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La conflittualità nelle fabbriche dal 1959 al 1975

È noto che le statistiche sugli scioperi elaborate da organi ufficiali abbiano numerosi limiti nel descrivere in modo compiuto i conflitti tra lavoratori dipendenti e imprese. Come hanno sottolineato da tempo sociologi e scienziati della politica, quelle rilevazioni trascurano molte, importanti, tipologie di dissenso, quali gli scioperi per motivazioni esclusivamente politiche e gli scioperi cosiddetti bianchi, il sabotaggio, le manifestazioni di piazza, gli scontri con le forze dell’ordine e altro ancora. Alcuni studiosi hanno optato per la raccolta e l’analisi di informazioni circa tutte le manifestazioni di contrasto sociale verificatesi in una o più nazioni attraverso lo spoglio dei quotidiani, riuscendo a fornire una rappresentazione dettagliata delle proteste del mondo operaio, nell’industria e nel settore terziario, non solo verso gli imprenditori ma anche verso le istituzioni13. Cionondi-meno, poiché dalla consultazione dei documenti d’archivio sele-zionati per la presente ricerca emerge solo raramente l’esistenza di espressioni radicali, violente od originali di lotte da parte de-gli operai umbri, non sembra azzardato considerare i dati sude-gli scioperi come un indicatore affidabile per la ricostruzione delle agitazioni nel settore secondario della regione. È vero che pure i resoconti del personale dello Stato sui disordini sociali

sconta-13.  Critiche puntuali alle statistiche sugli scioperi e utilizzi di fonti alter-native per lo studio della conflittualità nel lavoro si trovano in Maurizio Benetti, Marino Regini, Confronti temporali e spaziali sui conflitti di lavoro, in Pietro Ales-sandrini (a cura di), Conflittualità e aspetti normativi del lavoro, Bologna, il Mulino, 1978, pp. 35-45; Roberto Franzosi, Cent’anni di statistiche sugli scioperi. Una rasse-gna critica dei metodi e dei limiti della ricerca quantitativa sul conflitto industriale, in Gian Primo Cella, Marino Regini (a cura di), Il conflitto industriale in Italia. Sta-to della ricerca e ipotesi delle tendenze, Bologna, il Mulino, 1985, pp. 21-54; Sidney Tarrow, Democrazia e disordine. Movimenti di protesta e politica in Italia 1965-1975, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp. 6-24 e 46-66; Giovanni Arrighi, Labor Unrest in Italy, 1880-1990, in “Review”, 1995, 18, pp. 51-68; Beverly J. Silver, Le forze del lavoro.

Movimenti operai e globalizzazione dal 1870, Milano, Bruno Mondadori, 2008, pp.

33-52 e 229-260.

no dei punti deboli, in primis una possibile sopravvalutazione o sottovalutazione della gravità dei fenomeni posti sotto controllo, provocate dal desiderio dei funzionari di ottenere da parte delle autorità centrali, rispettivamente, una maggiore attenzione verso il loro ufficio o un riconoscimento dei risultati conseguiti nella gestione dell’ordine pubblico. Tuttavia, altre fonti quali testimo-nianze di militanti sindacali e relazioni delle organizzazioni dei lavoratori sembrano confermare una sostanziale irrilevanza del-le manifestazioni più viodel-lente e radicali di contestazione nella regione negli anni sotto esame14.

Detto ciò, soffermiamoci ora su alcuni elementi che possiamo ricavare dai dati sugli scioperi, mettendo a confronto le cifre re-lative all’Umbria, alla più importante area industriale del paese (la Lombardia) e all’Italia nel suo complesso. La comparazione servirà a comprendere meglio i caratteri della conflittualità nella zona oggetto della nostra indagine.

Tab. 3: Medie pluriennali degli indici di conflittualità nell’industria in Umbria, Lombardia e Italia (1959-1975)

1959-1967 1968-1975

Umbria 4,9634 7,3279

Lombardia 11,9265 17,1721

Italia 9,0171 14,6482

Nota: nella categoria “industria” sono stati compresi i comparti minerario, mani-fatturiero in senso stretto, della costruzione e installazione impianti, della produ-zione e distribuprodu-zione di luce, gas e acqua.

Fonte: elaborazioni da Istat, “Annuario di statistiche del lavoro e dell’emigrazione”, ad annum.

14.  Si vedano, ad esempio, Franco Fogliano, Potere, sindacato, società a Terni.

1969-1983. La “Terni” orto d’acciaio della città, Arrone, Edizioni Thyrus, 1984, pp.

80-124 e Fabrizio Ricci (a cura di), La Perugina è storia nostra. I lavoratori raccontano i cento anni di storia della fabbrica, Roma, Ediesse, 2007, pp. 31-231, passim.

Tab. 4: Medie pluriennali di ampiezza, severità e durata degli scioperi in Umbria, Lombardia e Italia (1968-1975)

Umbria Lombardia Italia

Ampiezza 1.528,7399 2.074,2886 1.680,6105

Severità 20,5622 27,2909 26,1957

Durata 26.981,95 51.440,91 39.385,59

Nota: nella categoria “industria” sono stati compresi i comparti minerario, mani-fatturiero in senso stretto, della costruzione e installazione impianti, della produ-zione e distribuprodu-zione di luce, gas e acqua.

Fonte: elaborazioni da Istat, “Annuario di statistiche del lavo-ro e dell’emigrazione”, ad annum.

Prendendo come punto di partenza la “voce” più attendibile delle registrazioni sugli scioperi, ovvero le ore di lavoro perse, e rapportandola al numero di lavoratori occupati per settore, si ottiene l’indice di conflittualità, che è lo strumento meno inade-guato per operare paragoni tra le agitazioni in tempi e aree ge-ografiche diverse15. Dalla tabella 3 si può notare che il volume dei conflitti in Umbria fu sempre nettamente inferiore a quello osservabile in Lombardia e nell’Italia nel suo complesso. L’im-pressione di scontri sociali più attenuati nella regione rispetto ad aree maggiormente industrializzate trova conferma anche met-tendo in rapporto indicatori meno affidabili quali il numero di scioperi e quello degli scioperanti. L’ampiezza (cioè la relazione tra scioperanti e scioperi), la severità (il rapporto tra ore di lavoro perse e scioperanti) e la durata (relazione tra ore di lavoro perse e scioperi) dei conflitti verificatisi in Umbria nel periodo più acuto delle mobilitazioni, vale a dire tra il 1968 e il 1975, furono comun-que inferiori a comun-quelle della Lombardia e dell’Italia in generale.

15.  M. Benetti, M. Regini, Confronti temporali e spaziali sui conflitti di lavoro, cit., pp. 44-45.

Come più volte preannunciato, gli organi di polizia e le pre-fetture avvalorarono l’impressione di un clima, nelle fabbriche e nei centri urbani, tutto sommato tranquillo, pur in presenza di una mobilitazione operaia e studentesca che aveva investito la regione dal 1968 in poi. Le relazioni trimestrali dei prefetti di Perugia e Terni inviate al ministro dell’Interno dal 1968 al 1975 ribadivano, anche a fronte di imponenti assembramenti cittadini orchestrati dai sindacati, che le «condizioni dell’ordine pubblico, costantemente vigilate, si sono mantenute nei limiti della nor-malità»16. In realtà, tutte le «manifestazioni politiche, sindacali e studentesche [erano] state contenute entro i limiti della legalità e non [erano] degenerate in incidenti di piazza»17. Scontri fisici, che coinvolsero pochissime persone peraltro, tra scioperanti o manifestanti e forze di polizia o esponenti delle aziende si conta-rono sulle dita di una mano negli anni in questione18. Inoltre, non si evincono dalle fonti consultate contestazioni delle strutture di rappresentanza tradizionali all’interno dei luoghi di lavoro (le commissioni interne) da parte di frange di operai radicalizzati o di formazioni extraparlamentari di estrema sinistra, né la crea-zione di organismi sindacali alternativi come i comitati unitari di base, in aperta contrapposizione con le prime. Anzi, la gestione 16.  Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Ministero dell’Interno, Gabinetto (d’ora in poi MI, Gab.), Fascicoli correnti, 1967-70, b. 421, fasc. 16995/57, Relazione sulla situazione della provincia di Perugia nel periodo dicembre 1969 - marzo 1970, 18 aprile 1970, p. 5. Per commenti dello stesso tenore si vedano tutte le relazioni contenute ivi e nel fasc. 16995/80 per quanto riguarda la provincia di Terni.

17.  Archivio di Stato di Terni (d’ora in poi AST), Questura di Terni – III versa-mento, b. 64, fasc. 507, Appunto del questore, 15 settembre 1971, p. 1.

18.  Si vedano ACS, MI, Gab., Fascicoli correnti, 1967-70, b. 138, fasc. 13257, Telegramma del prefetto di Perugia al ministero dell’Interno, 17 marzo 1969; ivi, 1971-75, b. 192, fasc. 13200/58, Telegramma del prefetto di Perugia al ministero dell’Interno, 8 gennaio 1972; ivi, Telegramma del prefetto di Perugia al ministero dell’Interno, 21 febbraio 1972; ivi, Telegramma del prefetto di Perugia al ministe-ro dell’Interno, 25 febbraio 1974; AST, Prefettura di Terni, b. 172, fasc. 2, Rapporto del questore di Terni al prefetto, 15 dicembre 1970; Aggredito un agente durante lo sciopero, in “Il Messaggero”, 16 dicembre 1970.

delle agitazioni e delle contrattazioni con la controparte padro-nale fu portata avanti dentro le fabbriche dalle federazioni pro-vinciali di categoria ma anche dalle commissioni interne.

Nel corso delle lotte del 1969, tese ad ottenere dei contratti collettivi aziendali integrativi dei contratti nazionali soprattutto per ciò che atteneva alle retribuzioni, le commissioni interne del-la Società Terni e dell’Elettrocarbonium s.p.a. (una ditta di circa 1.000 addetti che produceva a Narni elettrodi per forni elettrici industriali), ad esempio, parteciparono attivamente alle tratta-tive per la stipula degli accordi, con il supporto delle rispettratta-tive federazioni sindacali dei lavoratori siderurgici e chimici, le quali siglarono poi le suddette intese19. È da ricordare, comunque, che il principale, se non quasi esclusivo, “agente contrattuale nelle vertenze aziendali” sorte nel 1969, sia in Umbria che in tutto il paese, fu proprio la federazione provinciale di categoria20.

Pure il trapasso dalle commissioni ai delegati di reparto e ai consigli di fabbrica avvenne in maniera assai poco traumatica, come dimostra sempre il caso delle acciaierie di Terni, che videro la nascita nel settembre 1971 del consiglio sostanzialmente senza scosse o divisioni interne e con la collaborazione dei membri del-la vecchia commissione, di cui furono rilevate le funzioni; diver-samente da quanto si verificò alla Fiat o alla Pirelli, ad esempio21. Certo, anche a Perugia e a Terni furono operaie e operai giovani, 19.  Per la Società Terni si vedano ACS, MI, Gab., Fascicoli correnti, 1967-70, b.

140, fasc. 13280, Relazione del prefetto di Terni al ministero delle Partecipazioni Statali, 11 giugno 1969 e Archivio Storico della Camera del Lavoro di Terni (d’ora in poi ASCLT), Accordi Soc. Terni, b. 3 “1956-1969”, fasc. 1, Verbale di accordo 9 luglio 1969. Per la Elettrocarbonium s.p.a., ACS, MI, Gab., Fascicoli correnti, 1967-70, b. 140, fasc. 13280, Relazione del vice prefetto di Terni al ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, 1 dicembre 1969.

20.  Myriam Bergamaschi, L’azione sindacale nelle contrattazioni aziendali e di settore del 1969, in Andrea Ciampani, Giancarlo Pellegrini (a cura di), L’autunno sindacale del 1969, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013, pp. 181-182.

21.  Per le acciaierie di Terni si vedano F. Fogliano, Potere, sindacato, società a Terni, cit., p. 25; ASCLT, Organismi operai di fabbrica, b. 2, fasc. “Vertenze 1946-1971”, Comunicato del coordinamento unitario dei delegati di fabbrica Società

maggiormente istruiti, combattivi e intraprendenti dei loro col-leghi più anziani, che andarono a costituire il nerbo dei nuovi organi rappresentativi delle maestranze. Nondimeno, è presumi-bile che quanto affermato da Andrea Gianfagna (segretario na-zionale della Filziat Cgil per tutti gli anni Sessanta e Settanta), a proposito del ricambio generazionale dei militanti del sindacato e della creazione del consiglio di fabbrica alla Perugina a cavallo dell’Autunno caldo, possa essere valido anche per altre grandi e medie imprese della regione:

È in questo contesto che si è formata quella nuova leva di giovani che poi ha dato vita alla trasformazione della commissione interna, tra i quali ricordo Mandarini, Grassi, Mancinelli e altre decine di compagni. Commissione interna che durante quella fase di lotta aveva assunto un atteggiamento di grande prudenza, mentre i giovani spingevano, fino ad arrivare ad accusare le compagne più anziane di essere delle «senatrici», anziché la parte trainante del movimento.

Tuttavia, è da rilevare che una buona parte della formazione delle nuove leve che si facevano avanti in quegli anni la si deve proprio a quelle compagne. Sono loro che hanno fatto crescere quel nuovo gruppo dirigente, lo stesso che poco tempo dopo avrebbe dato vita al consiglio di fabbrica della Perugina, uno dei più prestigiosi di tutta l’industria alimentare22.

Tenuto conto di tali considerazioni, in definitiva si può quali-ficare a bassa intensità la conflittualità operaia in Umbria dal ’68 alla metà del decennio seguente.

Tuttavia ciò non significa che l’ondata di agitazioni nella re-gione abbia sperimentato dinamiche e tempistiche differenti o contrastanti con le tendenze di altre province più industrializ-zate.

“Terni”, s.d. [ma luglio 1971]. Per la Fiat e la Pirelli si rimanda a R. Lumley, Dal ’68 agli anni di piombo, cit., pp. 165-190 e a S. Musso, Il 1969 a Torino, cit., pp. 213-219.

22.  Testimonianza riportata in F. Ricci (a cura di), La Perugina è storia nostra, cit., p. 65.

Graf. 2: Andamento delle ore di lavoro perdute per sciopero nell’industria in Umbria (1959-1975)

Fonte: Istat, “Annuario di statistiche del lavoro e dell’emigrazione”, ad annum.

Graf. 3: Andamento delle ore di lavoro perdute per sciopero nell’industria in Lombardia (1959-1975)

Fonte: Istat, “Annuario di statistiche del lavoro e dell’emigrazione”, ad annum.

Se volgiamo nuovamente lo sguardo al parametro delle ore perse per sciopero, i grafici 2 e 3 mostrano come gli andamenti delle astensioni dal lavoro negli opifici umbri e lombardi (al netto dell’ovvio squilibrio nel numero assoluto di ore conteggiate) fos-sero molto simili se non equivalenti, almeno per il periodo 1964-73. Segno che i ritmi e le ragioni delle proteste erano fondamental-mente uguali nelle due aree. Alla stessa conclusione si giunge se ci soffermiamo sui motivi degli scioperi registrati dall’Istat, la cui distribuzione percentuale è riportata nelle tabelle 5 e 6.

Tab. 5: Distribuzione percentuale delle ore di lavoro perdute per sciopero nell’industria in Umbria per motivo di sciopero (1968-1972)

1968 1969 1970 1971 1972

Rivendicazione salariale 33,49 25,40 4,49 15,58 4,26

Licenziamento 0,32 1,99 - 1,00 0,48

Rinnovo contratto di

lavoro 22,60 57,78 43,26 35,68 66,25

Sospensione operai - - - -

-Rivendicazione

eco-nomica normativa 3,20 7,69 39,82 34,17 7,83

Solidarietà - - - 0,50

-Altra causa 40,39 7,14 12,43 13,52 21,18

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: elaborazioni da Istat, “Annuario di statistiche del lavoro e dell’emigrazione”, ad annum.

Tab. 6: Distribuzione percentuale delle ore di lavoro perdute per sciopero nell’industria in Lombardia per motivo di sciopero (1968-1972)

1968 1969 1970 1971 1972

Rivendicazione salariale 15,72 9,76 4,40 18,00 4,48

Licenziamento 3,34 0,13 0,64 3,39 0,82

Rinnovo contratto di

lavoro 18,22 75,01 62,60 32,56 67,08

Sospensione operai 0,33 0,16 0,35 2,86 0,39

Rivendicazione

eco-nomica normativa 5,75 4,02 10,02 10,62 5,69

Solidarietà 0,12 0,01 0,02 0,40 3,28

Altra causa 56,52 10,91 21,97 32,17 18,26

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: elaborazioni da Istat, “Annuario di statistiche del lavoro e dell’emigrazione”, ad annum.

Concentrandoci solo sul lasso di tempo delle lotte più acce-se (1968-72), possiamo notare come sia per l’Umbria che per la Lombardia si sia verificato in quegli anni un ridimensionamento delle rivendicazioni salariali tra le cause che spingevano a scio-perare, a fronte di una importanza crescente dei rinnovi del con-tratto di lavoro e, in subordine, delle richieste economico-nor-mative (l’incremento di queste ultime fu più marcato nella prima regione che nella seconda). Una siffatta evoluzione era d’altron-de in linea con quanto rilevato a livello nazionale23.

In sostanza l’autunno sindacale e le stagioni successive al 1969 non furono propriamente “calde” nella regione di cui ci si occupa, pur se replicarono in piccolo tensioni e diatri-be contrattuali che si verificavano contemporaneamente nelle province più ricche della Penisola. Quali sono i fattori, allora, che possono spiegare questo depotenziamento delle proteste?

In primo luogo, è probabile che la conformazione economica, demografica e produttiva dell’Umbria, sintetizzata nel para-grafo precedente, abbia influito molto sulle forme di conflitto.

Nel “cuore verde d’Italia” non si trovavano enormi concentra-zioni di operai comuni immigrati da aree lontane del paese in centri urbani sovraffollati, costrette a sopportare condizioni abitative precarie, servizi pubblici e infrastrutture insoddisfa-centi o assenti all’esterno della fabbrica e ritmi lavorativi ele-vati, mansioni ripetitive e alienanti all’interno della fabbrica.

In Umbria le maestranze industriali erano in stragrande mag-gioranza di origine locale, praticanti spesso un pendolarismo di breve distanza che permetteva loro di non essere sradicate dai contesti sociali di provenienza24. Inoltre, con l’eccezione 23.  M. Benetti, M. Regini, Confronti temporali e spaziali sui conflitti di lavoro, cit., p. 56.

24.  Paradigmatica di tutti i grandi impianti produttivi umbri era la si-tuazione della Polymer, impresa del gruppo Montedison che fabbricava a Ter-ni fibre polipropileTer-niche e materie plastiche, nel cui stabilimento lavoravano più di 2.000 addetti, metà dei quali residente nel capoluogo di provincia e l’al-tra metà nei comuni vicini e in quelli non lontani di Spoleto, Rieti e Foligno.

parziale del comparto chimico, prestavano la loro opera in siti la cui organizzazione spaziale e produttiva era assai poco o per nulla scandita da catene di montaggio e standardizzazio-ne estrema dei movimenti e dei tempi di lavoraziostandardizzazio-ne. Natu-ralmente ciò non comportava che negli stabilimenti umbri la disciplina non fosse dura, i rischi per la salute dei dipendenti alti e le remunerazioni inadeguate al costo della vita25. In pa-role povere, se gli elementi che giustificavano l’esplosione de-gli scioperi vi erano tutti, quelli per una loro radicalizzazione (al contrario che nelle regioni del Nord) erano difficilmente identificabili.

Vi è però un’altra considerazione da fare. Autori quali Sid-ney Tarrow e Marco Revelli hanno evidenziato come, nel pe-riodo analizzato, i conflitti sociali conoscessero un’escalation e si esasperassero laddove la capacità di presa dei sindaca-ti e degli issindaca-titusindaca-ti di rappresentanza aziendale sui lavoratori era debole, mentre forte era l’azione di condizionamento dei gruppi extraparlamentari di sinistra e studenteschi sul movi-mento operaio. I più volte citati casi della Fiat, della Pirelli e del petrolchimico di Porto Marghera (ma anche della Zanussi e della Zoppas) sono, a tal proposito, esemplari26. In Umbria, invece, nonostante il calo del tasso di sindacalizzazione

avve-AST, Archivio del Partito comunista italiano, b. 343, fasc. “Commissione fabbrica 1970-1972”, Considerazioni ed ipotesi di lavoro alla Polymer in preparazione del congresso della Sezione P.C.I., s.d. [ma 1971], p. 2.

25.  Per una rassegna delle condizioni di lavoro e dei salari percepiti dagli operai nelle principali aziende umbre si veda Umbria. I lavoratori accusano. Libro bianco sulla condizione operaia nella regione, a cura del Comitato regionale del P.C.I., Terni, Arti Grafiche Nobili, s.d. [ma 1968].

26.  S. Tarrow, Democrazia e disordine, cit., pp. 161-173; Marco Revelli, Movi-menti sociali e spazio politico, in Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazio-ne dell’Italia: sviluppo e squilibri, t. 2, Istituzioni, movimenti, culture, Torino, Einaudi, 1995, pp. 456-457; Giorgio Roverato, Il Nord-est delle grandi imprese familiari: Mar-zotto, Zanussi e Zoppas, in P. Causarano, L. Falossi, P. Giovannini (a cura di), Il 1969 e dintorni, cit., pp. 237-246.

nuto tra gli anni Cinquanta e Sessanta (parallelo a quanto re-gistrato a livello nazionale) e nonostante l’offensiva padronale per contenere istanze e capacità contrattuale degli operai, che ricalcava processi analoghi portati avanti dalle imprese del resto d’Italia27, a partire dalle astensioni dal lavoro del 1962-63 riuscì ad emergere una nuova leva di attivisti sindacali, soprattutto della Cgil, che, almeno nelle ditte più importanti (come alla Perugina e alle acciaierie di Terni), erano consape-voli delle trasformazioni che stavano investendo l’industria e furono in grado di elaborare strategie rivendicative vincenti in termini di incrementi salariali e di ridefinizione dei ritmi di lavoro28. Ciò si tramutò in un elevato consenso per la Cgil alle elezioni di molte commissioni interne svoltesi tra il 1967 e il 1969 (specialmente nella provincia di Terni, come si evince dalla tabella 7) e in una inedita unità di azione tra queste e i tre maggiori sindacati confederali.

27.  I. Regalia e M. Regini, Sindacato e relazioni industriali, cit., pp. 791-796;

S. Musso, Storia del lavoro in Italia dall’Unità a oggi, cit., pp. 209-228; G. Pellegrini, Associazioni dei lavoratori e sindacati, cit., pp. 241-245.

28.  R. Covino, Partito comunista e società in Umbria, cit., pp. 126-130; te-stimonianze di Francesco Mandarini e Giuliano Mancinelli, in F. Ricci (a cura di), La Perugina è storia nostra, cit., pp. 32-36 e 90-91; AST, Archivio del Partito comunista italiano, b. 203, fasc. 8, Relazione di Ettore Proietti Divi al comitato della Sezione sindacale di fabbrica e al direttivo che operano alla “Terni” e alla

“Terninoss”, 18 gennaio 1967; Relazione del prefetto di Terni al ministero delle Partecipazioni Statali, 11 giugno 1969, loc. cit. A onor del vero, un’evoluzione simile fu conosciuta anche da alcune aziende lombarde, ad esempio l’Alfa Ro-meo, la quale sperimentò nel 1968 una vertenza che si chiuse positivamente per i dipendenti senza un’ora di sciopero.

Tab. 7: Distribuzione dei seggi delle commissioni interne nelle principali aziende industriali della provincia di Terni al 1° semestre 1969

Cgil Cisl Uil Cisnal Altre

liste

Terni Industrie chimiche* 7 4 4 -

-Società Terni 6 3 3 1

-Polymer 4 4 1 1 1

Officine Bosco 4 1 - -

-Enel 4 2 2 -

-Elettrocarbonium s.p.a. 3 2 2 -

-Fabbrica d’armi Esercito 2 3 2 -

-Jutificio Centurini 2 1 1 -

-Società Terninoss 2 2 1 -

-Società Linoleum 2 1 2 -

-Sangemini s.p.a. - 3 - -

-Nota: * sono considerati insieme i due stabilimenti produttivi di Papigno (Terni) e Nera Montoro (Narni).

Fonte: Archivio di Stato di Terni, Questura di Terni – IV versamento, b. 25, fasc. 1, Prospetto dei dati di Commissione Interna Stabilimenti Industriali di Terni e Provincia al 30 giugno 1969.

Nel contempo, il pur importante movimento studentesco che nel ’68 agitò la regione, con epicentro il capoluogo, nel quale si trovavano due atenei (l’Università degli studi e l’Università per stranieri), nonché la variegata galassia extraparlamentare di si-nistra che fu attiva tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta, e la cui espressione più significativa fu rappresen-tata dal Circolo Karl Marx di Perugia, non furono in grado di

“stringere con la classe operaia locale collegamenti solidi e

siste-matici”29. Nemmeno nel centro di vecchia industrializzazione di Terni gli estremisti “filocinesi”, come venivano apostrofati dalle autorità di polizia30, riuscirono a trovare un ambiente favorevo-le per attecchire tra la comunità operaia. A Terni, infatti, “il Pci, insediato capillarmente nei gangli sociali della città, svolge[va]

pure un ruolo di minuzioso ed efficiente calmieratore dei conflit-ti”, oltre che egemonizzare le contestazioni degli studenti attra-verso le iniziative della sua Federazione giovanile31. Nulla a che vedere, dunque, con l’importanza assunta da Potere operaio in Veneto o da Lotta continua a Torino nell’ambito delle agitazioni sindacali o con le spinte antiautoritarie trasmesse dalle organiz-zazioni studentesche ai lavoratori industriali a Milano, a Pisa e in altri centri della protesta giovanile32.

4. Conclusioni: le conseguenze delle ondate di