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Una rimozione fiorentina

centrazione industriale di grandi, medie e piccole imprese della Toscana, collegata al pistoiese e al pratese16 – è stata affrontata soprattutto secondo un modello autoreferenziale di storia tra-dizionale del lavoro, attento alle sue istituzioni rappresentative (interessi, politica) e alla fabbrica (lavoro, relazioni industriali).

Quello che stava intorno, la dimensione territoriale del conflitto ma anche altre forme del lavoro urbano o in via di urbanizzazio-ne e dei flussi ad esso conurbanizzazio-nessi, restava per molti aspetti sullo sfondo, come una realtà informe, sia nella dimensione cittadina, sia nelle interazioni policentriche che si venivano definendo su scala metropolitana proprio a partire dagli anni ’60-’70 del secolo scorso17.

Le interviste e le storie di vita presentate alla fine del volume Metalmeccanici fiorentini del dopoguerra, curato da Gigi Falossi nel 2002, invece hanno il merito di segnalare con forza l’integrazio-ne della vicenda economica e sociale con questa dimensiol’integrazio-ne ter-ritoriale, non solo per l’ampia differenziazione tipologica delle imprese e della struttura di classe e professionale del lavoro di fabbrica e della sua mobilità fra piccole, medie e grandi aziende, ma anche per la persistente presenza dell’artigianato industriale (ad esempio nella lavorazione dei metalli preziosi) e di una forte componente di lavoratori – immigrati a corto raggio o pendolari – di provenienza campagnola e dai profondi legami con la realtà rurale o periferica18.

Caldo, tesi di laurea in storia economica, relatore Domenico Preti, Università di Firenze, a.a. 1999-2000; Pietro Causarano, La professionalità contesa. Cultura del lavoro e conflitto industriale al Nuovo Pignone di Firenze, Milano, FrancoAngeli, 2000; Luigi Falossi (a cura di), Metalmeccanici fiorentini del dopoguerra, Roma, Ediesse, 2002.

16.  L’industrializzazione in Toscana dal 1951 al 1961, a cura di CSPE, Padova, CEDAM, 1966, pp. 41-53.

17.  Piero Barucci, Profilo economico della provincia di Firenze, Firenze, La Nuo-va Italia, 1964; Lando Bortolotti, Giuseppe De Luca, Come nasce un’area metropoli-tana. Firenze-Prato-Pistoia: 1848-2000, Firenze, Alinea, 2000.

18.  L. Falossi (a cura di), Metalmeccanici fiorentini, cit., pp. 187-405.

La storiografia sulla città e sui suoi mondi del lavoro, com-presi i contributi di chi scrive, paradossalmente non è riuscita a dar conto in forma piena e compiuta di queste complessità, né di come e di quanto rilevante e decisivo fosse stato il potenziale uni-tario e unificante – non solo dal punto di vista sindacale – di un movimento dei lavoratori così stratificato quale quello fiorentino a cavallo dell’Autunno caldo19. Di quanto cioè il lavoro fosse im-merso nel mutamento urbano, ben oltre una tradizionale lettura politica o sindacale dalle tardive ricadute sul governo cittadino.

A Firenze il movimento operaio ha contato sul piano politico e amministrativo molto meno di quanto pesasse sul piano sociale, almeno fino alla metà degli anni ’70, alla soglia del suo ridimen-sionamento nella “grande trasformazione” di fine millennio20. I partiti espressione del movimento operaio e della subcultura ti-pica della Toscana “rossa”, nel secondo dopoguerra – a Firenze e a differenza della cintura fiorentina – raramente sono riusciti ad esprimere con continuità un ruolo di governo21. Un limite evi-dente rispetto alla comprensione del rapporto con il territorio,

19.  Per opportunità e difficoltà dell’unità sindacale a Firenze fra 1969 e 1970:

Francesca Taddei, L’unità sindacale nelle lotte e nell’organizzazione, in Z. Ciuffoletti, M.G. Rossi, A. Varni (a cura di), La Camera del Lavoro di Firenze, cit., pp. 252-257.

In generale: Fabrizio Loreto, L’unità sindacale (1968-1972). Culture organizzative e rivendicative a confronto, Roma. Ediesse, 2009.

20.  Lo stesso rapporto con il mutamento elettorale amministrativo del 1975 e con il ricambio generazionale degli amministratori di sinistra a volte appare un po’ meccanico, anche per la trasformazione di composizione sociale negli ammi-nistratori eletti; Marco Talluri, Appunti per uno studio di un caso: la classe politica municipale nell’area metropolitana fiorentina, in Gianfranco Bettin, Annick Magnier (a cura di), Il consigliere comunale, Padova, CEDAM, 1989, pp. 257-305.

21.  Massimo Carrai, La “banlieue rouge” fiorentina, in “Ricerche storiche”, 2008, 38, 2, pp. 241-267. Il Pci a Firenze governa in coalizione con continuità solo nell’immediato secondo dopoguerra (amministrazione Fabiani) e poi con i socia-listi dalla metà degli anni ’70 agli anni ’80 (amministrazione Gabbuggiani). Il PSI è presente anche in governi di centro-sinistra negli anni ’60 e poi ’80. Dalla rifor-ma del sisterifor-ma elettorale e di governo locale dei primi anni ‘90, Firenze è retta con continuità da amministrazioni di centro-sinistra ormai però sganciate dalla tradizione precedente di governo locale; Antonio Floridia, Una città (a lungo) con-tesa. Sessant’anni di elezioni a Firenze, in “Quaderni del Circolo Rosselli”, 2008, 28,

non solo per le condizioni di lavoro ma anche per quelle di vita e per il sistema delle relazioni sociali e istituzionali più generale22. Paradossalmente le ricerche dedicate alle grandi ristruttura-zioni del dopoguerra e alla stagione dei licenziamenti politici degli anni ’50 risultano per certi versi più attente all’articola-zione territoriale dei punti di vista e dei campi di indagine, non foss’altro perché corrispondono forse all’ultimo momento in cui a Firenze la dinamica difensiva locale – gestita da personaggi di spessore quali Giorgio La Pira – ha incrociato davvero l’ammini-strazione locale, le politiche economiche pubbliche e le strategie industriali espansive del paese, come nel caso del salvataggio del Pignone da parte dell’Eni di Enrico Mattei23.

Questi traumi e questi eventi post-bellici sono così rimasti im-pressi nella memoria del lavoro fiorentino e nel rapporto della cit-tà con le sue fabbriche, assai più di quanto poi avvenuto con even-ti successivi. Si è affermata, in tono minore, quasi un’altra retorica cittadina. E questo è un bel problema storiografico, che si lega an-che al permanere diffuso di un modo di leggere Firenze e la sua

101, pp. 13-52; Luigi Burroni et al. (a cura di), Città metropolitane e politiche urbane, Firenze, FUP, 2009, pp. 37-52.

22.  Renato Cecchi, Una finestra sul cortile. Testimonianza sul ruolo del sindaca-to, in “Ricerche storiche”, 2008, 38, 2, pp. 289-291; Catia Sonetti, Le mobilitazioni operaie in Toscana nel 1969. Nuovi punti d’osservazione sull’Autunno Caldo, in “Tosca-naNovecento. Portale di storia contemporanea”, www.toscananovecento.it; An-tonio Fanelli, A casa del popolo. Antropologia e storia dell’associazionismo ricreativo, Roma, Donzelli, 2014.

23.  In generale, oltre al già richiamato Metalmeccanici fiorentini del dopoguerra (in particolare i saggi di Alessandro Del Conte e Rossella Degl’Innocenti), cfr. Donatella Mezzani, La discriminazione politica e sindacale nelle fabbriche della provincia di Firenze dal 1948 al 1966, Firenze, OGF, 1983. Per il Pignone, Francesca Taddei, Il Pignone di Firenze, 1944-1954, Firenze, La Nuova Italia, 1980. Sulle Officine Galileo, sicuramente la fabbrica più studiata, cfr. Giovanni Contini, Memoria e storia. Le Officine Galileo nel racconto degli operai, dei tecnici, dei manager (1944-1959), Milano, FrancoAngeli, 1985; Valerio Cantafio,

“Gali”, un anno di lotte alla Galileo (1958-59), Firenze, CdLM Cgil Firenze, 1993; Rossella Degl’Innocenti, Una classe operaia e la sua identità. La Galileo di Firenze (1944-1953), in

“Passato e presente”, 1999, 17, 48, pp. 113-32. Sul tempo libero, il reticolo associativo e il sindacato fra anni ’40 e ’50, cfr. il saggio di Fulvio Conti in Z. Ciuffoletti, M.G. Rossi, A.

Varni (a cura di), La Camera del Lavoro di Firenze, cit., pp. 193-230.

società condizionato dalla tradizione di alcune grandi emergenze industriali storiche (soprattutto Nuovo Pignone, Officine Galileo, Fonderia delle Cure), che furono protagoniste della crisi degli anni

’50. Esse stesse, con altre e in modi molto diversi fra loro, furono poi coinvolte dalla “grande trasformazione” a partire dagli anni

’80-’90, dalle delocalizzazioni e poi dal declino industriale, dalla deindustrializzazione e dalla ridefinizione degli spazi urbani nelle dinamiche metropolitane, contribuendo probabilmente a giusti-ficare il disinteresse storiografico sul lavoro, almeno se messo a confronto con gli altri volti con cui si era presentata la città e con i quali, nella sua attuale latente decadenza, si preferisce ricordarla24. All’inizio degli anni Duemila, grazie alla preziosa attività dell’Associazione Biondi Bartolini e soprattutto dell’infaticabi-le Gigi Falossi, cui questo libro sul 1969 è dedicato25, fu tentato un percorso diverso, con l’idea di contrastare questo rischio di dispersione, un approccio attraverso il quale – andando oltre la rappresentazione politica o sindacale del lavoro e dei suoi conflitti – c’era interesse a studiare le esperienze, le strategie e le pratiche discorsive dei lavoratori e della loro capacità di organizzarsi attor-no alle nuove forme consiliari della rappresentanza emerse dopo l’Autunno caldo. L’intenzione, pur con tutti i limiti e le ingenuità, era quella del dialogo interdisciplinare fra scienze umane e sociali, fra tutti coloro che il lavoro lo studiavano a Firenze, nel tentativo di riattivare una strategia di memoria e di consapevolezza storica sul destino della città a partire dal suo reale passato recente nella misura in cui era stato anche e significativamente industriale. In questo approccio il territorio in cui si collocavano il lavoro e le la-voratrici e i lavoratori da indagare storicamente, veniva visto non come mero luogo geografico di contesto, ma come costruzione so-ciale. I mondi del lavoro erano analizzati così in uno spettro di

24.  Pietro Giorgieri (a cura di), Firenze: il progetto urbanistico. Scritti e contri-buti, 1975-2010, Firenze, Alinea, 2010.

25.  Felice Bifulco (a cura di), Gigi racconta Falossi, Firenze, CdLM Cgil Fi-renze, 2013.

sfumature più ampio, seppure l’esperienza lavorativa e i contesti lavorativi rimanessero centrali26. Ma come è possibile oggi ricor-dare cosa abbiano rappresentato questi luoghi alla fine degli anni

’60 e ancora negli anni ’70 nel momento in cui – come ricordava Simonetta Soldani – hanno prodotto inevitabilmente «memorie a singhiozzo»27? Questa rimozione ha contribuito e contribuisce paradossalmente a mantenere un senso di estraneità rispetto alla città del lavoro e alla sua storia.