le mobilitazioni avessero riguardato le

1.  Per un’analisi delle mobilitazioni che interessarono il 1969 nel contesto sardo: Giannarita Mele, Claudio Natoli (a cura di), Storia della Camera del lavoro di Cagliari nel Novecento, Roma, Carocci, 2007; A.A.V.V., Storia di un sindacato popola-re. Cinquant’anni della Cisl sarda, Cagliari, Fisgest, 2000.

categorie dei più importanti settori economici del paese, come i metalmeccanici, i chimici, gli edili, gli alimentaristi, gli ospeda-lieri, gli autoferrotranvieri, i braccianti e altri2. Di fronte a questo contesto le organizzazioni sindacali confederali, Cgil, Cisl e Uil, diedero vita a una serie di manifestazioni che riscossero un’am-pia partecipazione, generando uno stato straordinario di mobi-litazione nel paese dal settembre al dicembre di quell’anno. Tali avvenimenti, secondo le riflessioni di Bologna, assunsero il loro carattere di eccezionalità nelle dinamiche politiche del secondo dopoguerra, non tanto per le forme di lotta adottate - sciope-ri, cortei, manifestazioni, occupazione di spazi pubblici, ecc. -, quanto per il senso di forte identità che la classe operaia riuscì a esprimere nei confronti del resto della società3. All’interno di questo scenario entrarono in gioco le dinamiche relative alla si-tuazione socio-economica dell’Italia dell’epoca, con un tessuto economico diversificato al suo interno, prevalentemente agrario nel Meridione e industrializzato nell’area centro-settentrionale.

Che il Mezzogiorno rappresentasse la zona più vulnerabile della struttura economico-sociale del nostro paese è stato di-mostrato dalle tesi dell’economista Giuseppe Di Nardi. Lo stu-dioso dimostrava come le cause dello stato di precarietà delle realtà economiche meridionali si dovessero rintracciare nella debolezza di una struttura caratterizzata da una conformazione prevalentemente agricola e da un basso livello di sviluppo del-le attività industriali4. Di fronte a questo scenario, gli ambienti della politica nazionale avevano posto le basi per la definizione di una serie di misure finalizzate all’eliminazione degli squilibri derivanti dal dualismo tra le realtà avanzate dell’Italia setten-trionale e quelle svantaggiate del Meridione. Ciononostante, il

2.  Sergio Bologna, Il lungo autunno. Le lotte operaie degli anni Settanta, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2019, pp. 8-9.

3.  Ibidem.

4.  Giuseppe Di Nardi, Politiche pubbliche e intervento straordinario per il Mez-zogiorno: scritti di un economista meridionale, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 48-49.

periodo che va dagli inizi degli anni Cinquanta sino agli anni Sessanta fu contrassegnato dall’acuirsi delle problematiche so-cio-economiche nello scenario meridionale e, a questo proposito, la stessa Sardegna divenne una vera e propria protagonista di questo trend negativo5. Per fronteggiare l’annosa questione sar-da, la classe politica dell’epoca e le organizzazioni sindacali con-centrarono la propria attenzione sulla necessità di attivare una piattaforma programmatica basata sul raggiungimento dello sviluppo socio-economico regionale, come stabilito dall’articolo 13 dello statuto sardo6. Nonostante la predisposizione dei pro-grammi di sviluppo che sarebbero culminati con l’approvazione della legge 588/1962 (Piano di Rinascita), la Sardegna degli anni Sessanta fu contrassegnata dall’aggravarsi delle realtà economi-camente depresse e dall’acuirsi di tensioni sociali che avrebbero dato avvio a una nuova stagione contestativa nei confronti de-gli organismi istituzionali, i quali non riuscirono a fornire delle risposte al «malessere» regionale, animando il dibattito politico isolano7. Le problematiche legate all’arretratezza socio-economi-ca, la sperequazione economica e contrattuale vigente nei settori produttivi, la stasi delle strutture portanti dell’economia sarda, come nel caso del comparto industriale, e le rivendicazioni di uno sviluppo che rispondesse alle reali esigenze della popolazio-ne, contribuirono alla nascita di quei movimenti di protesta che dominarono il panorama contestativo isolano alla fine degli anni

5.  Giulio Sapelli, L’occasione mancata. Lo sviluppo incompiuto della industrializ-zazione sarda, Cagliari, Cuec, 2011, pp. 77-81; Antonello Mattone, Luigi Berlinguer (a cura di), Storia d’Italia: le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna, Torino, Einaudi, 1998.

6.  Per un’analisi sull’esperienza degli interventi in Sardegna si rimanda a Francesco Soddu (a cura di), La cultura della rinascita. Politica e istituzioni in Sarde-gna (1950-1970), Sassari, Centro studi autonomistici “Paolo Dettori”, 1992; Aldo Accardo (a cura di), L’isola della rinascita. Cinquant’anni di autonomia della Regione Sardegna, Roma-Bari, Laterza, 1998.

7.  AA. VV., La transizione difficile. Politica e istituzioni in Sardegna (1969-1979), Milano, Franco Angeli, 2017.

Sessanta8. Di fronte a questo quadro negativo, le lotte operaie in Sardegna in quel periodo diedero un contributo ai fenomeni di mobilitazione sociale e sindacale che interessarono lo scena-rio italiano del 1969. Le molteplici contraddizioni economiche, politiche, sociali che caratterizzavano la società sarda dell’epoca fornirono i presupposti per l’esplosione delle lotte dell’autunno 1969. Non mancarono degli elementi di consonanza con il conte-sto nazionale: scontro di classe, tensioni politiche e sociali, messa in discussione delle condizioni economiche e sociali sul posto di lavoro e agitazioni che riscossero un’ampia partecipazione. Dal punto di vista politico e sindacale, la Sardegna si inserì a pieno titolo nelle dinamiche che contrassegnarono la stagione del co-siddetto Autunno caldo, in un momenti in cui le lotte sindacali raggiunsero un tasso medio di 11,50 ore di sciopero per dipen-dente occupato, tanto da evidenziare l’incremento dei livelli di mobilitazione rispetto ai primi anni Sessanta9. La Sardegna di-venne teatro di una stagione di lotte che interessarono, in primo luogo, i lavoratori e le popolazioni che dipendevano dai com-parti industriali, e contribuì alla nascita di nuove forme di con-testazione che colpirono quei fenomeni nati nel clima del secon-do secon-dopoguerra, come nel caso delle servitù militari10. A questo proposito, le vicende di Pratobello rappresentarono un momento di forte contrapposizione tra la popolazione locale e le scelte di natura politica e, in questo contesto, rientrano a pieno titolo nelle categorie dei territori sociali di conflitto del 1969. La fine degli anni Sessanta fu contrassegnata dalla ripresa di quella coscienza

8.  Per un’analisi dei movimenti di protesta e sulle dinamiche sindacali in Sardegna si rimanda a Raffaele Callia, Gianpiero Carta, Martino Contu, Storia del movimento sindacale nella Sardegna meridionale, Cagliari, AM&D, 2002; G. Mele, C.

Natoli (a cura di), Storia della Camera del lavoro di Cagliari, cit.; A.A.V.V., Storia di un sindacato popolare, cit.

9.  R. Callia, G. Carta, M. Contu, Storia del movimento sindacale, cit., p. 362.

10.  Franca Menneas, Sa lota e Pratobello. La lotta di un popolo in difesa del pro-prio territorio, Sestu (Ca), Domus de Janas, 2019.

politica che avrebbe messo in discussione gli elementi distorsivi che delineavano lo scenario isolano, dando vita a un ciclo di forti tensioni sociali e ad una serie di mobilitazioni per arginare gli squilibri esistenti.

1.  Le aree minerarie: crisi industriale,