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I diversi stili del conflitto industriale fiorentino

gate in ricorrenti crisi aziendali di prospettiva, nello spostamento dal settore civile al militare e in una ricorrente instabilità proprie-taria, restarono più defilate, accontentandosi spesso di concentrar-si sugli aspetti salariali, su orari e condizioni di lavoro76.

In provincia di Firenze, nel 1968 oltre 34 mila lavoratori furo-no coinvolti nelle vertenze contrattuali aziendali o di gruppo e nei conflitti, ma oltre il doppio avrebbe scioperato nel 1969. L’au-tunno del 1969 – durante le generalizzate lotte sempre più unita-rie per il rinnovo dei contratti – fu particolarmente caldo anche a Firenze, come mostrano i numeri dei denunciati alla magistra-tura e gli interventi repressivi delle forze dell’ordine, soprattutto per picchettaggi77.

del gruppo ha funzionato: rispetto all’esperienza torinese nessuna legittimazione incondizionata viene dai fiorentini, che invece esal-tano le specificità locali fino al trauma dei “35 giorni” del 198078. Fin dal 1967 alla Fiat di Firenze vi erano state rimostranze contro l’egemonia autoreferenziale torinese nell’organizzazione nazionale del coordinamento sindacale del gruppo79.

È un altro elemento su cui riflettere di fronte alla dissolven-za dell’Autunno caldo nella memoria cittadina. Non essendoci come protagonista un solo luogo centrale, ma tutto un territorio, articolato e disperso e per di più in mutamento, non c’è stata una simbologia unitaria in cui riconoscersi retrospettivamente.

Questo non vuol dire negare che nei protagonisti – lavoratrici e lavoratori, delegati, sindacalisti – la rottura della fine degli anni

’60 non costituisca un nucleo comune di memoria insita in quel passaggio storico. Ma questo comune ricordo, spesso anche a carattere generazionale80, si nutre di una trasversalità di espe-rienze che sono proprie della classe operaia fiorentina, che non può peraltro nascondere le differenze e talvolta pure i contrasti di valutazione e interpretazione del carattere e delle prospettive di quelle lotte. In altri termini gli stili conflittuali furono diversi, le posture di movimento e sindacali non sempre furono comuni, ancorché alla fine fossero convergenti non solo da un punto di vi-sta esistenziale ma anche collettivo, attraverso obbiettivi sintetiz-zati dal sindacato unitario e in particolare dalla Flm che anche a Firenze, come a livello nazionale, per molti versi costituì il cuore strategico del «decennio operaio»81.

78.  L. Falossi (a cura di), Metalmeccanici fiorentini, cit., pp. 210-211, 213-214.

79.  P. Causarano, Verso una nuova costruzione sociale, cit., p. 148.

80.  Anche qui, volendo si possono riscontrare le “due generazioni” di cui parla Francesca Socrate a proposito del ’68 studentesco, che si colorano pure delle differenze professionali e di statuto presenti nella classe operaia fiorentina: Fran-cesca Socrate, Sessantotto. Due generazioni, Roma-Bari, Laterza, 2018.

81.  FLM Firenze, Fabbrica e territorio. Tre anni di iniziative della FLM di Firen-ze, attraverso analisi, dibattiti, documenti (1976-1978), FirenFiren-ze, Coop. Edit. 1° mag-gio-Uff. sindac. FLM, 1979. In generale, Nino De Amicis, La difficile utopia del

pos-Quando arriva l’Autunno caldo, la Toscana centro-settentrionale stava già modificando il suo volto, i distretti industriali e l’artico-lazione dei sistemi economici locali cominciavano ad imporsi, cre-ando un pluralismo sociale e un policentrismo territoriale che da Firenze si faticava a cogliere pienamente, per di più all’interno di un processo di ristrutturazione incipiente le cui conseguenze si sa-rebbero viste all’inizio degli anni ‘80. Inoltre l’assetto societario di molte medie e grandi aziende storiche fiorentine soprattutto me-talmeccaniche, fra anni ’50 e ’60 e poi ancora nei ’70, vide da una parte diminuire il carattere endogeno dell’imprenditorialità, con l’acquisizione da parte di grandi gruppi nazionali (Eni per Nuovo Pignone, Montedison e infine Efim per Officine Galileo, Zanussi per Stice, Efim per Sma), e dalla altra slittare dal settore privato a quello pubblico alcune di esse e quindi in un ambito negoziale e contrat-tuale relativamente “protetto” (Intersind e Asap) rispetto a quello confindustriale82. Sulle radici locali si innestò cioè una dinamica na-zionale, che in molti casi vincolava i margini di azione sindacale e l’autonomia operaia a livello cittadino e provinciale.

D’altra parte attraverso questo canale arrivarono diretta-mente a Firenze le suggestioni e gli orientamenti più generali attraverso cui si inocularono immediatamente le parole d’ordine innovative che fra 1969 e 1970 erano state elaborate nei centri industriali trainanti del Nord. Tuttavia – se guardiamo alcuni passaggi caratterizzanti i contenuti del conflitto industriale e gli obbiettivi della contrattazione decentrata che anche a Firenze si affermarono fra 1969 e 1970 insieme alle nuove rappresentanze consiliari – riscontriamo la stessa dinamica di autonomia che le lotte operaie in quella manciata di mesi acquisirono e mostraro-no a livello nazionale, insieme alla capacità di risposta del sinda-calismo, non indolore per i suoi equilibri interni.

sibile. L’esperienza della Federazione lavoratori metalmeccanici nel «decennio operaio»

(1968-1984), Roma, Ediesse, 2010.

82.  Patrizia Zagnoli, Le ristrutturazioni nelle imprese metalmeccaniche in Tosca-na, Roma, SEUSi, 1982.

La crisi dell’istituto delle commissioni interne, generalizza-ta, è evidente anche a Firenze a fine anni ‘60, come emerge da un’indagine della Fiom nazionale. A una crescente sindacalizza-zione nel settore metalmeccanico, pur in presenza di una con-trazione dell’occupazione per la congiuntura negativa, non cor-rispose un adeguato risultato elettorale della federazione nelle elezioni dei rappresentanti83. Né le sezioni sindacali costituirono davvero un’alternativa, salvo eccezioni. Nel 1969, la partecipa-zione al rinnovo dei loro direttivi raggiunse il minimo storico, portando di fatto alla loro estinzione e assorbimento di lì a poco nell’esperienza consiliare84. Ma i consigli di fabbrica fiorentini, affermatisi fra 1969 e 1970 nelle principali aziende al posto delle commissioni interne, non erano tutti eguali, non avevano tutti la stessa impostazione, né tutti arrivarono nello stesso momento85. Alla Fiat, alla Stice-Zanussi e al Nuovo Pignone il superamento della commissione interna comportò un ricambio generaziona-le (e professionageneraziona-le) nei rappresentanti e una trasformazione di senso nella rappresentanza e nella partecipazione assembleare, più o meno traumatici. Le Officine Galileo, che pure già nel 1970 avevano costituito il consiglio di fabbrica, di fatto videro solo 83.  La sindacalizzazione dei metalmeccanici Fiom, che era entrata in crisi negli anni ’50, dalla metà degli anni ’60 e fino alla fine del decennio successivo fu in costante e poi vertiginosa crescita anche a Firenze. Analogamente le iscrizioni complessive della Camera del lavoro; dati in appendice a L. Falossi (a cura di), Metalmeccanici fiorentini, cit., pp. 413-418, 425.

84.  P. Causarano, La professionalità contesa, cit., pp. 152-156.

85.  Nel 1970 risultano costituiti e riconosciuti 13 consigli di fabbrica: Offi-cine Galileo, Nuovo Pignone, Saivo a Firenze, Marchino (cemento) a Settimello, Italcementi, Del Vivo e Vicano (vetrerie e piastrelle) a Pontassieve, Sacci (cemen-tificio) a Greve in Chianti, Fornace Laterizi alle Sieci, Bagni (ceramiche) a La-stra a Signa (A. Dadà, L’unità sindacale nelle lotte e nell’organizzazione, cit., p. 253).

Contestualmente il consiglio dei delegati della Stice-Zanussi si mosse nell’otti-ca di costituire un consiglio di zona (che poi sarà quello della Statale 67, piena-mente operativo dal 1972, l’unico dell’area fiorentina insieme ad un tentativo all’Osmannoro), iniziativa in grado di aggregare tutto il territorio industriale e artigianale fra Scandicci e le Signe, a sud-ovest dell’Arno; L. Falossi, G. Silei, “Qui STICE libera”, cit., pp. 83-86.

una sua istituzione formale e una transizione sostanziale dalla vecchia commissione interna al nuovo organo, che sarebbe stata superata solo con il rinnovo del 197286.

Già in questo passaggio si vede la diversa relazione di queste grandi aziende con il sindacato e i suoi modelli organizzativi. Le Officine Galileo (nei primi anni ’70 circa 2.000 addetti) sono in per-fetta simbiosi con la politica tradizionale della sinistra fiorentina (e del Pci in particolare). Le vicende della fabbrica a lungo hanno scandito l’agenda politica locale, dai suoi ranghi sono pure usciti elementi di spicco dei gruppi dirigenti sia del sindacato sia dei partiti di massa, come Maurizio Vigiani (Dc) e Gianfranco Barto-lini (Pci)87. Se esiste una cinghia di trasmissione a Firenze fra po-litica locale, sindacato e fabbrica, le Officine Galileo lo sono state e lo sono state nei due sensi, perché questa azienda fino alla fine degli anni ’60 per molti aspetti fu il metro su cui misurare il rap-porto con la classe operaia, il suo termometro. Ma questo filtro non faceva vedere pienamente quanto accadeva nelle altre fabbri-che e comprimeva le forme di mobilitazione nuove nell’azienda.

Emblematico non a caso sarà il rapporto complesso e assai più controverso che il Nuovo Pignone (nei primi anni ’70 circa 2.300 addetti, compresa la direzione generale del gruppo) avrà in quei mesi con il sindacato federale e confederale, pur avendo anch’esso una relazione speciale con la città e pur essendo una delle punte di diamante dell’innovazione produttiva e organizzativa dell’area, sostenuta e promossa dalla politica locale.

Questa distanza a maggior ragione si riscontra con Fiat e Stice-Zanussi (rispettivamente quasi 1.200 e circa 1.700 addetti

86.  R. Rossi, Le grandi fabbriche fiorentine, cit., pp. 149-154.

87.  Paolo Ranfagni (a cura di), Gianfranco Bartolini, un uomo del popolo alla guida della Regione, Firenze, Regione Toscana, 2012; Francesco Butini, Il senatore operaio. Maurizio Vigiani e il suo tempo, da operaio delle Officine Galileo a senatore della Repubblica, Pisa, Pacini, 2013.

all’inizio del decennio ’70)88. Qui siamo di fronte alle uniche due espressioni della presenza, scarsa ma esemplare, di un’industria tipicamente fordista nell’area. Lo stabilimento Fiat di Novoli, progettato secondo le indicazioni di quanto si stava sperimen-tando in grande alla Mirafiori di Torino a cavallo della guerra, già alla fine degli anni ’40 vedeva una composizione della for-za lavoro fortemente sbilanciata verso gli operai comuni (oltre il 60% e nessun apprendista)89. La Stice, dal momento del suo inserimento in Zanussi nel 1967, avrebbe visto una rapida e pro-fondissima conversione fordista – analoga a tutti gli altri stabili-menti assorbiti dal gruppo in quegli anni – tanto che gli operai comuni in linea, al 1971, sarebbero stati il 61% delle maestranze, mentre al Nuovo Pignone fra 1969 e 1970 erano soltanto il 25%90.